Lunedì 18 maggio il Museo Poldi Pezzoli ha riaperto nuovamente al pubblico dopo 78 giorni. Durante il periodo di chiusura dovuto all’emergenza sanitaria (dal 24 febbraio al 17 maggio, con parziale riapertura dal 2 al 7 marzo), il Museo ha deciso di implementare una serie di iniziative digitali gratuite, dedicate a tutte le fasce d’età, per coinvolgere il suo pubblico ed esprimere la sua vicinanza, seppur virtualmente. Attraverso i suoi canali Facebook e Instagram, il Museo ha quotidianamente pubblicato le “Poldi Pezzoli Stories”, “pillole video” inerenti a diverse tematiche, quali approfondimenti su opere d’arte iconiche a cura del Direttore e dello staff scientifico, contributi di professionisti e associazioni che collaborano con il Museo, contenuti riguardanti la cura e la gestione delle collezioni. Inoltre contributi realizzati ad hoc dai Servizi Educativi del Museo, per bambini e studenti, e approfondimenti per insegnanti. L’obiettivo è stato quello di fornire ai visitatori un bagaglio di conoscenze maggiori, utile in preparazione delle visite quando il Museo avrebbe riaperto le sue porte, e di promuovere la conoscenza di tutte le attività che vengono quotidianamente svolte all’interno di un museo, anche se chiuso. I contenuti video sono stati resi disponibili anche sul canale YouTube. Anche il gruppo Giovani del Poldi Pezzoli ha promosso visite virtuali e itinerari all’interno del Museo, utilizzando le riprese degli interni del Poldi realizzate da Google Art Project qualche anno fa.
Le opere del Museo, quotidianamente presidiato per 24 ore dal responsabile della sicurezza, sono state settimanalmente controllate nel loro stato di conservazione da una responsabile dello staff scientifico. Così anche per la temperatura e l’umidità, che venivano controllate da remoto per garantire gli standard microclimatici.
Ma ora – spiega Annalisa Zanni, direttore del Museo – è giusto ripartire, con le dovute precauzioni. Siamo contenti dell’entusiasmo con il quale il pubblico ha seguito le nostre Poldi Pezzoli Stories; abbiamo ricevuto molti “grazie”, che ci hanno spronato ad offrire sempre contenuti di qualità, proprio nel rispetto della mission del Museo. Ora vogliamo ricambiare questo affetto e questa fedeltà riaprendo le nostre sale, dicendo ora noi grazie a chi vorrà tornare a godere della insostituibile bellezza delle nostre collezioni. E lo faremo con un’iniziativa speciale: il Museo offrirà ai primi 3000 visitatori un biglietto al costo di € 1.
Speriamo che il nostro progetto abbia successo – aggiunge Aldo Citterio, Presidente degli Amici del Museo Poldi Pezzoli – e che possa essere un punto di riferimento anche per altre istituzioni museali. Pensiamo in questo modo di raggiungere i seguenti obiettivi: riportare il pubblico nei Musei, far sentire la vicinanza degli AMICI, e creare sinergie con altre realtà culturali.
COME ACCEDERE AL MUSEO
La riapertura prevede nuove norme di accesso, per tutelare la salute dei visitatori e del personale di custodia. Il Museo è stato completamente sanificato secondo le norme vigenti e nel rispetto della conservazione degli ambienti e delle opere d’arte e il personale è stato dotato di guanti e mascherine protettive.
L’ingresso al Museo è contingentato (il Poldi Pezzoli dispone di 27 sale espositive, che consentono un afflusso di pubblico in sicurezza, senza assembramenti); i visitatori possono accedervi solo indossando la mascherina e il personale all’ingresso misura loro la febbre con un termo scanner e invita a disinfettare le mani con il gel messo a disposizione dal Museo e a procedere alla biglietteria (per l’acquisto del biglietto o per il ritiro del biglietto acquistato on-line, che si consiglia). All’ingresso è presente inoltre un apposito tappeto igienizzante per pulire le suole delle scarpe.
Verrà realizzata a breve una app che consentirà di seguire il percorso di visita attraverso il proprio smartphone.
Per tutelare maggiormente i visitatori e i custodi, si è scelto di chiudere il Museo per un’ora al giorno, durante l’intervallo (dalle 13.00 alle 14.00), orario di minor affluenza del pubblico. Il visitatore che accede a ridosso della pausa, può tornare dopo le 14.00 e terminare il percorso di visita.
