Collegato alla stagione primaverile, l’autunno al Teatro Filarmonico di Verona è iniziato nel nome di Domenico Cimarosa, nell’ambito di un approfondimento sulla musica del Settecento. Assente da circa un secolo da questo palcoscenico, è stato proposto “Il matrimonio segreto” nell’allestimento debuttato nel 2012 al Teatro Coccia di Novara, che ne firma la produzione.
Ad apporre il proprio nome alla regia, Marco Castoldi, noto al grande pubblico come Morgan. Un lavoro, il suo (con il regista collaboratore Catia Pongiluppi), dall’efficacia insita nella semplicità e in una forma di attualizzazione scevra dagli eccessi che ci si sarebbero aspettati da colui che ha fatto dell’estrosità la cifra stilistica della carriera, svolta prevalentemente in ambiti diversi da quello operistico. Ma, non va dimenticato, l’ex leader dei Bluvertigo è un musicista di degna preparazione e per la partitura ha nutrito rispetto, tradotto in non invasività. Una regia quindi senza particolari guizzi creativi, fatto che è andato a vantaggio della sublime invenzione compositiva. Un gusto per la provocazione pertanto soft, basato su misurati gradevoli interventi.
Il librettista Giovanni Bertati si ispirò alla commedia The clandestine marriage di Colman e Garrick del 1766, dichiaratamente ignorata da Morgan che con scelta condivisibile e di apprezzabile snellezza ha preferito concentrarsi sul soggetto come confezionato per l’opera: un “dramma giocoso” che presenta elementi senza tempo. Narra infatti di un genitore che desidera procacciare alle due figlie mariti che portino ricchezza e innalzamento sociale a tutta la famiglia. Ma l’intricato sovrapporsi degli innamoramenti e le nozze già celebrate di nascosto, ingarbugliano la divertente vicenda.
L’allestimento si è basato su parchi elementi scenografici (Patrizia Bocconi). Uno scheletro di abitazione suddivisa su più piani ha offerto spunti per controscene minimali, con figure – sovente “doppi” degli interpreti – poste in controluce a dare il senso di un alcunché avvenuto in altro tempo passato o futuro, a far da ponte tra Settecento, Duemila e oltre. A illuminare la struttura di fondo, spesso immersa nell’oscurità, luci cangianti (Paolo Mazzon). Un angolo bar rosso, un lampadario e qualche poltrona antica (Alessandro Mendini) dipinta a colori accesi, un enorme abito/scultura e i costumi (Giuseppe Magistro) a scacchi bianco-neri con tocchi fluo estesi alle parrucche, che hanno rifatto spiritosamente il verso a quelle settecentesche, oltre ad aver costituito autoironica citazione alla capigliatura dello stesso regista.
Anche la recitazione è stata improntata alla misura, con gli aspetti farseschi posti in risalto senza eccessi disturbanti, con i caratteri delineati quel tanto che è bastato a giustificare gli intrecci amorosi. La scarsa interazione tra i personaggi ha ricondotto la commedia alla sostanza, sua propria, di una esteriorità egoistica e di facciata, stridente con la reale natura del sentimento che la regia implicitamente ha esaltato, deridendo la vacuità delle coppie combinate a tavolino e conducendo verso quel lieto fine che ha restituito valore al vero amore.
Alla guida dell’Orchestra dell’Arena di Verona, il ventiquattrenne veronese Alessandro Bonato, dal gesto estremamente preciso nel dettare i tempi del perfetto meccanismo musicale di Cimarosa, oggetto di una lettura attenta, con dinamiche rivolte a comporre una tavolozza dai colori tenui e delicati. I ruoli femminili hanno unito ribellione a sensibilità, atteggiamenti provocatori a indoli romantiche, mentre gli uomini hanno denotato un certo grado di umoristica, e adeguata al contesto, natura da bamboccioni.
Veronica Granatiero dai legati dolci e dalla vocalità fresca, ha giostrato Carolina in bilico tra esuberanza giovanile, un pizzico di maliziosità e il candore del sentimento. Il suo segreto marito Paolino si è espresso mediante l’aggraziata linea di canto del tenore Matteo Mezzaro. Dosate “sporcature” buffe dall’efficacia comica che non ha avuto bisogno di eccessi, per Salvatore Salvaggio l’avido mercante Geronimo. Svettante e smaltato il timbro di Rosanna Lo Greco, Elisetta, mentre il Conte Robinson era il basso Alessandro Abis, dai mezzi gestiti con gusto estetico e dall’indirizzo stilistico ottimamente tarato su questo repertorio. A sostituire una collega presumibilmente indisposta vestendo i panni di Fidalma, Irene Molinari. Il mezzosoprano, che ha sostenuto il ruolo anche al debutto a Novara di questo allestimento, ha con scioltezza interpretato i toni ludici dal vago sentore di dominatrice, coronati da notevoli doti vocali che hanno trovato la loro espressione migliore nel sapiente uso dei chiaroscuri.
Prima dell’inizio della recita, è stata espressa solidarietà ai lavoratori del Teatro Bellini di Catania, a rischio licenziamento, ed è stato lanciato un appello perché venga scongiurato quello che è stato definito “omicidio culturale”.
Recensione Maria Luisa Abate for DeArtes
Visto al Teatro Filarmonico di Verona, nella rassegna “Viaggio in Italia nel tempo e negli stili”, il 3 novembre 2019
Contributi fotografici: ©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona