Partendo dal rapporto del corpo dell’artista che agisce nello spazio pubblico e privato, la mostra offre la possibilità di vedere per la prima volta in Italia un’attenta selezione di opere fotografiche di Claude Cahun (grazie alla collaborazione con Jersey Heritage Collection), un’altrettanta e significativa selezione delle opere fotografiche di Valie Export (grazie alla collaborazione con l’Atelier Valie Export e il Museion di Bolzano) e una riproposizione di un progetto fotografico della fine degli anni Novanta di Ottonella Mocellin (grazie alla collaborazione con la galleria Lia Rumma).
L’esposizione, a cura di Fabiola Naldi e Maura Pozzati, si presenta come la possibilità di approfondire un ambito della storia dell’arte del 900 ampiamente caratterizzata dall’uso dei dispositivi extra artistici quali il corpo, la fotografia e la performance. “3 Body Configurations” prende spunto dal titolo di un progetto di Valie Export sviluppato dal 1972 al 1982.
Le tre importanti presenze sottolineano la riflessione estetica e progettuale di un’occupazione tanto fisica quanto mentale della propria identità, della propria prassi progettuale come anche della necessità di indagare i rapporti fra il corpo dell’artista e lo spazio dell’architettura, della natura e dell’illusione.
Per Claude Cahun, Valie Export, Ottonella Mocellin la fotografia si dichiara testimone infinito, immobile e indiscusso di una pratica avvenuta anche solo per un istante.
La mostra è documentata da una preziosa pubblicazione italiano/inglese edita da Corraini con testi inediti di Fabiola Naldi, di Maura Pozzati e della filosofa Francesca Rigotti.
L’evento è inserito tra i Main Project di Art City Bologna 2020, programma di iniziative speciali promosso dal Comune di Bologna in collaborazione con BolognaFiere in occasione di Arte Fiera.
ATTO TERZO SULLA MISURA DI UN CORPO, DI UNO SPAZIO, DI UN TEMPO di Fabiola Naldi.
Claude Cahun, Valie Export, Ottonella Mocellin sono le protagoniste di 3 Body Configurations in rappresentanza di una dichiarazione femminile di corpi, spazi e tempi nei quali “rivelare” nuove identità, urgenze politiche e rinnovate scelte espressive. Tre autrici certamente distanti l’una dall’altra che, accostate, non tardano però a mostrare una necessità comune a molti operatori culturali del Novecento: tre modalità differenti di enfatizzare lo stretto rapporto fra la propria presenza, la scelta di utilizzare un preciso dispositivo tecnologico e la progressiva tensione spaziotemporale. Se recuperiamo alcune delle prime fotografie di Claude Cahun in cui l’esperienza teatrale è indiscussa e pervasiva, si noterà come l’affermazione di una identità in continua trasformazione si spoglia della tradizione facendosi esperienza, pratica comportamentale, interazione. E il medesimo discorso potrebbe valere per Körperkonfigurationen (Body Configurations) di Valie Export e per Corpi orizzontali nel paesaggio di Ottonella Mocellin: anche quando è il dispositivo fotografico a delineare i margini dell’azione, fuori dal tempo ed entro i limiti dell’infinito, l’elemento rivoluzionario è il corpo che l’artista assume come materiale espressivo, sottolineando e reclamando il valore della propria soggettività.
Un solo spazio di transizione e dislocazione dei processi simbolici dove l’agire dell’artista, continuamente modulato dal proprio corpo, ridefinisce i confini delle proprie gesta. Ciò a cui si assiste sempre più frequentemente è il totale disinteresse per l’opera come oggetto compiuto a favore di un soggetto in costruzione e della sua dimensione processuale. L’idea di corpo come medium originale e originario determina molte delle esperienze extra artistiche del Novecento, ritmando anche i tempi di evoluzione e i ricorsi storici della pratica performativa. Nei primi decenni del Novecento quel corpo è materia grezza nelle idee di una generazione rivoluzionaria: è fuga dalla tradizione, è pura sperimentazione, è la possibilità di sconfinamento linguistico contro l’obsolescenza delle tecniche classiche. Nelle seconde Avanguardie quel corpo è cresciuto, è maturato ed è quindi pronto per essere messo in discussione. Il tempo storico in cui ci si appresta ad agire è chiaramente diverso dall’inizio del XX secolo e come tale riflette sulla propria pelle tutte le urgenze ideologiche, sociali e culturali degli anni Sessanta e Settanta. Dagli anni ’90 in poi la “partecipazione” dello spettatore diventa una costante della pratica artistica per alimentare un unico grande corpo processuale attivato da nuovi dispositivi materiali e immateriali. L’incontro con il corpo/opera diventa un pretesto per creare possibilità ipertestuali: una situazione che deve essere compresa, vissuta e condivisa con lo scopo di creare una relazione continua.
CORPI DI DONNA TRA IDENTITÀ, SPAZIO E NARRAZIONE di Maura Pozzati.