Il Museo è aperto tutti i giorni, dalle 10 alle 18, eccetto il martedì.
LA MOSTRA
Il progetto, in forma di mostra e di catalogo, vuole innescare una serie di riflessioni sulla moda contemporanea, sulle sue qualità e sui suoi attributi, attivandole da quelle Lezioni Americane di Italo Calvino, che l’autore avrebbe dovuto tenere nell’autunno del 1985 all’Università di Harvard, nell’ambito delle Charles Eliot Norton Poetry Lectures. Calvino morì improvvisamente nel settembre dello stesso anno, ma la moglie Esther decise di pubblicarne le tracce scritte. Il titolo dato dallo scrittore era Six Memos for the Next Millenium. Così Memos, parola incisiva e ampia, è titolo dell’esposizione. La lettura di Calvino genera oggi una domanda fondamentale: può la moda, nel suo essere industria culturale, sistema di comunicazione, territorio ricco, ibrido e problematico, essere considerata pratica scientifica e poetica, e quindi naturalmente letteraria? La mostra utilizza le parole di Calvino come dispositivi per riflettere sulle trasformazioni e le permanenze della moda.
Memos evoca anche le note dattiloscritte da Diana Vreeland ai tempi della sua direzione di «Vogue America». Appunti, rivolti alla redazione, che trattengono sinteticamente la rapidità immaginifica di Vreeland. Note, che funzionano come mood board fatti di parole. Memos si propone così di costruire un “discorso sul metodo”, ovvero una riflessione sulla curatela di moda e sulla sua capacità di gestire i diversi prodotti della moda stessa: non solo gli oggetti, ma anche le immagini e le parole. Maria Luisa Frisa, ideatrice e curatrice, riflette sulla pratica del fashion curating e concepisce la mostra coinvolgendo Judith Clark per l’exhibition making e Stefano Tonchi con un progetto visuale. Discorso sul metodo che vede come interlocutori necessari la scrittrice Chiara Valerio e la regista Roberta Torre, a cui viene chiesto di dare voce ad alcuni dei materiali in mostra. Voci autoriali che descrivono l’oggetto assecondando le rispettive immaginazioni.
La mostra è insieme opera aperta e atteggiamento scientifico e poetico, esercizio “di ricerca e di progettazione, di scoperta e invenzione.” Teatro di questo esercizio è il Museo Poldi Pezzoli: la casa-museo di via Manzoni, nel cuore del tessuto urbano di Milano, a due passi dalla Scala, e vicina alle destinazioni iconiche della moda milanese, da via Montenapoleone a via Spiga. La casa-museo nasce nella seconda metà dell’ottocento per ospitare la collezione del suo fondatore, Gian Giacomo Poldi Pezzoli. Il museo è stato anche il luogo di una serie di mostre di moda, come 1922-1943: Vent’anni di moda italiana (1980) a cura di Grazietta Butazzi, che hanno guardato alla moda come campo di indagine storica, critica e curatoriale: grazie alla preziosa collaborazione del Comune di Milano – Raccolte Storiche, Costume Moda Immagine di Palazzo Morando saranno presenti in mostra alcuni abiti esposti nel 1980 in occasione della rassegna curata da Butazzi. Anche da queste considerazioni è nata la scelta di riattivare il legame tra gli spazi della casa-museo e la moda, attraverso una riflessione critica in forma di mostra.
La selezione degli oggetti: abiti, riviste ed ephemera che fanno parte delle storie della moda, e che contribuiscono ad articolare il percorso espositivo in una sequenza di memos tridimensionali, include tra gli altri abiti di Arthur Arbesser, Demna Gvasalia per Balenciaga, Boboutic, Riccardo Tisci per Burberry, Karl Lagerfeld per Chanel, Gabriele Colangelo, Maria Grazia Chiuri per Dior, Fausto Puglisi, Silvia Venturini Fendi per Fendi, Giambattista Valli, Giorgio Armani, Alessandro Michele per Gucci, J.W. Anderson per Loewe, Maison Martin Margiela, marco De Vincenzo, Maria Sole Ferragamo, Francesco Risso per Marni, Noir Per Moncler Genius, Moschino, Msgm, Prada, Random Identities, Paul Andrew per Salvatore Ferragamo, Pier Paolo Piccioli per Valentino, Versace. Il catalogo ha la dimensione di quello della collezione del Poldi Pezzoli: lo articolano immagini degli abiti e degli oggetti in mostra fotografati negli spazi del museo della coppia di fotografi Coppi Barbieri e testi di Maria Luisa Frisa, Judith Clark, Gabriele Monti, Stefano Tonchi che mettono a fuoco i riferimenti e le intenzioni del progetto Memos. L’immagine coordinata è un progetto di Alessandro Gori Laboratorium.
