La mostra non ha nulla di generico e non è solo una sfilata di quadri e disegni, che pur in molti casi sono capolavori notissimi. “Van Gogh. I colori della vita” è invece un sorprendente percorso volto a far conoscere, passo dopo passo, alcune trame della vita e dell’opera di Van Gogh non così affrontate finora. Questo per la volontà del curatore di ricostruire l’intero percorso, includendo anche quanto di solito non viene compreso o è stato poco o per nulla studiato. Sarà lo stesso Van Gogh a raccontarsi in mostra, attraverso le sue lettere. Esse sono il filo conduttore di un poderoso volume di oltre 600 pagine che Marco Goldin, ideatore e curatore della mostra, ha scritto per La nave di Teseo. Libro in uscita in parallelo all’apertura dell’esposizione è intitolato “Vita di Van Gogh. Attraverso le lettere”.

L’esposizione – anticipa Goldin – intende ripercorrere l’intero cammino della sua attività, concentrandosi sui principali punti di snodo di quel cammino: i luoghi che lo hanno visto diventare il pittore che tutti conosciamo, grazie proprio a quei luoghi medesimi, al fascino che hanno esercitato su di lui, alla loro storia che si è incisa nella sua storia. Verrà precisamente analizzato il rapporto tra l’esterno della natura, e talvolta delle città, e l’interno dell’uomo e del pittore. Per comprendere il motivo per cui sia stata così rapida l’evoluzione dell’artista e perché sia stata necessitata e indotta dall’aver vissuto in determinati posti, prima in Belgio e Olanda e poi in Francia.

Vincent van Gogh, Paesaggio con covoni e luna nascente, 1889, © 2020 Collection Kröller-Müller Museum, Otterlo, the Netherlands; Photography Rik Klein Gotink, Harderwijk

I 78 quadri e disegni di Van Gogh eccezionalmente riuniti al San Gaetano rappresenteranno proprio questo percorso, in una sorta di itinerario che terrà insieme l’esigenza del vedere fisico e quella dello sprofondamento interiore.

Grazie soprattutto, ma non solo, alla collaborazione fondamentale del Kröller-Müller Museum e del Van Gogh Museum, la mostra potrà proporre capolavori di ognuno tra i periodi della vita di Van Gogh, da quello olandese fino al tempo francese vissuto tra Parigi, la Provenza e Auvers-sur-Oise. Dipinti famosissimi come l’ “Autoritratto con il cappello di feltro”, “Il seminatore”, i vari campi di grano, “Il postino Roulin”, “Il signor Ginoux”, “L’Arlesiana”, i vari paesaggi attorno al manicomio di Saint-Rémy e tantissimi altri.

Ma la grande esposizione padovana non si limita al pur incredibile corpus di ben 78 opere di Van Gogh. A esse sarà infatti affiancata una selezione di una ulteriore quindicina di capolavori di artisti, a partire ovviamente da Millet, passando tra gli altri per Gauguin, Seurat, Signac, Hiroshige, a lui precisamente collegati. O come nel caso delle tre grandi, splendide tele di Francis Bacon a inizio percorso, a indicare come la figura dello stesso Van Gogh abbia agito anche sui grandissimi del XX secolo.

Paul Signac, Collioure. Il campanile. 1887 © 2020 Collection Kröller-Müller Museum, Otterlo, the Netherlands; Photography Rik Klein Gotink, Harderwijk

La mostra “Van Gogh. I colori della vita” è promossa da Linea d’ombra e dal Comune di Padova, con la decisiva collaborazione del Kröller-Müller Museum. Lo sforzo produttivo e organizzativo che Linea d’ombra ha messo in campo per poter realizzare questa grandiosa esposizione è davvero enorme. Basti pensare che per effetto delle normative post coronavirus, potrà entrare in mostra appena un terzo del pubblico che avrebbe potuto accedervi in epoca pre-Covid. Aspetto che, per altro, assicurerà ai visitatori l’opportunità di non incorrere in alcun affollamento, potendo anzi ammirare i capolavori riuniti nel Centro San Gaetano di Padova con tutto l’agio possibile. È più che consigliabile giungere alla mostra avendo già prenotato giorno e fascia oraria d’ingresso.


