Una Tosca dai toni scuri, sui quali ha brillato l’interpretazione di Ainhoa Arteta. Il soprano vanta una lunga e acclamata frequentazione con il ruolo, che sente profondamente suo. Del resto, l’eroina pucciniana è una donna che svolge una professione artistica e la concilia, spesso sovrapponendola, con la sfera privata; ma questa similitudine con la vita di qualunque cantante ovviamente non basta per entrare in una simbiosi così stretta con il personaggio, che l’interprete fa proprio dal punto di vista espressivo oltre che tecnico.
È approdato sulle tavole del Teatro Comunale “Luciano Pavarotti” di Modena il fortunato allestimento del Regio di Parma in coproduzione con Modena e Piacenza. La regia firmata da Joseph Franconi Lee, desunta da un’idea del 1999 del suo Maestro Alberto Fassini, ha immerso nel clima cupo di un potere che ha assunto la caratteristica di modificare le ottiche, di deformare perfino le prospettive architettoniche. La cupola di sant’Andrea della Valle infatti è apparsa sbilenca e in significativa salita si è svolta la processione del Te Deum. La zona centrale dello spazio scenico era occupata da un’imponente scalinata (William Orlandi, anche autore dei costumi), sulla destra una parete lucida riflettente e sulla sinistra elementi tradizionali quali una grande statua, inizialmente una Vergine poi, nell’ultimo atto, l’arcangelo Michele sulla sommità di Castel Sant’Angelo. Da una finestra penetrava un raggio di luce brumoso, a creare suggestivi chiaroscuri (luci Roberto Venturi, riprese da Caroline Vandamme).
Sugli scalini era adagiata la tela recante l’abbozzo a carboncino della Madonna in fase di lavorazione da parte del pittore Mario Cavaradossi. Arte, dapprima “isola felice” dei due innamorati, che poi verrà calpestata così come sarà oltraggiata l’artista Tosca; arte quindi per la regia assurta a simbolo di quella gelosia sulla quale farà leva il barone Scarpia per tessere le sue odiose trame. In bianco e nero era pure la crocifissione di San Pietro tratta da Guido Reni, sotto la quale il capo della polizia ha consumato la propria cena, su un tavolo ingombro da crocifissi. Ad armare la mano di Tosca per ucciderlo non è stato il semplicistico desiderio di proteggersi dal tentativo di violenza, bensì una inversione di ruoli tra preda e cacciatore, che ha tramutato la donna in “giustiziera”, sempre padrona del proprio destino per quanto non scevra da dubbi e da rimorsi. Una Tosca quindi non vittima, non succube degli eventi, dalla forte personalità e dai sentimenti grandi e puri, dall’amore passionale esplicitato con tenerezza, pronta a difendere quel sentimento quando viene minacciato.
Sfaccettature caratteriali donate al personaggio con profonda consapevolezza da Ainhoa Arteta. L’interprete spagnola ha riscosso unanimi e meritati consensi per una serie di doti riassumibili nella piena maturità artistica: lo splendido timbro, la vastità e varietà coloristica, l’emissione rotonda dai registri alti fino a quelli bassi; inoltre la cognizione dell’esatto significato di ogni parola nello specifico contesto pucciniano, la tensione drammatica stemperata in amorevolezze dolci e commoventi, con mezze voci che hanno toccato l’ascoltatore nel profondo perché hanno collocato nella sfera più intima i momenti di riflessione, come l’ultra applaudito “Vissi d’arte”.
Una pagina di bella introspezione è stata anche “E lucevan le stelle”, che il tenore Luciano Ganci, nei panni di Mario Cavaradossi fervente patriota, ha eseguito con morbidezze diffuse, colori vividi, fraseggio curato, culmine di una prova costellata da acuti ottimamente appoggiati e proiettati, mai sfacciati.
Dario Solari ha privilegiato, del barone Scarpia, la brutale crudeltà, depauperata del fascino noir perché apparisse in tutta la sua bassezza; per lui, bel timbro in una linea di canto improntata alla correttezza formale. Notevoli doti canore e attoriali per Cesare Angelotti Giovanni Battista Parodi.Gradevolmente accentuata la caratterizzazione del Sagrestano di Valentino Salvini. Convincente Spoletta di Raffaele Feo; Sciarrone era Stefano Marchisio e Simone Tansini un Carceriere. Collocato fuori scena, in buca assieme all’orchestra, il Pastorello Isabella Gilli. Ben istruito da Stefano Colò il Coro Lirico di Modena e altrettanto correttamente preparate da Paolo Gattolin le voci bianche della Fondazione Teatro Comunale di Modena in collaborazione con la scuola La Carovana.
Alla guida dell’Orchestra Filarmonica Italiana, che lo ha valentemente seguito, Matteo Beltrami, impegnato in una lettura votata al nitore, fluida, destreggiata tra gli impeti patriottici e gli squarci intimistici inseriti in una ricerca di colori, e di intenzioni pucciniane, lineari ed equilibrati, così come bilanciate sono state buca e palco.
Recensione di Maria Luisa Abate for DeArtes
Visto al Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena il 27 ottobre 2019
Contributi fotografici: Rolando Paolo Guerzoni