“Memos. A proposito della moda in questo millennio” è una mostra realizzata dalla Camera Nazionale Della Moda Italiana, in collaborazione con il Museo Poldi Pezzoli, con il supporto del Ministero Degli Affari Esteri E Della Cooperazione Internazionale e Ice Agenzia e del Comune Di Milano. Con la partecipazione di Tendercapital nell’ambito delle attività del suo incubatore d’arte TenderToArt.
MEMOS Note di Carlo Capasa
Esporre la moda è al tempo stesso celebrarla e fornirne una lettura critica. L’idea alla base delle mostre di moda non è tanto quella di proporre la moda come un’arte, ma piuttosto di utilizzarla come mezzo per leggere la società. La moda è un mezzo di comunicazione estremamente popolare, capace di provocare cortocircuiti e narrative complesse in relazione con tutte le discipline della contemporaneità. È per questa ragione che la Camera Nazionale della Moda Italiana, che sta portando avanti un articolato progetto di valorizzazione della moda del nostro paese, agisce confrontandosi con mezzi diversi, consapevole, oggi più che mai, della necessità di costruire una narrazione che definisca le qualità e i caratteri della moda italiana, in un momento culturalmente e politicamente cruciale di confronto con il panorama internazionale.
Memos. A proposito della moda in questo millennio è una mostra che si pone in maniera interrogativa, che propone e non chiude. Un progetto che vuole innescare una serie di riflessioni sulla moda contemporanea, sulle sue qualità e i suoi attributi, partendo dalle Lezioni americane di Italo Calvino. Moda in quanto industria culturale, sistema di comunicazione, strumento di riflessione e progettazione di oggetti e idee, territorio ricco, accogliente, ibrido. Memos si installa in un luogo carismatico della città di Milano, la casa-museo Poldi Pezzoli, centro propulsore di una serie di mostre che hanno guardato pioneristicamente alla moda come campo di indagine storica, critica e curatoriale. Attraverso il dialogo con il museo e con la città di Milano, Memos si connette direttamente alle azioni di storytelling promosse programmaticamente dalla Camera Nazionale della Moda Italiana, nella consapevolezza della necessità di riflettere in modo sistematico sulle necessarie politiche culturali da intraprendere per raccontare e valorizzare la storia, il presente e gli scenari futuri della moda italiana. Carlo Capasa
(Presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana).
MEMOS Note di Annalisa Zanni
Il Museo Poldi Pezzoli ha finora vissuto molte situazioni fortunate, a partire dalla sua nascita frutto di un atto di meravigliosa generosità. Nel corso dei suoi quasi centoquarant’anni di storia gloriosa ha scelto di percorrere spesso strade sperimentali, in controtendenza, per aprire dibattiti, discussioni, incroci di pensieri e sguardi, non certo per amore di polemica fine a se stessa. Anzi, per essere sempre propositivo, continua a riconoscersi nella definizione di oltre quarant’anni fa di museo quale «laboratorio della storia». Nel 1980-1981, con la direzione di Alessandra Mottola Molfino e la condivisione dell’allora Presidente nonché ex Soprintendente Gian Alberto Dell’Acqua, il Poldi Pezzoli organizzava una mostra progettata da Grazietta Butazzi, storica del costume e della moda, in collaborazione con le Civiche Raccolte d’Arte Applicata del Castello Sforzesco. Oltre a porre il tema dell’individuazione, attraverso un dialogo serrato degli oggetti di moda del ventennio 1922-1943 (abiti, borse, scarpe, disegni, riviste…), di una proposta per un museo della moda a Milano, esso intendeva riconoscere a questa produzione il ruolo di punta di diamante del settore italiano, evidenziando l’opportunità di riconoscersi un’identità, un ruolo storico, un modello di riferimento. La lettura degli abiti e degli accessori era sostanzialmente immersa nella storia del gusto e nella storia tout court che li aveva creati. Le professionalità coinvolte in questa coraggiosa impresa erano quelle dello storico del costume e della moda, del responsabile del Museo e delle sue collezioni, del restauratore di tessili.
