Nei giorni delle restrizioni per il coronavirus, abbiamo intervistato telefonicamente Massimiliano Boschini, vice sindaco a Marmirolo (Mantova), fotografo, scrittore, poeta e ideatore di un diario della quarantena in forma di staffetta
L’arte non come professione principale. Oppure si?
Nella vita lavoro in un’azienda informatica che si occupa di software per la formazione a distanza e siamo molto impegnati. Ho la presunzione di pensare che l’arte tout court sia molto terapeutica. Mi sono occupato di fotografia per una quindicina d’anni, facendo mostre e festival in tutto il mondo. Fotografare mi faceva stare meglio. Poi, siccome siamo esseri in evoluzione, ho abbandonato questo genere e ho iniziato ad approcciarmi alla scrittura, sempre con la sensazione che scrivere mi facesse stare meglio dal punto di vista emotivo, una sorta di autoterapia. Il passaggio è intervenuto quando mi sono reso conto che la macchina fotografica non mi dava più stimoli.
Aveva già all’attivo delle pubblicazioni?
Si, un libro su una esperienza fatta in Sudamerica, dove sono stato per un mese nel 2007 quando con il collega fotografo Mauro Manuini ho partecipato alla Biennale di Cuenca, in Ecuador. Da quella circostanza è nato un volume, edito da Il Cartiglio Mantovano: “Con le scarpe pulite. La vita sulle Ande”. Un libro fotografico nel quale avevo aggiunto dei commenti di mio pugno su ciò che vedevo e tanti avevano apprezzato non solo le fotografie ma anche quello che avevo annotato.
Così si è dato alla scrittura?
Molti critici hanno affermato che la mia è un tipo di scrittura “visuale”, se si può usare questo termine. Nel senso che, leggendo, si percepisce che ci sia dietro una persona che ha utilizzato l’immagine come mezzo espressivo.
Ha avuto qualche fonte ispiratrice?
Sono un lettore
onnivoro, leggo tantissimo. Non esagero: a volte leggo anche un libro al giorno.
Una volta sono incappato in un volume chiamato “Vite sbobinate e altre vite” di Alfredo Gianolio. Un autore che
negli anni ‘70 era andato con un registratore a cassette a intervistare i
pittori naif della “bassa”. Le sue pagine mi hanno fatto da stimolo, mi sono
innamorato di questo mondo padano e mi sono messo in testa di fare un libro di
poesie in dialetto mantovano. Così ho iniziato a scrivere di mio pugno dei
versi che ho raccolto in “Mòrs. Vita morsi
e miracoli fra Berlino est e la pianura padana” (ed. Sometti 2016). Io ho
46 anni e l’ho inteso come un tentativo di portare di nuovo alla
contemporaneità l’utilizzo del dialetto mantovano come forma di scrittura. Il
libro ha avuto molto successo, l’ho presentato in una quarantina di comuni del
mantovano e anche fuori. Mi dato soddisfazione anche dal punto di vista delle vendite.
Il bello è che una sera, alla fondazione Zavattini di Luzzara, la mia opera è
stata presentata da Alfredo Gianolio, colui che mi aveva dato il “la” per
scrivere, quindi il cerchio si è chiuso. In quella occasione Gianolio disse che
il mio libro gli era piaciuto tanto, era stato una scoperta e mi invitava a
cimentarmi con le poesie in italiano.
E lei lo ha fatto?
L’idea è rimasta ferma un po’, poi improvvisamente un bel giorno ho deciso di provare a seguire il suo consiglio e scrivere poesie in italiano. Da qui è nato il mio secondo libro “L’amore puzza d’odio”. È un poemetto e narra l’inizio e la fine di una storia d’amore vista da un lui, che sarei poi io. È uscito nel 2019 per la casa editrice nazionale Miraggi di Torino, molto attiva nell’ambito della poesia contemporanea. Anche questa fatica letteraria mi ha dato molta soddisfazione.
Chi sono i suoi lettori?
Ho notato che piace molto a un pubblico di donne. Evidentemente che un uomo scriva poesie d’amore intriga il target femminile che forse più dell’uomo è sensibile a questi temi.Il libro, come dicevo prima, narra la nascita, l’evoluzione, il declino e la morte di una storia d’amore ed è diviso seguendo le quattro stagioni: in primavera sboccia l’innamoramento, in estate c’è il consolidamento, in autunno inizia il declino e con l’inverno c’è la morte della storia a due. Anche lo stile cambia. In primavera scrivo in maniera più frizzante e briosa; l’inverno sono poesie un po’ tetre, consone alla storia d’amore che finisce e che fa star male e soffrire il protagonista.
La domanda è scontata ma inevitabile: è una storia autobiografica?
Lo dico a scanso di equivoci: sono sposato con due figli. Narra una situazione che non è quella attuale. Però non essendo un ragazzino e avendo quasi cinquant’anni, nella mia vita ho avuto modo, come tutti, di vivere storie d’amore diverse. Quindi ciò che ho scritto è in parte autobiografico.
Autobiografico e pessimista?