AUTORITRATTO CON CAPPELLO DI FELTRO GRIGIO
L’immagine che Marco Goldin ha scelto come simbolo della grandiosa mostra padovana su Van Gogh è il celeberrimo “Autoritratto con cappello di feltro grigio”, prestito che definire eccezionale non è affatto fuor di luogo, concesso dal Van Gogh Museum di Amsterdam. Ad Amsterdam questa figura è tra i simboli del Museo Van Gogh e riproduzioni di questa magnifica opera si trovano in case, uffici, luoghi pubblici di tutto il mondo. Perciò parlare di questo autoritratto come di icona dell’Olandese è appropriato.
Goldin non nasconde la soddisfazione per essere riuscito a strappare per sei mesi al Van Gogh Museum questa particolare tela. Un’opera non solo straordinariamente intensa e potente, ma che segna anche un preciso momento di svolta nella storia artistica di Van Gogh.
Questo capolavoro venne dipinto nel 1887, a Parigi. Nella capitale francese egli era arrivato dall’Olanda l’ultimo giorno di febbraio del 1886, iniziando così un’avventura che durerà esattamente due anni. Vincent infatti lascerà la città nel primo pomeriggio del 19 febbraio 1888. Tra l’altro, dopo una visita fatta, assieme a Theo, a Georges Seurat, nella mattina dello stesso giorno. Era il rendere omaggio, prima di partire per la Provenza e verso la luce del Sud, al pittore che più di ogni altro aveva scosso dalle fondamenta l’arte impressionista.

Ad attrarlo a Parigi aveva contribuito anche l’interesse che il fratello Theo gli manifestava a proposito degli impressionisti e adesso egli aveva finalmente l’opportunità di entrare in contatto diretto con il nuovo dell’arte del suo tempo.
Gli iniziali mesi parigini furono dunque per lui di ambientamento. Poi la fondamentale visita all’ottava e ultima mostra impressionista, nel maggio del 1886. Una esposizione particolare, perché tre rappresentanti storici dell’impressionismo come Monet, Sisley e Renoir, avevano deciso di non partecipare. A questo faceva da contraltare il ruolo assunto da Degas, assieme a un gruppo di pittori amici, soprattutto rivolti al tema della figura.
«La rassegna di Padova, annota Goldin, presenta, per tale tempo fondamentale in questa storia, opere a confronto di Seurat e Signac, e proprio alcune tra quelle che Van Gogh vide direttamente nelle esposizioni tra 1886 e 1887 a Parigi. Vale di certo almeno la menzione il capolavoro di Seurat del 1887, la Spiaggia di Bas-Boutin a Honfleur».

Vincent van Gogh, Mietitori, 1888. Musée Rodin, Parigi © Musée Rodin – Jean de Calan

“Ad Anversa non sapevo neppure cosa fossero gli impressionisti, mentre ora li ho visti, e anche se non sono uno di loro ho molto ammirato alcuni quadri, un nudo di Degas, un paesaggio di Monet”, scrisse Van Gogh a un amico. Ricordando, alla fine della stessa lettera, il suo desiderio di armonizzare gli estremi del colore, “cercando di rendere dei colori intensi e non una grigia armonia”. Affascinato da tempo dalle teorie sul colore di Delacroix, poco per volta Van Gogh comprese la forza di una gamma cromatica più chiara, a contatto specialmente con l’opera di Seurat.
In questo senso, l’insieme di autoritratti che realizza nei due anni a Parigi è una delle espressioni più piene e vere della sua rapidissima evoluzione nell’ambito di un colore nuovo. Modificando anche la percezione che Vincent aveva di sé. Realizzato negli ultimi mesi della sua permanenza lì, il celeberrimo “Autoritratto con cappello di feltro grigio” potrà essere ammirato nella mostra a Padova.