La mostra servì anche a mettere a fuoco il tema-problema della creazione di un museo della moda, che aveva sicuramente necessità di nuovi modelli, che rispondessero alle caratteristiche di quella produzione di altissimo artigianato considerato troppo spesso effimera rappresentazione della bellezza e della ricchezza. Con questa mostra, che parte proprio dagli anni ottanta del Novecento, riproponendo abiti ma anche riviste, testi dedicati dal Museo alla storia del tessuto, viene proposto un differente modello di «lettura», che prende spunto da alcune delle parole d’ordine che guidano le Lezioni americane di Italo Calvino, capaci di esprimere la complessità di un mondo che accoglie abiti, corpi, forme, messaggi, filosofie per lo più mescolati e non sempre distinguibili. Le professionalità messe in campo sono quelle del critico-curatore, dell’exhibition maker, del fotografo di moda, in un processo curatoriale che spinge il nostro sguardo e la nostra mente in mille direzioni e suggestioni. Si tratta di un confronto e dialogo di metodi che non possono di fatto essere «confrontati» in quanto appartengono a due approcci-letture profondamente diversi. In ogni caso una sfida verso il futuro in divenire che ci coinvolge-sconvolge quotidianamente. Annalisa Zanni (Direttore del Museo Poldi Pezzoli)
MEMOS Note di Maria Luisa Frisa
L’atteggiamento scientifico e quello poetico coincidono: entrambi sono atteggiamenti insieme di ricerca e di progettazione, di scoperta e di invenzione. (Italo Calvino, La sfida al labirinto, 1962).
Apparatus. In Power/Knowledge. Selected Interviews and Other Writings 19721977 , Michel Foucault defines a dispositif or apparatus as a set of heterogeneous elements that form a network of discourses, institutions, administrative measures, scientific statements and philosophical, moral, and philanthropic positions. An apparatus is a strategic concatenation that functions at a specific historical moment of urgency. (Warren Neidich, Glossary of Cognitive Activism. For a Not so Distant Future, 2019)
Così, a cavallo del nostro secchio, ci affacceremo al nuovo millennio, senza sperare di trovarvi nulla di più di quello che saremo capaci di portarvi. (Italo Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, 1988)
“Memos. A proposito della moda in questo millennio” è una riflessione progettuale, una riattivazione di ripetizioni, una stratificazione di temporalità, una costellazione di argomenti e tesi, una lista incompleta, una serie di appunti, divagazioni, scarabocchi, una mappa di allusioni e inciampi. Un inventario di dimenticanze. Un work in progress. Un taccuino di appunti che assume la forma di una mostra, insieme a un libro che si propone quale sommario di atteggiamenti e metodi, di conversazioni, di memorie, di ricerche che sono ancora cantiere aperto. Il progetto nasce da una recente rivisitazione di Italo Calvino stimolata da un generale e rinnovato interesse per la sua opera, e più precisamente dalla rilettura illuminante dei Six Memos for the Next Millennium, la serie di lezioni che lo scrittore avrebbe dovuto tenere nell’ambito delle Charles Eliot Norton Poetry Lectures all’Università di Harvard nell’anno accademico 1985-1986. Lettura che ho condiviso, nel mentre, con Judith Clark, in una conversazione che si è dilatata nel tempo via telefono, posta elettronica e messaggi, avviando un confronto serrato sulle applicazioni e sugli sviluppi prospettici che l’approfondimento dei Memos ci suggeriva nelle pratiche curatoriali della moda, in quel fashion curating che insegniamo nelle nostre rispettive università. Possono infatti questi testi, dedicati a «valori, qualità, specificità» della pratica letteraria, diventare, oggi, spunto utile per indagare e connettere quelle pratiche creative, quei processi, quelle tecniche, quei valori culturali, politici, economici che plasmano i linguaggi e i modelli di produzione della moda?
