“L’attesa del piacere è essa stessa piacere”. Erano enormi, le aspettative per il concerto che Sir Elton John ha tenuto a Mantova – unica data italiana 2017 del tour iniziato in realtà cinquant’anni fa e mai interrottosi – e hanno mandato in fibrillazione l’intera città e i fan giunti da tutta la Penisola e dall’estero, per una serata d’entusiasmo educato e memorabile. Sir Elton è un testimone del nostro secolo, ha attraversato più generazioni lasciando in ciascuna un segno, e scandito, con un carico di emozioni, le tappe della nostra vita. Protagonista del periodo storico che stiamo vivendo, con Piazza Sordello blindata, metal detector, protezioni di cemento anti-camion, dispiegamento di forze dell’ordine, il baronetto ha paradossalmente fatto rivivere anche i tempi dei Gonzaga, mecenati che si contornavano degli artisti più in voga: proveniente dalla dimora di Nizza, è sbarcato all’aeroporto di Villafranca con un aereo privato e, disdegnando gli hotel, ha riposato nell’Atrio degli Arcieri dello storico Palazzo Ducale. Più che puntuale, con dieci minuti d’anticipo, Sir Elton è salito sui 16 metri di palco indossando un trench nero luccicante e ricamato, camicia rosa shocking come le scarpe, orecchino d’ordinanza e occhiali da sole neri contornati da grandi strass, decisamente sobri rispetto alle montature estrose di un tempo, che contribuirono a creare il personaggio. Good evening Mantòva, con l’accento sulla o. Dopo il saluto sono risuonate le note di “The bitch is back” seguito a ruota da “Benny and the Jets”; le mani a pestare sui tasti con forza, grinta, glam rock, a far capire da subito che non sarebbe stata una serata nostalgica, ma da vivere intensamente nel presente. A far capire che the bitch era tornato, in forma come sempre.
Sulla melodica “I want love”, l’esternazione d’amore per l’Europa scossa dagli attentati, mentre nello schermo i disegni multicolori pop art lasciavano il posto a un grande we love you, dove la parola love era sostituita da un cuore rosso, attorniato dalle iniziali delle città colpite dalla barbarie estremista di Parigi, Manchester, Nizza, Berlino, Londra. Quando le nuvole di questa “Wonderful crazy night” si sono colorate del rosso del tramonto, la Band ha attaccato “Daniel”. Su “Levon” è partito un assolo lunghissimo, di una decina di minuti, di quelli che solo lui sa fare, scatenando l’intera folla, adolescenti e “diversamente giovani”, mentre sui monitor si vedevano le dita correre velocissime sulla testiera del pianoforte Yamaha. E chi, non avrebbe voluto avere accanto la persona amata per dondolarsi, abbracciati, al tempo di “Rocket man”, quando nel video la Terra vista dallo spazio si è illuminata delle romantiche luci delle metropoli: and I think it’s gonna be a long long time….
Poi, sempre assieme ai due fedelissimi di lungo corso Davey Johnstone (chitarra) e Nigel Olsson (batteria), più Kim Bullard (tastiere), John Mahon (percussioni) e Matt Bissonette (basso), una carrellata di hits recenti e datate, con le travolgenti “Sorry seems to be the hardest word”, “Your song”, fino alla scatenata “Crocodile rock”, che ha trasformato il cuore della città in una discoteca en plein air. Ballavano ragazzine in shorts e tacchi a spillo (prese alla sprovvista dall’acciottolato della piazza), donne in camicione e ciabatte, giovani tatuati e signori ingrigiti con la pancetta, perfino mamme, che stringevano al petto bimbi di pochi mesi cullandoli al ritmo frenetico. La serata si stava avviando al termine. “Don’t let the sun go down on me” a ricordare il compianto George Michael, per finire con “Candle in the wind”, canzone jolly dedicata a rotazione agli amici che non ci sono più, da Marilyn Monroe a Lady Diana, in questo caso a Gianni Versace. Un ultimo saluto caloroso: Thank you Italy, thank you so much, thank you, thank you poi lo sfollare pacato delle 8500 persone presenti, sulle note registrate di “Song for guy”. La magica follia non ha fine.
Recensione Maria Luisa Abate