La campanella della Rydell High School ha suonato ancora una volta, attirando tre generazioni di spettatori a teatro. La Compagnia della Rancia ha varato una nuova versione del celeberrimo musical di Jim Jacobs e Warren Casey che debuttò nel 1971 e acquisì fama planetaria grazie alla produzione cinematografica del 1978, che resta ineguagliabile punto di riferimento. Grease nacque per rifare bonariamente il verso al rock’n’roll anni Cinquanta e, anche se temporalmente posteriore, ne è diventato uno dei più apprezzati manifesti.

La Rancia dal 1997 mette in scena in lingua italiana (traduzioni e liriche Franco Travaglio e Michele Renzullo) questo titolo che nella Penisola ha finora registrato oltre 1.870.000 spettatori in più di 1.800 repliche, ed è ripartito per l’ennesima tournee lo scorso novembre da Tolentino, dove ha residenza la Compagnia. È una necessità quindi per il regista Saverio Marconi (assieme a Mauro Simone) il periodico rinnovamento, mantenuto entro il solco di una tradizione che, con semplicità e sforzo creativo, dà ai fans ciò che essi si aspettano in un cult.

Una sorta di macchina del tempo bidirezionale, che procede in avanti per quanto riguarda gli interpreti in ventennale avvicendamento, e all’indietro nell’evocare l’epoca della brillantina, grease per l’appunto, dei ciuffi impomatati, dei giubbotti di pelle, delle gonne a ruota (costumi Carla Accoramboni). Ma la forza del musical sta anche nella sua universalità. Il liceo, per chiunque, coincide con gli anni della spensieratezza e della voglia di conquistarsi un posto nel mondo, identifica la gioventù che tutti vorremmo mantenere per sempre, con le sue esuberanze, con le acerbità e le pulsioni adolescenziali (qui, fin troppo ostentate) e con valori solidi come l’amicizia che lega tra loro i gruppi dei T(hunder)Birds e delle Pink Ladies (coreografie Gillian Bruce).

Una macrostoria raccontata attraverso microstorie. Infatti le succitate caratteristiche sono state poste in secondo piano in questo ri-allestimento che ha focalizzato l’ottica sui singoli personaggi, sui caratteri divertenti esasperati fino a lambire il macchiettistico, fermato saggiamente un attimo prima di diventare tale. Ognuno, nell’economia dello spettacolo, ha avuto spazio e tutti gli attori/cantanti/ballerini sono risultati protagonisti a pari merito. Tra i tanti episodi, si è innestata l’infatuazione tra Danny Zuko, che vince le proprie insicurezze facendo il bulletto, i cui panni particolarmente ingenui erano vestiti da Simone Sassudelli, e Sandy dalla doppia personalità, da dolce ragazza acqua e sapone a pantera sexy, di Francesca Ciavaglia. Sono spiccate le doti artistiche di Giorgio Camandona, estroverso Kenickie, mentre la spigolosa Rizzo aveva il volto di Eleonora Lombardo. Pur giovane, come tutto il cast, Nick Casciaro ha dato vita allo stagionato Vince Fontaine. Poi Eleonora Buccarini Frenchy, Elisa Gobbi Cha Cha Di Gregorio attorniati da un’altra decina di valenti performers.  

Il focus sui personaggi ha portato come conseguenza un’ambientazione succinta (scene Gabriele Moreschi) che ha proceduto tramite pochi elementi-simbolo: una piccola tribuna da stadio di atletica, il catorcio trasformato in bolide fiammante, un gigantesco hamburger, tra effetti stroboscopici e tinte fluo (disegno luci Valerio Tiberi). A circoscrivere ancor più l’individualità dei protagonisti, mezzi fondali incolori, per la verità irrimediabilmente brutti, calati dall’alto per facilitare i cambi di scena minimali.
Largo quindi all’energia, alla vitalità, al desiderio di divertirsi spensieratamente, alla voglia di cantare (arrangiamenti e orchestrazione Riccardo Di Paola) assieme al pubblico, invitato a scatenarsi nel riepilogo conclusivo delle hits più famose.

Recensione MLA for DeArtes

Visto al Teatro Nuovo di Verona, nella stagione “Divertiamoci a teatro”, il 3 gennaio 2020

Contributi fotografici: Giulia Marangoni