Claude Cahun apre le danze delle Body Configurations, nel senso che è lei la prima in senso cronologico a utilizzare il proprio corpo riscrivendolo in continuazione, sia attraverso la fotografia chela letteratura. Quando Lucy Schwob decide di diventare Claude Cahun non sceglie un semplice pseudonimo ma un nome proprio che è sia femminile che maschile; su questo nome impronta il discorso sull’identità, sul proprio orientamento sessuale, dichiarando apertamente la sua predilezione per un “genere indefinibile”, che trova alcune corrispondenze col mito dell’androgino. Nelle Körperkonfigurationen(1972, 1974, 1982) Valie Export mette in scena un diverso mimetismo, attraverso il proprio corpo di donna–in questo caso sempre vestito e mai nudo–utilizzando il termine Körper, il nome che Husserl usa per designare il “corpo-oggetto” o “corpo-rappresentazione”: il corpo che occupa un certo spazio e risponde quindi a certe misure. Se si osservano le opere presenti in mostra il corpo di Valie, con le proprie caratteristiche fisiche di lunghezza, di altezza, di flessibilità, aderisce a scalini, basamenti di colonne, angoli di muri e viene trasformato in ornamento, una decorazione all’interno della grammatica degli edifici viennesi. Lo spazio urbano cambia la propria solidità e la propria estetica grazie alla presenza del corpo dell’artista che, senza forzature, si inserisce nelle sue geometrie. Il messaggio che ci manda l’artista è chiaro: la presenza femminile non solo entra nello spazio politico urbano ma abita gli spazi architettonici “colti”, quelli riservati agli edifici civici, simboli di dominio; la questione dell’identità personale sposta la domanda da chi sono verso il dove sono e l’identità di genere è prodotta dallo spazio che gli esseri umani si creano per potervi esistere. L’immagine del corpo di Valie Export che si relaziona all’architettura, alla città e al paesaggio è un’affermazione radicale di una presa di possesso non solo della sfera privata ma anche di quella pubblica; il confine dello spazio delle donne, relegato da sempre al focolare domestico e alla cura dei propri cari, viene infranto e spostato nelle aree pubbliche, trasformando la strada e i marciapiedi, i vicoli e le scale in veri e propri spazi vitali.
Nella serie dei lavori della fine degli anni Novanta “Corpi orizzontali nel paesaggio” Ottonella Mocellin affronta il tema dell’identità, del suo legame con la narrazione e dell’identificazione in un altro da sé. Osservando queste fotografie di grande formato e dai colori brillanti la prima cosa che si nota è che il corpo dell’artista è sempre in posizione orizzontale e adagiato al suolo: è caduto? Svenuto? Addormentato o morto? Cambia solo il contesto, il luogo e il titolo dell’opera ma il ruolo del corpo all’interno della storia narrata è quello di essere privo di sensi, non eretto, fuori dal suo asse verticale, squilibrato. Con questa serie di lavori Ottonella Mocellin ci indica che il punto di vista è cambiato, che ci si deve spostare di lato e compiere un piccolo scarto concettuale se si vuole dare un senso alla propria identità. Siamo ancora di fronte a un contesto relazionale, dove il percorso narrativo fatto in prima persona (sono tutti autoritratti in cui l’artista utilizza travestimenti vari) è il punto di partenza dal quale investigare le relazioni umane, sul doppio livello del personale e del sociale.
FORMA E FIGURA DEI CORPI CONFIGURATI di Francesca Rigotti.
È bizzarro il fatto che il corpo che nelle immagini di Valie Export non ha forma ma si adatta alla forma intorno a cui si articola, diventi una forma orizzontale in quelle di Ottonella Mocellin. Non si vedono salme o cadaveri o donne defunte, se non forse nella piscina: si vedono invece corpi orizzontali, corpi di donne. Del resto le donne non hanno corpo verticale; non ce l’hanno perché sono inclinate. Questa è la straordinaria intuizione della filosofa Adriana Cavarero, contenuta nel suo libro Inclinazioni. Inclinazione è postura spaziale obliqua, quasi una lussazione (dal greco loxós, obliquo, da cui anche lusso e lussuria intesi come tendenze allo sperpero e all’appetito carnale). Termine innocuo in geometria, inclinazione, dove denota semplicemente un declivio, ma fonte di sospetto e di apprensione nella filosofia soprattutto moderna, dove siamo avvezzi a immaginare al centro della scena «un io in posizione dritta e verticale, …un soggetto che si attiene alla verticalità dell’asse rettilineo che funge da principio e da norma nella sua postura etica» […]
E Claude Cahun, donna non donna, donna che ama le donne, come gioca con queste condizioni, posizioni, conformazioni, informazioni, configurazioni? Il modo in cui Cahun vede la sua posizione, fotografando la sua compagna, autofotografandosi o facendosi fotografare (è interessante del resto notare come per tutte queste donne fotografe l’oggetto privilegiato della fotografia sia il loro stesso corpo) non è immediatamente e chiaramente classificabile. Bianca su nero, nera su bianco, bianco-e-nero, nero-e-bianco, bianco-nel-nero, bianco-su-bianco, verticale, anzi doppiamente verticale quando è accompagnata da un bastone o da un appendiabiti, orizzontale, inclinata, accovacciata, circolare! Talvolta prendendo la forma di ciò che la circonda, come quando si infila nel vano dell’armadio; o come quando si fa riprendere appesa alla corda lungo la parete rocciosa, talvolta come singola talvolta in doppio duplicato, ma quanto verticale! Con il capo rasato, i capelli corti, e poi con parrucche e capelli lunghi ma sempre nascosti da una cuffia o celati da una retina. Come se peculiare a Cahun fosse la capacità di tenere insieme i due mondi che qualcuno vuol sempre separare: luce e buio, bianco e nero, verticale e orizzontale, duro e morbido, cielo e terra, e mostrarcelo in queste fotografie così intense da far male, che irradiano senso, sorprendono e fanno riflettere.
C.S.
Fonte: Delos
3 BODY CONFIGURATIONS
20 gennaio – 18 aprile 2020
Ingresso libero
Fondazione del Monte di Bologna e di Ravenna
via delle Donzelle, 2 Bologna
centralino 051 2962511
segreteria@fondazionedelmonte.it