«Si tratta della ripresa – scrive Marco Goldin – di un altro autoritratto con lo stesso cappello, realizzato all’inizio della primavera 1887. Proprio nell’accostare queste due immagini si comprende perfettamente quanto Van Gogh fosse progredito nel volgere di poco tempo. A una stesura ancora quasi piatta, succede un ritmo percussivo del colore, radiante nella sua manifestazione. Agiva sì la lezione di Seurat, ma in una misura che si allontanava dal senso perfino matematico di quella pittura. E invece si esprimeva nella forza di presentazione dei tratti accostati di blu e arancio, secondo lo studio sui colori complementari. Questo effetto radiante di fondo fa emergere con veemenza il volto di Van Gogh, che pare accendersi entro un grumo disteso di luce. Non quindi il modificare quella luce, quanto farla convergere verso il punto della rivelazione. E quel punto è il volto. Ancor di più, lo sguardo allarmato. Van Gogh è pronto per prendere un treno. La sua destinazione, Arles. A respirare il giallo del grano e del sole».

IL CAPOLAVORO DISTRUTTO DURANTE LA GUERRA
Nella grandiosa mostra padovana rivivrà anche un’opera dell’Olandese cancellata da un bombardamento nel corso della Seconda guerra mondiale. Si tratta di un olio di formato quasi quadrato, di circa 50 centimetri per lato, intitolato “Il pittore sulla strada di Tarascona”. Dipinto da Van Gogh nell’estate del 1888, è di poco successivo alla serie memorabile con i campi di grano nella pianura della Crau e attorno all’abbazia di Montmajour, nei pressi di Arles. Tra l’altro, due di questi campi di grano saranno presenti nella quarta sezione della mostra padovana.
L’opera “Il pittore sulla strada di Tarascona” era conservata nel Kaiser Friedrich Museum sino a quando a distruggerla giunse uno dei tanti bombardamenti alleati su Magdeburgo, sul finire della Seconda guerra mondiale.

Nel piccolo dipinto perduto Van Gogh si ritrae mentre cammina sotto il sole, andando incontro al suo lavoro quotidiano nella campagna. Il sentiero è tutto tormentato di tacche di colore e su di esso si stende minacciosa, come la testa di un rapace che ghermisce, l’ombra del viandante. Lui vestito di un azzurro un poco più scuro del cielo, mentre si fissa esattamente al centro di due alberi, molto giapponesi nel loro disegnarsi dentro la vastità di quello stesso cielo. Il cavalletto sulle spalle, la tavolozza e i colori nella mano destra, una tela sotto il braccio sinistro, assieme a un bastone molto sottile. Sotto il cappello di paglia a larghe tese, del giallo come del grano, lampeggiano i suoi occhi chiari, di quell’azzurro che sfuma nel verde e così si confonde. Sono due gemme incastonate che risplendono. Mentre dietro il pittore scorrono immagini quasi di un vecchio film in un primo technicolor. Il grano ancora da tagliare, biondissimo e senza vento, e poi il verde dell’erba e poi altro grano ancora, più lontano. Infine, la linea dell’orizzonte, il tetto rosso di una casa, qualche cipresso di un verde più scuro.

Al San Gaetano è proprio da questo quadro invisibile perché non più visibile, che prende avvio il percorso della mostra e lo fa grazie all’opera di un altro artista, Francis Bacon,
che ha saputo trarre alcune tele meravigliose ispirandosi proprio all’immagine dell’opera cancellata dalle bombe.
Bacon, si era alla fine del 1956 e poi all’inizio del 1957, appese una foto dell’opera scomparsa sul muro del suo studio, osservandola a lungo.
Ne sortì l’alchimia del contatto di un grande pittore con quel pittore eroe morto ormai da ben più che mezzo secolo.

