Uno spettacolo dei Momix è sempre un evento molto atteso dagli estimatori che, in quasi quarant’anni e nei cinque continenti, il gruppo fondato e diretto da Moses Pendleton ha saputo conquistare per aver ideato un nuovo stile a cavallo tra danza, acrobazia, illusione ottica. Giostrando all’interno di questo “marchio di fabbrica”, i Momix donano emozioni attese eppure ogni volta diverse, nel rinnovarsi dell’incantesimo visivo. Corpi destrutturati danno vita a creature fantastiche, a effetti che aggiungono stupore alla meraviglia generata da madre natura, la quale offre infiniti spunti. Una metamorfosi evolutiva riguardante le forme e anche il processo imaginifico che, al suo culmine, sovverte le percezioni. Un tributo alla fantasia declinata in poesia, in potenza muscolare, in suggestioni incantate e strabilianti.

Alice ha debuttato nel febbraio di quest’anno e, nel corso della tournee, è approdata al Teatro Romano di Verona in ben dodici repliche. In co-direzione con Cynthia Quinn, il regista e coreografo nato nel Vermont e residente nel Connecticut, cresciuto in una fattoria e laureato in letteratura inglese, è tornato a esplorare le potenzialità della fisicità, a riscoprire i canoni della danza per descrivere il fiabesco, l’intangibile. Non era facile affrontare la novella di Lewis Carroll e forgiare un universo originale, che non assomigliasse a nessuno dei modelli già noti, uno su tutti la pietra miliare del film della Disney (che ogni adulto dovrebbe periodicamente riguardare). Pendleton ci è riuscito, con creature autografe.

Personaggi dalla consistenza reale come nel primo atto dal tiolo Down the rabbit hole,dovela piccola protagonista era intenta a leggere il libro sospesa nel vuoto per poi spiccare balzi utilizzando una scala come trampolino di lancio, o ancora a crescere e rimpicciolire come raccontato nella favola, attorniata da muscolosi conigli e guizzanti coniglie. Il secondo tempo denominato Through the looking glass, era prevalentemente popolato da figure provenienti dal regno del visionario, come una sciccosa tarantola dalle zampe di soffice pelo bianco, un vero micio a dare sguardo enigmatico allo Stregatto, le corolle di rose piovute dal cielo, fino alla sfera surreale delle bolle rimbalzanti e dei buffi omaccioni senza testa e dal corpo elastico, lasciando margine a qualche autocitazione come le donne/ostriche. Esseri stravaganti accanto a quelli altrettanto bizzarri di Carroll come il Bianconiglio, il Cappellaio matto, la perfida Regina di Cuori a comandare un esercito di carte da gioco viventi. Oltre lo specchio ha attraversato il confine tra realtà e allucinazione, tramite una serie di superfici sembrate allo stesso momento riflettenti e aperte, come varchi sull’inconscio, su incubi noir per nulla spaventosi, allontanatisi dagli spunti vittoriani per catapultare lo spettatore all’interno della dimensione Pendleton.

I ballerini acrobati (Heather Conn, Gregory De Armond, Seah Hagan, Hannah Klinkman, Sean Langford, Jade Primicias, Colton Wall) hanno sfidato le leggi di gravità, e i passi, tersicorei o ginnici, aggraziati o spericolati, sono risultati inscindibili dal contesto, principalmente dalle luci (Michael Korsch) e dal video design (Woodrow F. Dick, Iii) rivestenti ruoli protagonistici nell’aver plasmato mondi astratti e tridimensionali, nell’aver tramutato la danza in arte visuale. Indissolubili dall’insieme anche le musiche Mo-mixate (editing Andrew Hanson) su autori del Novecento quali Chris Vrenna, Polo and Pan, Origamibiro, Ana Tijoux solo per citarne alcuni; infine i costumi mutaforma (Phoebe Katzin) e i materiali tecnologi usati per effetti divertenti.

I Momix – nati nel 1980 sulla scia del precedente Pilobolus Dance Theatre – si sono confermati sempre imperdibili, sempre grandi, sempre sorprendenti anche se, questa volta, insolitamente parchi nel dispensare magia. Forse per la scansione della serata a momenti compiuti allineati in sequenza; forse per lo stile poco metamorfico e meno indulgente all’ “optical confusion”; forse per lo scontrarsi di Pendleton con se stesso. Lui è il Cappellaio matto e il mondo della sua Alice è lungo quarant’anni, e non può essere ingabbiato entro un’ora e mezza di performance. Che altro non è stata se non un tassello aggiunto al suo caleidoscopico mosaico artistico.
Un discorso globale che da poco meno di mezzo secolo invita ad abbandonarsi a quanto di fanciullesco permane nell’animo di ciascuno. Perché, lo stesso Pendleton ha citato Carroll, non importa quale strada si imbocchi quando la meta da raggiungere è variabile. Ciò che conta, nei Momix e in Alice, è il viaggio. Quel percorso in bilico tra l’evidenza e lo straniamento onirico che ognuno è libero di indirizzare, seguendo il proprio immaginario.

Recensione di Maria Luisa Abate

Visto al teatro Romano di Verona il 2 agosto 2019
Contributi fotografici forniti da Estate Teatrale Veronese