È stato restituito ai Musei Civici d’Arte Antica dell‘Istituzione Bologna Musei il dipinto di Filippo da Verona “San Francesco riceve le stimmate”. L’opera fa parte delle Collezioni Comunali d’Arte situate a Palazzo d’Accursio. Il capolavoro, parte importante del patrimonio della città, torna al suo splendore grazie al progetto “Opera tua”.
“San Francesco riceve le stimmate” di Filippo da Verona (documentato tra la fine del XV e il primo quarto del XVI secolo) è un dipinto ad olio su tavola risalente al 1515-1520. Di questo pittore veronese si hanno pochissime notizie documentarie, la maggior parte delle quali si desumono dalle firme apposte alle sue opere o da contratti siglati per l’esecuzione di lavori. Si apprende così che si spostò frequentemente, per seguire le commissioni che riceveva, lavorando in numerosissime città dell’Italia settentrionale e adriatica. Noto soprattutto per la realizzazione di opere di soggetto religioso, destinate a luoghi di culto o alla devozione privata, Filippo da Verona si distinse per il suo talento e la capacità di aggiornare la sua pittura, formatasi nell’ambiente veneto del tardo Rinascimento. L’opera può essere ammirata dal pubblico nella Sala 6 del percorso espositivo delle Collezioni Comunali d’Arte a partire da mercoledì 24 giugno, nei giorni di apertura del museo.
Il restauro, iniziato a fine ottobre 2019, è stato realizzato per la parte riguardante la parchettatura da Daniele Biondino di Bologna e dalla ditta Pantone Restauri di Roma per la parte pittorica. L’intervento ha previsto l’asporto dell’opera dal suo abituale allestimento, il rilievo fotografico, anche a luce infrarossa, per la localizzazione delle zone maggiormente degradate della tavola, e numerose indagini diagnostiche, che hanno fornito informazioni fondamentali per il corretto svolgimento del restauro. Si è proceduto quindi al consolidamento del supporto ligneo, colmando le lacune che si erano create con il tempo nelle assi che compongono la tavola. Per fare ciò è stato necessario rimuovere le traverse apposte sul retro, che sono state rimontate una volta terminate le operazioni di risanamento. Si è poi proceduto con la pulitura della superficie pittorica, rimuovendo le ridipinture non coeve all’opera. Infine sono state fatte le stuccature in corrispondenza delle fessure tra le tavole e i ritocchi pittorici, per permettere una corretta visione dell’immagine.
SCHEDA OPERA a cura di Silvia Battistini
Filippo da Verona (doc. 1505 c. – 1522) San Francesco riceve le stigmate olio su tavola, cm 130 x 94,8 Bologna, Collezioni Comunali d’Arte
L’opera è esposta alle Collezioni Comunali d’Arte dal primo allestimento del 1936 ad opera di Guido Zucchini, ma era stata precedentemente individuata da Francesco Malaguzzi Valeri tra i beni comunali tenuti in magazzino e prelevata per essere esposta a partire dal 1924 alla Regia Pinacoteca di Bologna, come opera ferrarese. Purtroppo non si conoscono le circostanze dell’accesso nel patrimonio pubblico, lasciando aperta sia la possibilità che si trovasse in un luogo di culto soppresso sia che fosse parte di una delle eredità pervenute al Comune tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi anni venti del Novecento (Palagi, Pepoli, Rusconi). L’eccezionale qualità di quest’opera è ora ben apprezzabile grazie al restauro effettuato dalla ditta di Luca Vincenzo Pantone di Roma.
La pala fu attribuita correttamente da Daniele Benati nel 1990 al nostro artista, grazie agli studi su Filippo da Verona che si erano succeduti a partire dagli anni ottanta del XX secolo. Il maestro nel corso degli anni dieci aggiornò il suo stile, mostrando di conoscere bene Raffaello, Dosso Dossi, Lorenzo Lotto, il Romanino e Amico Aspertini (al quale venne anche attribuita la tavola in esame), ma anche Albrecht Dürer e soprattutto Albrecht Altdorfer. Pittore colto e itinerante, ebbe modo di conoscere le novità delle arti nei luoghi in cui lavorò: il Veneto e la Lombardia, la Liguria, l’Emilia, le Marche, il Lazio, terre legate da relazioni culturali e politiche complesse, che non si rispecchiano nelle divisioni regionali odierne. Unanimemente gli studiosi ritengono che il dipinto delle Collezioni Comunali d’Arte sia stato realizzato negli anni più tardi dell’attività e comunque dopo il 1515.