Francis Bacon, Studio per un ritratto di Van Gogh IV, 1957, Tate, Londra dono della Contemporary Art Society 1958 © Tate © The Estate of Francis Bacon. All rights reserved by SIAE 2019

«Bacon – annota Marco Goldin – pensava a rendergli omaggio, poiché dentro di sé aveva sempre idolatrato quell’olandese finito male in terra di Francia, in mezzo ai campi di grano. Rendergli omaggio come si fa sì con il proprio eroe, ma l’eroe di tutti, quando la singolarità dell’esperienza diventa quella di una moltitudine. Cominciò così a concepire alcune immagini, il loro senso, la loro verità. In quella fascinazione che aveva per realizzare i suoi tanto particolari ritratti, tali da rendere perfino i respiri di una persona, le pulsazioni del suo cuore, il ritmo. Difficile, così difficile fare ritratti per Bacon – così come lo era stato per Van Gogh – perché si trattava di arrivare a toccare lo spirito che una persona emanava da sé. Nel viso, l’infinito del tempo che parte dalla vita».
Dopo rabbiose e grondanti settimane di lavoro, nel marzo 1957, nella Hanover Gallery di Londra, in un’atmosfera confusa e festosa, vennero esposte alcune tele che Francis Bacon aveva dedicato a Van Gogh. C’era in quei quadri il senso di una direzione, l’apertura verso le strade dell’universo.
Bacon ha dipinto Van Gogh come “chi parte e non è mai partito. Chi viaggia ancora dopo avere a lungo viaggiato. E forse il suo viaggio l’ha condotto nell’interstizio possibile tra il respiro e la sospensione del respiro, tra il pieno e il vuoto. Fino a che venga il momento di lasciare il mondo, magari sotto quel sole che brucia ogni cosa. E lui non c’è più e precede ognuno di quelli che passano, di quelli che vanno.
Bacon ha dipinto Van Gogh proprio così. Per questo motivo la mostra di Padova nasce eccezionalmente da tre dei suoi quadri dedicati a Vincent van Gogh, compresi nella prima sala. Il pittore come un eroe, colui che annuncia il futuro pur nell’apparente fallimento. E si carica il mondo sulle spalle».

ANCHE HIROSHIGE IN MOSTRA
Accanto alle 78 opere di Vincent van Gogh saranno esposte anche alcune stampe di Hiroshige, il grande artista giapponese della prima metà del XIX secolo. “Van Gogh. I colori della vita” proporrà una delle versioni più famose degli alberi in fiore dell’Olandese, accanto a stampe di Hiroshige che hanno costituito fondamentale motivo d’ispirazione per l’artista.

Van Gogh, dopo avere dipinto, appena fuori Arles, albicocchi, ciliegi, pruni, pereti e peschi si volge, negli ultimi due quadri della serie nella primavera 1888, incluso quello del Kröller-Müller Museum che sarà in esposizione, a un angolo del recinto, probabilmente nella piana della Crau, che confina con un orto di alberi di pero in fiore. L’entusiasmo per questa tela è testimoniato anche dal fatto che Van Gogh ne parli in una lettera a Émile Bernard del 9 aprile, nella quale disegna in modo dettagliato la scena, unendovi anche delle indicazioni di natura cromatica nonché legate al tipo di pennellata.

«All’inizio della primavera 1888, arrivato da poche settimane in Provenza, Van Gogh – evidenzia Marco Goldin – ha appena finito i quadri dedicati al ponte di Langlois. È allora che dà inizio ad Arles alla sua prima, vera serie. Si tratta delle fioriture, che prendono il via negli ultimi giorni di marzo. Quattordici quadri di vario formato che sembrano essere la prima risposta consapevole alla nuova atmosfera e ai limpidi colori della primavera provenzale.