Nello studio, come nel lavoro, non sono sistematica. Procedo per immagini e concetti che prendono sempre la forma di appunti. Parole, mappe, frasi che possono diventare progetto: mostra o libro. O rimanere solamente esercizio o verifica. Nella loro impostazione i Memos di Italo Calvino mi hanno indicato un metodo che posso applicare al mio modo di lavorare. Notazioni, appunti, abbozzi di idee. Sketch che rapidamente fissano un tema senza però definirne i contorni, esplorando la rete di relazioni che attivano. Calvino non intendeva fornire soluzioni, piuttosto tracciare strade possibili: valori su cui riflettere per interrogare e comprendere la contemporaneità. Ha scritto Marco Belpoliti: «Il compito che Calvino assegnava alla letteratura è proprio quello “di stare in mezzo ai linguaggi diversi” allo scopo di tenere viva la comunicazione tra essi».
Nella prefazione ai Memos Calvino argomenta: «Siamo nel 1985: quindici anni appena ci separano dall’inizio di un nuovo millennio. […] Comunque non sono qui per parlare di futurologia, ma di letterature. Il millennio che sta per chiudersi ha visto nascere ed espandersi le lingue moderne dell’Occidente e le letterature che di queste lingue hanno esplorato le possibilità espressive, cognitive e immaginative. […] Forse il segno che il millennio sta per chiudersi è la frequenza con cui ci si interroga sulle sorti della letteratura e del libro nell’era tecnologica cosiddetta post industriale». Lo scrittore guarda al nuovo millennio offrendo una serie di luoghi e figure letterarie a cui è affidato il compito di costruire gli spazi della consapevolezza e dell’immaginazione. Zone aperte, di transito, in cui è possibile far deragliare quei frammenti, quei pensieri, quelle sensazioni, quei ricordi che stipano la memoria involontaria. E, mentre scrivo, riemerge, annotato in uno dei miei blocchi neri, un altro passo di Calvino, dalla quinta delle Lezioni, significativamente intitolata Molteplicità: «Ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario di oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili». Così che ciascuno di noi può configurare un suo tessuto testuale in cui divagazioni e accadimenti agiscono interrompendo il flusso, creando una discontinuità. La distruzione della continuità obbliga allora alla ripartenza, all’esplorazione. I Memos si sono rivelati dispositivi di natura essenzialmente strategica, capaci di agire nell’individuazione di quei punti che possiedono capacità di sviluppo. A questa idea riconduco il Foucault evocato in una delle citazioni iniziali, attraverso una rielaborazione di Giorgio Agamben in Che cos’è un dispositivo?: «Chiamerò dispositivo letteralmente qualunque cosa abbia in qualche modo la capacità di catturare, orientare, determinare intercettare, modellare, controllare e assicurare i gesti, le condotte, le opinioni e i discorsi degli esseri viventi»; dispositivi sono così «anche la penna, la scrittura, la letteratura, la filosofia».
Non accade tanto che i concetti posti a titolo di ciascuna delle Lezioni americane (Leggerezza , Rapidità e così via) diventino punto di applicazione per la nostra disciplina, quanto che l’indizio, la citazione, il girare intorno in un continuo gioco di rimandi suggeriscano una rete di narrative capaci di mettere a fuoco la relazione tra oggetti, tempo e spazio, che è la questione centrale delle pratiche del fashion curating. La mostra è opera, non interpretazione. Harald Szeemann il grande curatore svizzero, sciamano e guru di tutti i curatori, così si definiva: «I am not a curator. I am an author». In questa occasione è una riconfigurazione dell’esistente ad attuarsi nel dialogo con il progetto dell’exhibition maker Judith Clark, artefice di una presentazione che occupa lo spazio riformulandone la percezione. È il gusto del tempo che influenza il nostro modo di vedere le cose e le nostre scelte. Avanguardia, universalismo, progresso, radicalità appartengono al secolo scorso, mentre propri del nostro sono il presente, la sperimentazione, il relativo, il fluido, la geopolitica: i principi che agiscono nella contemporaneità e nelle sue forme. Ogni mostra di moda della nostra epoca diventa strumento per mobilitare e mettere in discussione le convenzioni relative al fare abiti e al tempo a cui appartengono. Così se la selezione degli oggetti che costella una mostra da una parte richiama gli oggetti magici calviniani, quelli posti al centro di un campo di forze magnetiche, dall’altra esprime in maniera dialogica il tempo sempre presente della moda. Oggetti attivati dallo sguardo del curatore e dal suo gesto, proprio e solo in quel preciso momento. È l’intuizione (e la capacità di esplicitarla) che tra il progetto dell’abito e il progetto del corpo c’è il progetto visionario, rivoluzionario di quegli immaginari oggi più che mai al centro di una concezione della moda che si riappropria del reticolo di idee che li ha generati e lo amplifica.
