La quarta parete del palcoscenico teorizzata da Diderot si ergeva, mattone su mattone, durante lo spettacolo di Remondi-Caporossi assurgendo a metaforico strumento di divisione tra scena e pubblico e tra i due interpreti, uno di qua e uno di là. Era il 1977 e Cottimisti abbinava felicemente Samuel Beckett e Buster Keaton. Quarantatré anni dopo, un muro torna sul palcoscenico: questa volta trasparente, in plexiglass, funzionale allo spettacolo che vede l’attore-tennista giocare sul palcoscenico dirimpetto al muro guardando il pubblico, e funzionale alle norme anticoronavirus che richiedono in determinati luoghi barriere trasparenti per evitare contagi. Nella fase X che vedrà la riapertura dei teatri con gli spettatori opportunamente distanziati, la separazione attore-pubblico sarà dunque già garantita in partenza. A riproporre la quarta parete (mai attuale come oggi) è una novità del Teatro Stabile di Verona – Centro di Produzione Teatrale: Il muro trasparente – Delirio di un tennista sentimentale, spettacolo a cura di Monica Codena, Marco Ongaro e Paolo Valerio (scena di Antonio Panzuto) che debutterà non appena le normative lo consentiranno. Sul palcoscenico solo Max, il protagonista, interpretato da Paolo Valerio che tennisticamente, secondo i parametri FIT, è un 3.4.
Max affronta la crisi della sua vita come ha sempre fatto: giocando a tennis. Lo fa contro una parete di plexiglass. Dall’altra il pubblico nei panni, in pratica, dell’avversario. Max soppesa la racchetta, si confronta con la schiena dolorante, si misura con la passione del tennis e la passione amorosa. Gioca, pensa, racconta, si dibatte. Emergono l’ossessione per il tennis, per l’oroscopo, per le chat. Momenti di silenzio si alternano a urli di sfida, quasi disperati, di un uomo alle prese con gerarchie di sentimenti che si travasano l’uno nell’altro. Le soluzioni si fanno problemi, l’agonismo dell’innamoramento trascolora nella rivalità tra solitudine e vita. Avrà il fiato necessario per portare a termine la partita? Chi è l’avversario? Cos’è l’amore? Chi vince cosa?
Entrato nella danza nel 1913 con Jeux di Vaslav Nijinski, il tennis è da sempre un buon compagno di viaggio del teatro: dallo spettacolo Open – La mia storia tratto dall’autobiografia di Andre Agassi a Doppio misto di Danilo De Santis e al monologo La solitudine del tennista, diversi sono stati gli allestimenti incentrati sul tennis. Mai però mettendo in primo piano il “muro” usato dai campioni per allenarsi. Non il muro irregolare in pietra prediletto da Björn Borg. Un muro in plexiglass, un muro ai tempi del coronavirus.
C.S.
Fonte: Ufficio Stampa Teatro Stabile Verona
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