Qualche tempo fa, ho deciso che nella rassegna dei dischi della vita che andavo faticosamente rintracciando nella memoria e via via proponendo ai miei lettori, ci doveva – a tutti i costi – essere anche un disco di blues: la radice, il modello originario, la rappresentazione e il crocevia inevitabile della musica che amo e che mi ha contagiato da ragazzo. Qualche disco di jazz basato sul blues l’avevamo già trattato, certo: il 2.19 Blues di Louis Armstrong o il Blusology del Modern Jazz Quartet. Ma non era quello di cui avvertivo la mancanza, no: quello che volevo recuperare era il blues cantato, classico. Già, ma chi scegliere? La grande Bessie Smith, Big Bill Broonzy, Sonny Boy Williamson? Qualcun altro brano compreso in uno o l’altro dei 150 dischi di blues che ho in discoteca? Piano piano, giorno dopo giorno, questa sorta d’impegno che avevo preso con me stesso era stato messo un po’ da parte.

A richiamarmelo alla mente, cari lettori, la più improbabile delle connessioni, il più acrobatico e funambolico dei collegamenti. M’è venuta voglia di rileggere, pensate un po’, il Paradiso della Divina Commedia e qui, tra rarefatte luminosità mistiche e angeliche iridescenze, sentite cosa ho trovato (Canto XX versi 142-144)

“E come a buon cantor buon citarista
Fa seguitar lo guizzo della corda,
in che più di piacer lo canto acquista…”

Eccolo lì: un buon cantor, un buon citarista che sappia come far risonare il guizzo della corda, un bel testo di blues che li ispiri entrambi. Il sommo poeta mi ha guidato nello scegliere il disco da proporre all’attenzione dei miei lettori. C’è un piccolo particolare da rilevare: nel disco di cui sto per parlarvi chitarrista e cantante sono la stessa persona e cioè Robert Johnson, noto come “King of The Delta Blues Singers”, come recitava il titolo del LP in cui il brano è compreso (il delta cui si fa riferimento è quello del Mississippi). Mi perdonerà Padre Dante per la libertà che mi son preso? Cantor e citarista ricompresi in un’unica figura?
Robert Johnson, dunque: nato l’8 maggio del 1911 e morto il 16 agosto 1938. La sua breve vita sembra essa stessa il testo di un blues: nato da un affair tra sua madre Julia Dodds e un certo Noah Johnson durante un’assenza del marito di Julia e morto di polmonite, dopo essere a quanto pare sopravvissuto a un tentativo di avvelenamento, messo in atto da un marito geloso. Le date indicate sono una recente acquisizione della ricerca critica: nel 1968 Paul Oliver, autore della voce dedicata a Johnson nell’utilissimo manuale “Jazz on Record”, si limita a un’indicazione molto più approssimativa: circa 1913-1937. Questa nebbia aiuta a creare la leggenda e la mistica di Robert; ancora Oliver: “Pochi bluesman hanno creato un simile mito: i suoi blues appassionati, la precoce reputazione, la larga influenza e la morte prematura e misteriosa ne hanno fatto una leggenda. Una fama meritata e una delle maggiori influenze, a dispetto della giovane età

Anche Panassié, critico appassionato e intransigente sostenitore del jazz della tradizione, sembra condividere e così lo definisce nel suo “Dictionnaire du Jazz”: “Un des plus grands et des plus typiques représentants du blues primitif dans tout sa pureté, tant par son chant que par son jeu de guitare”. Di seguito elenca una serie di titoli raccomandati, che non comprende, però, il disco che mi accingo a proporre alla vostra attenzione a al vosto ascolto. Niente paura ma una conferma ulteriore del fatto, ormai acquisito per voi, carissimi lettori, che questa mia personale galleria di ricordi musicali e di vita non deve essere necessariamente condivisa.  È arrivato il momento di rivelare che ci stiamo occupando di un brano intitolato “Sweet Home Chicagohttps://m.youtube.com/watch?v=O8hqGu-leFc inciso a San Antonio (Texas) lunedì 23 novembre del 1936. Tutte le notizie su Johnson, la biografia, la discografia e i testi dei suoi blues, li potreste trovare nel booklet che accompagna la riedizione completa in due soli CD di tutta la sua opera: “Robert Johnson – The Complete Recordings” (Columbia C2K46222). Non credo sia più a catalogo, però potreste trovarlo su qualche sito specializzato: tentar non nuoce, sempre che vi sentiate incuriositi da questo artista. Io il cofanetto in ogni caso in discoteca ce l’ho. Non ha inciso molto, in tutto 29 blues, di cui 12 in doppia versione per un totale di 41: le alternate takes non vennero pubblicate all’epoca. In coda all’articolo troverete dunque il testo di “Sweet Home Chicago”; non è sempre facile raccogliere dai dischi i versi cantati: pronuncia spesso non impeccabile, voci di gergo, termini inconsueti. Su questo blues si sono esercitati gli esegeti che hanno valutato, tra l’altro, la coerenza dell’itinerario indicato nella strofa iniziale; qualcuno ha perfino calcolato la lunghezza dell’agognato viaggio di ritorno verso la dolce casa Chicago, passando dalla California. Non mi interessano queste pedanterie: preferisco abbandonarmi a questa struggente ondata di nostalgia, che non si misura a chilometri. Qui sembra prevalere la necessità di partire, di muoversi, di tornare a casa, alla dolce casa e tutto suona al mio orecchio così autentico e urgente, proprio come la prima volta che lo ho ascoltato

Oh baby, don’t you want to go
Oh baby, don’t you want to go
Back to the land of California to my sweet home Chicago (2)
Now one and one is two
Two and tow is four
I’m heavy loaded baby, I’m booked, I gotta go

Cryin’, baby,
Honey don’t you want to go
Back to the land of California to my sweet home Chicago

Now two and two is four
Four and two is six
You gon’ keep on monkeyn’ around here fiend-boy
You gon’ get your business all in a trick

But I’m cryin, baby
Honey don’t you want to go
Back to the land of California to my sweet home Chicago

 Now six and two is eight
Eight and two is ten
Friend-boy, she trick you one time
she sure gon’ do it again

 But I’m cryin, baby
Honey don’t you want to go
Back to the land of California to my sweet home Chicago.

 I’m goin’ to California
From there to Des Moines, Iowa
Somebody will tell me that you need my help someday, cryin’

 Hey baby, baby don’t you want to go
Back to the land of California
To my sweet home Chicago

Una leggenda che ha prodotto un’influenza estesa e profonda anche in aree limitrofe: nel sullodato cofanetto-opera omnia di Johnson c’è un saggio di Eric Clapton e uno di Keith Richards e del nostro “Sweet Home Chicago” c’è anche una divertente versione dei Blues Brothers. Ma noi preferiamo la versione originale, vero? “The Real Thing” come si usa dire.

JazzFranco