Duecento anni dopo la sua stesura, “L’infinito” di Giacomo Leopardi continua a stupire e regalare sorprese. Una nuova analisi ad altissima definizione dei manoscritti originali ha permesso di individuare diverse sequenze di correzioni e tre successive fasi di scrittura, a dimostrazione che il poeta di Recanati è tornato più volte a rivedere quelle rime che lo avrebbero reso, nelle parole della scrittrice Anna Maria Ortese, “il giovane favoloso”.

«Nonostante sia forse l’autografo più conosciuto della letteratura italiana, “L’infinito” è un oggetto ancora misterioso», dice Paola Italia, docente al Dipartimento di Filologia classica e Italianistica dell’Università di Bologna cha ha guidato la nuova indagine. «Ancora non sappiamo con precisione, ad esempio, se sia stato composto prima o dopo il 29 giugno 1819, ventunesimo compleanno di Leopardi, che diventato maggiorenne tenta la fuga da Recanati: tutto ciò che sappiamo è legato ad un quadernetto a righe che reca, oltre a “L’infinito”, anche altri Idilli».

Per cercare di ricostruire le vicende che hanno portato alla nascita di una delle liriche più celebri della nostra letteratura, la professoressa Italia ha deciso di accostare un nuovo metodo di analisi ad altissima definizione – chiamato RTI, Reflectance Transfromation Imaging – alle conoscenze e alle metodologie della filologia d’autore. Un’operazione resa possibile grazie alla collaborazione della Biblioteca Nazionale Centrale “Vittorio Emanuele III” di Napoli, che custodisce numerosi manoscritti autografi di Giacomo Leopardi, e del Laboratorio Fotografico e Multimediale FrameLab, attivo al Campus di Ravenna dell’Università di Bologna, all’interno del Dipartimento di Beni culturali.

I risultati dell’indagine sono stati presentati a Bologna il 6 dicembre 2019 in occasione di “Carte, penne, inchiostri. Imaging, 3D e restauro digitale”: seminario internazionale promosso dai dipartimenti di Filologia classica e Italianistica e di Lingue, Letterature e Culture Moderne dell’Università di Bologna, a cui hanno partecipato i più importanti istituti di conservazione e restauro e le eccellenze della ricerca universitaria, per illustrare le più avanzate tecniche di indagine paleografica, di restauro e di studio filologico.

Le pagine del quaderno napoletano degli Idilli di Giacomo Leopardi sono state analizzate con la tecnologia RTI: uno strumento open access, messo a disposizione dall’organizzazione no profit Cultural Heritage Imaging, con il quale è possibile realizzare ricostruzioni digitali estremamente dettagliate. «Questo metodo è stato utilizzato inizialmente soprattutto per lo studio di manufatti artistici e archeologici, ma si presta molto bene anche per l’indagine dei manoscritti», spiega Paola Italia. «Fotografie ad alta definizione vengono scattate con luce riflessa su una sfera da diverse angolature e altezze, e poi ricomposte digitalmente, creando così un’immagine tridimensionale che permette di migliorare la percezione della superficie dell’oggetto e di evidenziare le stratificazioni dei solchi lasciati dalla penna nella scrittura».

Unendo tecnologia e filologia, la professoressa Italia è riuscita quindi a ricostruire nel dettaglio il percorso de “L’infinito”, fatto di segni e correzioni stratificate che corrispondono a penne e stesure diverse. «L’analisi spettrometrica e le rilevazioni ad alta definizione in 3D ci hanno confermato che ogni volta che Leopardi torna sul quaderno per scrivere un altro testo, corregge quelli precedenti, che recano quindi diverse serie di correzioni», dice Paola Italia. « “L’infinito”, che occupa il secondo posto tra i testi del quaderno, reca tre fasi diverse: quella realizzata con la penna della scrittura base, a cui seguono una serie di correzioni a inchiostro più scuro, realizzate l’anno successivo, nel 1820, quando scrive “La sera del giorno festivo”, e infine altre piccole correzioni effettuate con una penna dall’inchiostro rossiccio, preparando il testo per la copia definitiva».

Nonostante i suoi duecento anni e la sua enorme fama, insomma, “L’infinito” non smette di stupire. «L’autografo de “L’infinito” ha ancora molto da dirci», conferma la professoressa. «Vogliamo ora portare avanti il nostro progetto cercando di datare ulteriormente i testi, utilizzando una combinazione di strumenti: l’analisi letteraria della lingua e dello stile, quella filologica del ductus e le informazioni provenienti dall’analisi tridimensionale delle grafie».

METODO RTI
Il metodo RTI (Reflectance Transformation Imaging), messo a punto dall’organizzazione no profit Cultural Heritage Imaging (CHI ), permette uno studio immersivo del manoscritto, attraverso l’acquisizione di immagini ad alta definizione e la loro ricomposizione e visualizzazione attraverso un software di navigazione in modalità diverse. Nato come strumento di studio nell’ambito dei beni culturali, il metodo RTI, utilizzato inizialmente per lo studio di manufatti artistici e archeologici, può essere applicato allo studio di manoscritti pergamenacei, e cartacei, permettendo allo studioso una definizione analitica dell’oggetto che, attraverso la tridimensionalità ricostruita virtualmente, permette di visualizzarne la stratigrafia compositiva.
RTI prevede tre fasi di lavoro per ottenere il risultato desiderato:
1 acquisizione delle immagini del manoscritto. L’acquisizione prevede una serie di scatti con camera digitale tenuta in posizione fissa, con posizionamento della luce ad altezze e posizioni differenti.
2 Ricomposizione delle immagini attraverso il software OA RTIbuilder.
3 Visualizzazione e navigazione dell’immagine attraverso il software OA RTIviewer, in diverse modalità, due particolarmente utili ai nostri fini: Diffuse gain, che migliora la percezione della superficie dell’oggetto, in particolare le inscrizioni, incrementando localmente la curvatura della superficie; Specular Enhancement, per aggiungere un falso effetto speculare che consente di rendere più leggibili le inscrizioni.

C.S.M.
Fonte: Ufficio Stampa Alma Mater Studiorum – Università di Bologna / sito CHI-RTI project

www.filologiadautore.it/wp/chi-rti-project/#Leopardi