Ha scritto nel 2012 Carolyn Christov-Bakargiev presentando l’edizione di Documenta da lei curata: «Di fronte al fatto che esiste una infinità di verità valide, ci scontriamo perennemente con interrogativi insolubili. Di qui la possibilità di non scegliere o di scegliere qualcosa che sappiamo anche essere parziale o inevitabilmente falso». Così questa mostra cerca di chiarire cosa significa affrontare un progetto curatoriale e quali rapporti il curating ha con le pratiche progettuali che informano la moda contemporanea, per far capire che di una mostra non è importante solo l’esito, ma (forse e soprattutto) il processo che l’ha generata. È in quella dimensione che le domande prendono forma, e che gli oggetti, il display, i testi si intrecciano cercando di fornire alcune possibili risposte. Curare una mostra è un gesto che oggi più che mai si avvicina a quello del fashion designer e del direttore creativo: mi vengono in mente le «scorciatoie» di Virgil Abloh, gli statement che diventano banner femministi di Maria Grazia Chiuri o «i campi di riattivazione poetica» di Alessandro Michele. Perché la moda (l’ho già detto molte volte) non è solo una questione di vestiti: è soprattutto una disciplina che affronta la contemporaneità, la interroga, la definisce senza chiuderla. E nel fare questo parla di noi, del nostro stare nel tempo.
Un progetto espositivo come Memos ha scelto di prendere forma e agire anche in relazione a un territorio espressivo, i cui luoghi sono attraversati dalla potenza di una storia impastata anche del valore civile, politico ed estetico delle vicende e delle azioni di chi l’ha abitata o governata. La dislocazione degli oggetti, l’atlante che dispiegano anche in relazione a questo preciso luogo, la casa museo Poldi Pezzoli, la riattivazione-calco di un episodio saliente del passato come la mostra 1922-1943: Vent’anni di moda italiana , grazie alle fantasmagorie concettuali del progetto allestitivo di Judith Clark, sono declinazione di materiali documentari non piegati dal discorso del critico, ma presentati in una maniera che rispetta il loro portato di informazione visiva e allusiva. La loro efficacia attraverso il tempo permette un «riconoscimento» capace di rivelare, illuminare l’attualità di quella vicenda.
Potremmo descrivere il progetto di Memos in molti modi: è un luogo nel luogo, è un’operazione che vuole esplicitare la pratica del fare mostre, è una selezione parziale di oggetti, ciascuno dei quali evoca le influenze di cui è frutto o che ha innescato, è una strategia per declinare le diverse forme di progettazione della moda, è una serie di oggetti d’affezione che giocano un ruolo diverso nell’atlante delle emozioni che mobilitano.
Nel dicembre 2018 sono stata chiamata a partecipare alla Commissione di studio per politiche pubbliche a favore della moda italiana istituita dal ministero per i Beni e le attività culturali, allora guidato da Alberto Bonisoli. L’esperienza per me si è conclusa con le dimissioni, vista l’impossibilità di produrre qualcosa di concreto. Avevo proposto un progetto di valorizzazione dei luoghi in cui si erano prodotte esperienze seminali per la cultura e la promozione della moda italiana, proprio a partire dal Museo Poldi Pezzoli, per recuperare l’azione pioneristica di Grazietta Butazzi e Alessandra Mottola Molfino, in particolare la mostra 1922-1943: Vent’anni di moda italiana, lì allestita nel 1980: un progetto ampio e articolato che intendeva promuovere un museo nazionale della moda. È stato allora che ho cominciato a pensare a un progetto nel Museo Poldi Pezzoli che potesse essere riattivazione di quella mostra e del significato che aveva avuto nel segnare un momento identificativo della moda italiana. Maria Luisa Frisa
C.S.M.
Fonte: Ufficio stampa Museo Poldi Pezzoli
MEMOS. A PROPOSITO DELLA MODA IN QUESTO MILLENNIO
21 febbraio – 4 maggio 2020 (date inizialmente previste, prima della chiusura per Coronavirus)
Nuove date dal 18 maggio al 28 settembre 2020
Museo Poldi Pezzoli
Via Manzoni 12 – Milano
Informazioni: 02 794889 | 02 796334
info@museopoldipezzoli.org
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www.museopoldipezzoli.it