La promessa è stata mantenuta e l’Arena di Verona si è mostrata come mai l’avevamo vista prima, in questa estate in cui il covid ha dettato nuove regole allo spettacolo. E, senza essere fraintesi e senza nulla togliere all’esito eccellente, come mai la vorremmo rivedere in futuro, nella speranza di un ritorno rapido alla normalità. Per il momento, anche in questa situazione inusuale l’anfiteatro ha saputo confermare la propria aura di magia e ha donato qualità artistica e un carico di suggestioni nel corso dell’evento inaugurale, intitolato Il cuore italiano della musica. Un cuore «buttato avanti» oltre a ogni ostacolo, con la ferrea volontà di non lasciare muto il teatro all’aperto più grande del mondo e di non interrompere la sua storia musicale centenaria. Sono emerse le due anime che qui straordinariamente convivono: una colta rivolta ai melomani esigenti e quella popolare, nel senso più nobile del termine, che regala a chiunque emozioni indimenticabili.
Quattro direttori d’orchestra (Marco Armiliato, Andrea Battistoni, Francesco Ivan Ciampa, Riccardo Frizza), venti voci soliste tra le più celebri e acclamate del panorama internazionale (Fabio Armiliato, Daniela Barcellona, Eleonora Buratto, Annamaria Chiuri, Alessandro Corbelli, Donata D’Annunzio Lombardi, Alex Esposito, Barbara Frittoli, Roberto Frontali, Sonia Ganassi, Carlo Lepore, Francesco Meli, Leo Nucci, Michele Pertusi, Simone Piazzola, Saimir Pirgu, Fabio Sartori, Maria José Siri, Annalisa Stroppa, Riccardo Zanellato. Assenti per indisposizione Luca Salsi e Rosa Feola), una giovane promessa del violino (Giovanni Andrea Zanon): tutte stelle di prima grandezza, italiane di nascita o di residenza, tutte pronte a «donare la propria arte per puro spirito di generosità» e a «essere qui per il solo piacere di esserci» ha sottolineato la madrina della serata Katia Ricciarelli durante i saluti iniziali, rivolti agli operatori sanitari ai quali il concerto era dedicato e alle autorità presenti tra cui la Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati.
Una carrellata di oltre due ore e mezza continuative di arie e romanze del grande repertorio, con picchi strepitosi dal punto di vista interpretativo che hanno entusiasmato gli ascoltatori. Buona l’acustica e discreta la proiezione dei solisti alternatisi sulla pedana centrale, quindi più vicini del solito al pubblico ma più lontani dalla gradinata sulla quale la voce si “appoggia” per “correre”. Il suono d’assieme era amalgamato nonostante la distanza interpersonale tra i maestri dell’Orchestra areniana e del Coro (diretto da Vito Lombardi) i cui componenti erano disposti attorno al perimetro dell’ellissi, su piedistalli singoli. Si potrebbe aprire una lunga discussione sulle differenti modalità che i teatri della Penisola stanno adottando per rispettare le normative, ma ciò che importa è il risultato, sia in termini di sicurezza che di resa artistica. E qui il risultato c’è stato eccome; completato visivamente dal gioco di luci, sviluppato maggiormente all’inizio e nel finale. Rimosse le poltroncine, il pubblico – i dati ufficiosi e non confermati oscillano tra le 2 e le 3mila presenze – era interamente arroccato sulle gradinate nello spazio solitamente preposto, ossia di fronte e ai lati del palco. È stata quindi abbandonata l’ipotesi a suo tempo presa in considerazione di occupare l’intero perimetro.
Questo luogo, capace ogni volta di stupire con la sua unicità, ha mostrato le diverse anime di cui si diceva poc’anzi, proponendo tre brani che rappresentano “Il cuore italiano della musica”. Prima dell’inizio del concerto, il momento istituzionale con l’esecuzione di “Fratelli d’Italia” (inno di Novaro, non ci stancheremo mai di ricordarlo: definirlo inno di Mameli sarebbe come attribuire l’Aida a Ghislanzoni). Sul podio è salito pro forma il piccolo Lucas, «gli occhi del nostro futuro» ha detto Katia Ricciarelli, mentre due grandi bandiere erano proiettate sulla gradinata e l’ala di pietra si è tinta del tricolore. A metà programma, quello che da molti è considerato un secondo inno d’Italia, “Va’ pensiero” da Nabucco, seguito da un’altra pagina corale grandemente significativa, “Patria oppressa” da Macbeth. Chiusura con la ventata giocosa di “Oh sole mio” cantato, ripreso e ripreso ancora, da tutti gli artisti in un finale nazional-popolare che ha stemperato l’ansia della ripartenza in una grande festa collettiva. Non potevano mancare i fuochi d’artificio conclusivi, bianchi rossi e verdi.
Visto all’Arena di Verona il 25 luglio 2020
Resoconto Maria Luisa Abate