Acustica molto, molto buona. Condizione apparsa chiara fin dalla serata inaugurale e confermata in occasione del secondo appuntamento di questa estate in cui l’Arena di Verona, con resa ottima, ha rimodulato se stessa collocando l’orchestra al centro dell’ovale e dislocando i coristi attorno al perimetro. La proposta ha costituito elemento di continuità con le stagioni pre-covid che sempre hanno riservato spazio a un concerto sinfonico delle eccellenze areniane; al contempo un’occasione unica e speciale, in quanto mai prima d’ora nell’anfiteatro era stata eseguita la Messa di Requiem di Mozart. La scommessa sulle potenzialità intimistiche di un palcoscenico così vasto è stata vinta con successo.

La Messa di Requiem in re minore K 626 è considerata il testamento spirituale di Wolfgang Amadeus Mozart. Nata da una committenza misteriosa che ha favorito ipotesi e alimentato leggende, l’opera restò incompiuta alla morte del compositore trentacinquenne. Va ricordato che egli fu sepolto in una fossa comune e pare, secondo alcune fonti, senza che i parenti ne abbiano accompagnato le spoglie: una situazione analoga a quella in cui ci ha tragicamente catapultati la pandemia. Su incarico della vedova Costanza, la Messa fu completato dal suo allievo Franz Xaver Sűssmayr, che attinse agli appunti del maestro avendoli dovuti prima riordinare e scrisse di proprio pugno le molte parti mancanti: per taluni studiosi troppe, per poter attribuire la paternità al genio di Salisburgo. Fatto sta che di sublime capolavoro si tratta, inconfutabilmente.

La Messa, attraverso il Requiem, il Kyrie, il Dies irae e così via sino alla conclusiva Lux aeterna, traccia un percorso di accettazione tranquilla della morte come compagna di vita. Alla testa dell’Orchestra areniana, il direttore Marco Armiliato ha impostato una linea stilistica intrisa di dolcezza, in grande equilibrio tra la mestizia, la drammaticità e gli squarci luminosi, di quella stessa eleganza formale che caratterizza il dettato mozartiano. Un sincero bravo va al Coro e al suo direttore Vito Lombardi per la prova superlativa, per il suono pastoso e ispirato dovuto all’acquisita consapevolezza non solo musicale ma anche del significato più profondo del testo, condizione indispensabile per raggiungere quello stadio di elevazione spirituale grazie al quale la morte non rappresenta una fine ma un passaggio.

La preghiera collettiva ha fatto vibrare le corde più intime degli ascoltatori così come degli stessi solisti, quattro belcantisti di prima grandezza sulla scena internazionale: il soprano Vittoria Yeo, il mezzosoprano Sonia Ganassi, il tenore Saimir Pirgu e il basso Alex Esposito. Voci sontuose, perfettamente amalgamate tra loro in una interpretazione intensa che ha proiettato dalla dimensione terrena verso il fulgore del trascendente.

Generosità di bis, tra i quali il Lacrimosa – forse il movimento più noto di cui Mozart fece a tempo a scrivere solo poche battute – e imponente l’affluenza in Arena, tanto da aver indotto ad allargare il perimetro preposto ad accogliere gli spettatori sulle gradinate. Erano presenti molti dei novantotto sindaci della provincia veronese e i parenti delle vittime del covid. La serata infatti era dedicata «a tutti quelli che non ce l’hanno fatta». Alla loro memoria è stato tributato un minuto di silenzio accompagnato dalle parole del sindaco e presidente della Fondazione Arena Federico Sboarina e del Vescovo monsignor Giuseppe Zenti. Toccante l’intervento del primo cittadino, che ha ricordato con commozione il giorno terribile in cui dovette accogliere i feretri provenienti da Bergamo e ricevette la telefonata di una donna che gli chiedeva se tra questi vi fosse la bara numero 52, perché in quei giorni era difficile perfino conoscere le destinazioni dei tristi convogli. Il Vescovo ha paragonato la pandemia a una terza guerra mondiale per la devastazione che ha cagionato sul piano sociale politico economico e sanitario. E ha parlato della «nostalgia dell’infinito» cui rimandano le pagine mozartiane, capaci di generare in noi la speranza in un mondo nuovo nella «cattedrale della musica a cielo aperto» che è l’Arena.

Recensione Maria Luisa Abate

Visto all’Arena di Verona il 31 luglio 2020
Foto Ennevi/ Fondazione Arena di Verona