Si, pessimista anche se, alla fine, l’ultima poesia lascia presagire che la vita va avanti. Finisce male sicuramente, ma lui a un certo punto capisce che la vita prosegue e quindi può innamorarsi di un’altra persona.
So che ha un altro progetto significativo in via di realizzazione, legato al tempo del coronavirus
Rispetto alla scrittura come terapia, all’inizio della quarantena mi è venuta l’idea di creare un diario collettivo. Proprio perché ho la presunzione di pensare che scrivere faccia stare meglio, un giorno ho messo un post su Facebook in cui cercavo amici che volessero aiutarmi nella stesura di un diario. Ogni persona doveva raccontare la sua esperienza durante la permanenza in casa. A differenza di tanti altri diari che si sono susseguiti, questo è stato fatto in forma di staffetta. Ho cominciato io e in fondo alle mie righe ho introdotto la persona che avrebbe scritto dopo di me. Sono arrivato ad avere trentuno autori, ognuno dei quali è collegato a chi lo precede e si collega con il successivo. C’è un filo conduttore, una sorta di contagio positivo perché non potevi sapere quando toccava a te scrivere: succedeva quando chi aveva scritto prima di te trovava il modo di introdurti.
Sui contenuti cosa può anticipare?
Io non ho posto vincoli di nessun tipo. C’è stato chi ha fornito una pagina, chi otto cartelle. Tra i trentuno coinvolti ci sono persone di ogni tipo: agricoltori, imprenditori, avvocati, giornalisti, impiegati, dottori … Una molteplicità di approcci diversi, dal laureato al diplomato di terza media, quindi anche il modo di scrivere varia tantissimo. Ho visto molto entusiasmo, mi mandavano messaggi chiedendomi: “quando tocca a me?”. A tutti rispondevo: “portate pazienza perché io non posso sapere quando tocca a voi. Vedrete che prima o poi arriverà anche il vostro turno”. E tutti erano felici di contribuire.
Quando potremo leggere il diario-staffetta?
Il libro sarà stampato dall’editore Sometti. È in fase di editing e non sappiamo ancora quando sarà pubblicato. Dipende da quando si sbloccherà la situazione.
Mi è parso di capire che lei ami più di ogni altra la forma della poesia?
Si, per adesso la mia forma di scrittura preferita è la poesia, o comunque la scrittura breve. Infatti, memore del diario, ho iniziato a stilare dei brevi racconti dove in pochissime parole descrivo la quarantena. Anche questa idea piace e tante persone mi mandano messaggi chiedendomi quando ne scriverò di nuovi.
Dove si possono leggere?
Li ho messi su un piccolo blog “Note a margine”. Per adesso sono arrivato a otto, perché ho iniziato una settimana fa. Poi vedremo, non so ancora cosa ne farò.
In lei che si occupa di politica e di software, come è nato l’amore per la scrittura?
Sono tra i soci fondatori del gruppo fotografico “La ghiacciaia” di Marengo (n.d.r. frazione di Marmirolo – Mantova) e fino a quel momento non avevo mai avuto modo di avere a che fare con l’arte. Era una curiosità, non possedevo neanche la macchina fotografica, la comprai in quella occasione. Questa esperienza mi ha aperto un mondo. Perché oltre alla fotografia ho poi avuto tante esperienze trasversali.
Ad esempio?
Nel 2016 ho partecipato alla 49° edizione del Premio Suzzara (n.d.r. mostra d’arte nata nel 1948 su iniziativa di Dino Villani) con una proposta stranissima: un radiodramma che si chiamava “La pace dei sensi”, andato in onda su una emittente locale in tre puntate. Prendendo spunto dal libro di Orson Welles “La guerra dei mondi”, avevo simulato l’arrivo dei marziani a Suzzara e i marziani erano gli artisti.Avevo fatto una finta diretta e con in mano il microfono ero andato dal sindaco, dai vigili… È un’esperienza che mi piace citare perché dimostra apertura verso mondi inesplorati. Poi ho avuto occasioni come realizzatore di poster e ho partecipato ad alcuni festival tematici.
Continua tuttora ad essere attratto da varie forme espressive?
Sono molto curioso e, così come sono passato dalla fotografia alla radio alla scrittura, non escludo che un domani io possa dedicarmi ad altro. Cerco di non fare sempre le stesse cose e quando mi rendo conto che sto reiterando una formula cambio aria. Il che può essere sia un pregio che un difetto.
Un pregio perché si allargano gli orizzonti, un difetto perché forse non si riesce a consolidare?
Esatto, lo intendevo proprio in quel senso.
In questi giorni a cosa si sta dedicando?
Sto scribacchiando sul blog i suddetti racconti brevi. La quarantena stimola a scrivere ma non riesco a pensare a un progetto sul medio termine perché ho bisogno di uscire da questa situazione. Almeno per quanto mi riguarda, devo essere mentalmente libero da pensieri oppressivi e negativi per esplicarmi al meglio.
Maria Fleurent
Mantova 20 aprile 2020
Contributi fotografici tratti dalla pagina FB
https://medium.com/note-a-margine