Le imprese
che operano nel settore della cultura hanno subito perdite enormi a causa della
chiusura obbligata delle attività per la pandemia del COVID-19.
Il settore delle mostre d’arte è uno dei più colpiti per due motivi: il primo è
perché vive soltanto sugli incassi delle biglietterie, che sono di fatto
bloccate dalla metà di febbraio; il secondo è che i costi delle mostre si
sostengono al 95% prima dell’apertura, mentre i ricavi sono tutti
successivi.
Quindi, cosa è successo con la chiusura improvvisa? Le imprese si sono trovate
con tutti i costi delle mostre aperte o in apertura ma senza incassi. E
considerando i costi non proprio contenuti delle mostre… si parla di qualche
milione di euro.
A sorpresa e diversamente da quanto programmato negli altri Paesi, si è appreso
solo ieri che in Italia è prevista una riapertura delle mostre il 18 maggio. Si
comprende e si apprezza la volontà di dare un segnale positivo per
il turismo e per il Paese, ma una riapertura così ravvicinata non è
tecnicamente sostenibile per i seguenti motivi:
1. Non c’è stata ancora una risposta su eventuali sostegni per le imprese della
cultura: con le grosse perdite subite, non è possibile correre ulteriori rischi
senza sapere se vi saranno aiuti e come si potranno portare avanti le
attività.
2. Il periodo maggio-settembre è notoriamente quello con le minori affluenze di
pubblico alle mostre. In tempi “normali” aprire una mostra a maggio equivale a
una perdita certa (la stagione primaverile delle mostre va da febbraio a
giugno); in questo momento, con i contagi e la paura ancora diffusi,
significherebbe aprire per (forse) pochissime persone al giorno. Va anche
considerato il fattore psicologico: dopo quasi due mesi di quarantena, quante
persone vorranno recarsi in un luogo chiuso come lo spazio espositivo di
una mostra? E quante, con le incertezze economiche correnti, potranno spendere
soldi per visitare una mostra?
3. Il pubblico delle mostre è composto per il 10% dal pubblico scolastico
(escluso in questa fase), per il 40% dal pubblico dei gruppi (escluso in questa
fase), per il 15% dal pubblico di turisti (escluso in questa fase), per il 15%
dal pubblico over 65 anni (escluso in questa fase). Rimane un 20%
del cosiddetto “pubblico singolo” che, se anche volesse andare alle
mostre, non consentirebbe in alcun modo di coprire le spese.
4. Con le necessarie misure di sicurezza, potrà entrare una persona ogni 5
minuti, quindi al massimo 120 persone al giorno, con un incasso medio di circa
1.200 euro al giorno. Il costo giornaliero medio di una mostra, considerando
il personale di vigilanza e di biglietteria, le assicurazioni, gli
affitti, le pulizie, ecc., si aggira intorno ai 6.000 euro. È evidente che
sarebbe del tutto antieconomico.
5. Gli spazi espositivi delle mostre tipicamente non sono ambienti “sani”: non
hanno finestre (né si possono aprire, per la conservazione delle opere), di
solito hanno la moquette in terra, non c’è ricambio di aria. Anche immaginando
una sanificazione frequente (che peraltro costituisce un costo in più),
qualora in mostra passasse una persona contagiata metterebbe a rischio tutte le
altre, perché anche adottando la distanza sociale di uno o due metri, l’aria
nelle stanze resterebbe la stessa e i pavimenti non sono facilmente
lavabili. Tantomeno sono lavabili le opere d’arte, che non potranno di certo
essere disinfettate. Infine nessun assicuratore esercita una copertura per
i rischi di contagio da coronavirus, quindi il rischio per chi organizza
sarebbe molto alto.
6. Le misure di sicurezza da adottare (prenotazioni obbligatorie per i
visitatori, percorsi obbligati all’interno delle sale, audioguide da rifare,
santificazione frequente, dispositivi per la igiene del pubblico, impianti per
il ricambio salubre dell’aria), richiedono tempo (almeno 4 mesi di lavoro)
e ulteriori investimenti. Si sarà pronti non prima di settembre, con le misure
adeguate.
7. I prestatori nazionali e internazionali non prestano finché non c’è certezza
di poter viaggiare, e sicuramente a maggio i viaggi internazionali non saranno
consentiti.
L’apertura del 18 maggio può valere solo per alcuni musei pubblici – posto che
possano garantire le misure di sicurezza in tempi così rapidi – o per mostre
sostenute con fondi pubblici, per cui ci si può appellare al
servizio pubblico, o per alcune mostre già aperte prima della crisi, che
possono essere prorogate se si prevede la sostenibilità economica.
Nessun operatore privato coscienzioso potrà operare in tempi così rapidi, visti
i presupposti di cui sopra. Aprire una mostra tra qualche settimana
sarebbe antieconomico e rischioso per la salute di chi lavora e di chi visita,
aumenterebbe il rischio delle perdite già certe e andrebbe quindi a
peggiorare una situazione già molto compromessa.
Prima si deve affrontare il tavolo dei sostegni alle imprese della cultura, poi
si devono mettere a punto le misure di sicurezza avendo il tempo di testarle, e
poi si possono annunciare le riaperture in maniera sensata e univoca,
mettendo tutti nelle stesse condizioni di operare, anche per correttezza di
mercato.
Il tempo giusto per riaprire, a mio parere, è ottobre 2020 – con 5 mesi di
lavoro preparatorio – ovviamente sperando che non riparta l’epidemia.
Iole Siena Presidente del Gruppo Arthemisia
Roma, 28 aprile 2020
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