Alla fermata del bus, quella mattina, sentivo un senso di vuoto. Salendo sul bus, osservai la mia mano aggrappata al corrimano della porta e mi sentii mancare. All’improvviso, il nulla al posto del cuore. Come un lampo, la mia mente passò in rassegna tutte le possibilità. In bagno a casa della mia amica. Nella borsa dove lo metto la sera prima della doccia. Sul comodino. Nel cassetto del comodino. Niente. Nessun ricordo di uno di questi gesti soliti.

“L’anello, dov’è l’anello?”
Poche settimane prima, a Venezia, lui mi portò in un negozio, di sorpresa, e mi fece scegliere un anello. Lo vidi subito, il mio anello. Color oro-giallo-arancione, rotondo e luminoso, con una striscia scura al centro. Me lo mise al dito. Fu come se mi avesse abbracciato il Quore.


“L’anello, dov’è l’anello?”
Lo cercai per giorni, inutilmente, ovunque e anche altrove. In tutti gli angoli della casa. Tutte le tasche e tutte le borse. Al lavoro. Scrissi persino all’ufficio oggetti smarriti: gentili, mi risposero che non avevano niente del genere, ma si sarebbe premurati di avvertirmi, nel caso.

“L’anello, dov’è l’anello?”
Poi lessi la storia di una signora che dimenticò una valigia in una piazza affollata di una grande città, senza alcun segno di riconoscimento. Una valigia di effetti personali, dallo scarso valore monetario, ma dal grande valore affettivo. Raccontava dei suoi tanto disperati quanto vani tentativi di ritrovare quella valigia, di come scrisse e telefonò a tutti. Alla fine si rassegnò. Dopo qualche settimane, fu contattata: erano risaliti a lei da un codice a barre sbiadito, resto di un viaggio aereo compiuto tanto tempo prima. Il racconto finiva con una riflessione: bisogna lasciare andare per poter ritrovare.

“L’anello, dov’è l’anello?”
Fu difficile lasciare andare l’anello, ma lo feci. Con grande dolore e grande vuoto, ma lo feci. Fu come lasciare andare un pezzo di cuore, ma lo feci


Dopo qualche settimana mi trovavo in trasferta di lavoro, in una sede distaccata, dove andavo molto di rado. Questa sede distaccata un po’ triste, che l’azienda aveva già deciso di chiudere. Ma il ragazzo della reception – assunzione obbligatoria, le chiamano “categorie protette” – era gentile e sorridente come sempre, con quello sguardo così presente e generoso che già avevo notato.

Andai nella sala riunioni che il ragazzo gentile aveva prenotato per me. Mi stavo preparando per la giornata, tra cavi e penne e appunti, quando lui entrò. Aveva qualcosa per me, disse. Dall’altro lato del tavolo, con quelle braccia troppo corte, non sarebbe mai riuscito a darmi nulla. Perciò appoggiò quel qualcosa sul tavolo, e lo spinse con energia verso di me.

L’ho trovato qualche settimana fa, qualcuno mi ha detto di avertelo visto al dito. Ho pensato che poteva essere un regalo, che forse per te significa qualcosa di importante, perciò l’ho conservato.


Ora che il mio Quore si è ricomposto
Ora che torno a respirare
Ora posso dirglielo: ti amo tanto, amo tanto quel tuo Quore oro-giallo-arancione, rotondo e luminoso, con una striscia scura al centro.



Continuate a proteggere la categoria dei ragazzi gentili,
con le braccia corte e lo sguardo attento