I primi due racconti fantastici di Adolfo Bioy Casares hanno in comune intrecci che avvincono chi ne legge le trame in una lucida allucinazione.

Nell’Invenzione di Morel (1940) una complessa macchina fotografica riesce a catturare un gruppo di persone riunite per una settimana di vacanze su di un’isola deserta dell’Oceano Indiano. Il progetto del suo inventore è riprodurre ad infinitum tutto quanto succede in quei giorni, con il proposito di rendere eterno l’amore che nutre per una donna di nome Faustine. Ma quello che si vedrà eternamente è il rifiuto, o l’indifferenza fredda, della donna. Colui che narra è un profugo, perseguitato politico che si nasconde per sfuggire ai torturatori. Fugge dal Venezuela, cerca rifugio sull’isola. E’ un essere inquieto, indagatore, tormentato da dubbi e domande che annota sul diario mentre cerca acqua, cibo, nascondiglio, travolto da improvvise maree, vivendo nei pantani. Le sue domande fanno eco al quesito centrale: “…Creo que perdemos la inmortalidad por que la resistencia a la muerte no ha evolucionado;sus perfeccionamientos insisten en la primera idea, rudimentaria: retener vivo todo el cuerpo. Solo habrìa que buscar la conservaciòn de lo que interesa a la consciencia…”*

   Egli assiste furtivamente a brani e scene che la macchina riproduce, prendendo per reali le persone e vere le vicende che le avvolgono, finendo per innamorarsi anche lui di Faustine, contemplandola di nascosto dal suo improvvisato nascondiglio. “…Pero esta mujer me ha dado una esperanza. Debo temer las esperanzas…Mira los atardeceres todas las tardes; yo, escondido, estoy miràndola…Ayer, hoy de nuevo, descubrì que mis noches y dìas esperan esta hora…Sin embargo siento, quizà un poco en broma, que si pudiera ser mirado un instante, hablado un instante por ella, afluirìa juntamente el socorro que tiene el hombre en los amigos, en las novias y en los que estàn en la misma sangre…”**

     Il processo di registrazione rivela però una amara sorpresa. Esso finisce per distruggere gli esseri umani che sono stati esposti alle radiazioni, per cui quella settimana registrata sarà stata l’ultima in vita, scambiata con l’immortalità dei simulacri eternamente proiettati. L’ossessione del perseguitato, una volta scoperta la macchina ed il suo modo di registrare, crescerà fino a farsi catturare volontariamente, con lo scopo di essere al lato di Faustine per sempre. Impara come azionare la macchina e inserisce sé stesso nella registrazione, con la speranza che una invenzione posteriore possa riunire le esistenze disperse e quindi permettergli di entrare nella coscienza di Faustine. Il romanzo combina la enigmatica storia fantastica, l’indagine cognitiva e la narrazione sentimentale in un geniale connubio.

                      

Nel Piano di Evasione (1945) lo sfondo degli avvenimenti è da un lato l’incomunicabilità, come se né il linguaggio né i rapporti umani consentissero una comprensione reciproca, tanto meno una verità condivisa, dall’altro la manipolazione sensoriale disposta per una impossibile, quanto sconcertante, missione.
Entrambi temi sono riflesso dello scetticismo di Bioy Casares e di certa propensione per il solipsismo. La vicenda è avvolta in molteplici misteri che sfidano la comprensione e sono metafora dell’enigma centrale, ovvero le capacità cognitive dell’essere umano e la loro alterazione.  Ancora una volta una isola misteriosa dove accadono delle cose inspiegabili e inquietanti, chiamata “Isola del Diavolo”. Ancora una volta si arriva al finale sorprendente attraverso equivoci, false piste, visioni, incubi, sogni, persone febbricitanti. Ancora una volta fatti e segni inspiegabili, mal interpretati, i protagonisti sono confusi, anche dal caldo e dalle malattie tropicali, impauriti da segni strani. Bioy Casares confida qui nell’intelligenza del lettore, a cui è richiesta attenzione e riflessione costante. Voci narranti e accentuati punti di vista fanno ricordare una delle caratteristiche de L’invenzione di Morel.

   Protagonista un tenente di vascello che arriva per prestare servizio alla Guayana francese, in una specie di esilio amoroso nelle prigioni della Colonia penale, prima di potersi sposare con Irene, a cui si sente unito da un amor contraddittorio. Sospetta l’esistenza di un piano di evasione dei presidiari, ne commisera le condizioni, si avvolge in una rete di enigmi circa le reali intenzioni del Governatore Pedro Castel. Osserva con preoccupazione i camuffamenti sull’isola, sconcertato dal fatto che essi sono presenti anche sulle pareti interne della carcere. Castel si rivela alla fine uno scienziato che, mediante ripetuti e complessi interventi chirurgici su alcuni carcerati, pretende convertire la reclusione in una specie di Paradiso terrestre, e quindi “liberarli” dalle pareti e dalla prigione senza che escano fisicamente dalle celle.

   Sentiamo certa perplessità morale, ma essa si sfuma e passa ad un secondo piano nella nostra mente, a causa dell’intreccio delle storie d’amore e la seduzione avvincente delle scoperte che conducono allo scioglimento dell’enigma. Siamo trascinati dall’innegabile suggestione, è impossibile non interrogarsi sul significato del simulacro attraverso le parole del profugo. Qui è palese l’anticipazione di Bioy Casares (siamo nel 1940!) su temi oggi attuali della relazione copia-originale, artificiale-naturale, attraverso una rigorosa vicenda fantastica, in un processo che vede l’artificiale prendere il sopravvento sul naturale, la copia prendere il sopravvento sull’originale.