La pulitura della superficie pittorica e le indagini diagnostiche hanno permesso di approfondire la lettura del quadro, sia da un punto di vista stilistico che iconografico. Come sempre accade nelle opere di Filippo, numerose figure popolano il paesaggio in cui si svolge l’evento principale, rappresentando altri momenti della storia o fornendo informazioni aggiuntive per comprenderne il contesto; procedimento narrativo ben documentato all’inizio del Cinquecento, seppure ancora retaggio di un gusto tardo-medievale. Assieme a San Francesco rapito dalla visione del Cristo (qui rappresentato non crocifisso ma Bambino), si possono riconoscere alla sua destra frate Leone e, nella parte alta del dipinto in mezzo al bosco, Santa Lucia che tiene in mano il vassoio con i suoi occhi, rivolta verso un santo vescovo, verosimilmente San Bassiano (o Bassano), anch’egli di Siracusa come la martire e riconoscibile per la fibula che trattiene il piviale, all’interno della quale vi è custodito il sangue di Cristo. Un’altra figura, appena intuibile prima del restauro, si trova nell’angolo inferiore sinistro della tavola. Poco più di una sagoma, la cui parte bassa della veste chiara era stata ritoccata per
confondersi con le rocce attigue, già dopo i primi saggi di pulitura è emersa una testa femminile, a cui è stata ampliata la veste in un momento successivo alla redazione originale. Con l’avanzamento del restauro è stato recuperato il volto velato e il soggolo di una clarissa, probabilmente la committente dell’opera che, come svelato dalle indagini diagnostiche, era stata ritratta dietro ad una quinta arborea, dalla quale sporgeva discretamente a mezzo busto, mentre assisteva orante alla scena miracolosa. Del resto le dimensioni limitate della tavola sono coerenti con un’opera di devozione destinata alla cappella di un monastero. Sicuramente un cambio di destinazione indusse la nuova proprietà a modificare l’immagine della donatrice, per sostituirla con un nuovo devoto, non necessariamente una devota. La veste bianca, in parte sovrapposta alla figura originale – di cui altera la proporzione rendendola di dimensione maggiore a quella del protagonista del dipinto –, indica un momento successivo di circa un secolo alla pittura di Filippo e anche l’appartenenza di chi la indossava ad una diversa regola, riconducibile all’ordine benedettino. Tale scoperta ha aperto nuove possibilità di lettura dell’opera e fa prospettare la necessità di effettuare in futuro ulteriori indagini diagnostiche, con la finalità di arrivare ad un recupero completo della figura originale. Di fatto non erano inconsueti radicali cambi di proprietà di oggetti di pregio, o per passaggi ereditari o perché cambiava la comunità monastica in un edificio religioso, che però manteneva opere più antiche in quanto oggetto di devozione.
È comunque difficile formulare un’ipotesi sul luogo per cui Filippo realizzò questo dipinto: la presenza di Santa Lucia suggerisce di dover cercare la committenza in uno dei non numerosi monasteri di clarisse dedicati alla martire di Siracusa. È interessante che uno di questi – di antica tradizione – si trovasse a Rieti, città in cui nel 1522 Filippo da Verona era documentato come residente, ma dove non si conoscono sue opere. La presenza di San Bassano però orienterebbe piuttosto per un luogo del Nord Italia, dove il culto del santo è vivo tra Lombardia (soprattutto nelle province di Lodi e Cremona) e Veneto (Bassano del Grappa).
L’altissima qualità stilistica del dipinto, la raffinata stesura pittorica, ottenuta con minuziose pennellate giocate su un’incredibile varietà cromatica di verdi, di gialli e di ocre, e la sottile capacità di descrivere lo stupore rapito sul volto del santo girato di trequarti e inondato dalla luce sovrannaturale, rendono evidente come Filippo da Verona dovesse essere un artista molto ricercato, soprattutto negli ambienti francescani, ai quali spesso possono essere ricondotte le sue opere. Scheda a cura di Silvia Battistini, conservatrice Collezioni Comunali d’Arte, Bologna
C.S.M.
Fonte: Ufficio Stampa Bologna Musei, 22 giugno 2020
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