Vincent van Gogh, Alberi da frutto tra i cipressi, 1888 © 2020 Collection Kröller-Müller Museum, Otterlo, the Netherlands; Photography Rik Klein Gotink, Harderwijk

Con ogni evidenza sono le stampe giapponesi a ispirarlo nella realizzazione di queste fioriture. Non a caso, già a Parigi nel maggio 1886 aveva letto, nella rivista “Paris illustré”, tutta una parte dedicata alla bellezza del paesaggio giapponese anche nel momento della fioritura. Nel 1887 aveva tra l’altro realizzato in pittura una copia da un pruno in fiore di Hiroshige, autore che resterà sempre il suo maggior riferimento visivo. Echi dell’arte giapponese, in quei quadri che terranno occupato Van Gogh per quattro settimane, sono riconoscibili nella scelta di collocare gli alberi al centro della scena, con tutto lo spazio attorno, nel rapporto tra il pieno e il vuoto. I rami poi, nel loro gioco di linee, danno senso al grafismo che ugualmente deriva dai giapponesi.

La foga con la quale Vincent lavora alle fioriture nella primavera del 1888, avendo bene in mente i giapponesi, non è che l’inizio di un percorso assai consapevole. Quello che per esempio lo poterà a evocare, in una lettera a Signac esattamente un anno dopo, tutti i motivi che lo legavano al paesaggio giapponese. Non ultimo l’amore per la quasi miniaturizzazione dell’immagine, che egli aveva studiato bene a Parigi nelle stampe che era venuto collezionando. Hiroshige, Hokusai, Eisen e tutti gli altri, soprattutto a partire dal 1887, si affiancano a Millet nel suo immaginario.
I primi acquisti di incisioni a colori su legno giapponesi, Van Gogh li fa poco dopo il suo arrivo ad Anversa. In una lettera a Theo del 28 novembre 1885, gli annuncia di avere “appeso al muro una serie di incisioni giapponesi che mi piacciono molto”. L’anno seguente, una volta giunto nella capitale francese, inizierà a mettere insieme una collezione che alla fine potrà contare su oltre seicento fogli.
Sul finire degli anni ottanta di quel XIX secolo, la fascinazione per il Giappone in Francia sta ormai scemando, ma con parole attente George Auriol testimonia del fatto come l’arte imperitura di quel paese resterà, perché quelle idee e quelle immagini si sono ormai insediate nella mente e nella visione dei pittori. Vincent van Gogh ne è un esempio assolutamente straordinario».

FOCUS SULLA FAMIGLIA DE “IL POSTINO”
Talvolta il caso, un incontro inatteso, fa di uno sconosciuto un personaggio destinato ad attraversare il tempo. L’esempio certo più celebre è quello della bella Monna Lisa che Leonardo ha consegnato al mondo.
A essere consegnata all’immaginario collettivo, nel caso di Van Gogh, è un’intera famiglia: padre, madre e i tre figli. Di certo non personaggi della bella società ma un semplice postino, il signor Roulin, con una moglie, casalinga, due giovani figli, cui nell’estate del 1888 si aggiunse una neonata. Dei “signori nessuno”, si direbbe oggi, che però ebbero la ventura di incontrare Van Gogh e di colpirlo profondamente, proprio perché famiglia, quella che a lui profondamente mancava.

Vincent van Gogh, Il postino Joseph Roulin, 1888. Kunstmuseum, Winterthur, dono degli eredi di Georg Reinhart, 1955 © SIK-ISEA, Zurich

Anche i visitatori della grande mostra al San Gaetano avranno la possibilità di conoscere il celebre Postino: la moglie, la cosiddetta Berceuse, e il primo figlio, e la storia del loro rapporto con Van Gogh. Il ritratto del capofamiglia, Joseph, quasi fluorescente nel suo giallo assoluto; con un fondo tutto fiorito quello della moglie; meraviglioso, e come di presentazione su una soglia, quello del giovane Armand. I due ritratti maschili tra l’altro realizzati nel tempo in cui Gauguin abitava nella Casa Gialla.

“L’uomo è un ardente repubblicano e un socialista, ragiona bene e sa molte cose”, scriveva Van Gogh in una lettera a proposito del cosiddetto postino Roulin, che in realtà era impiegato come “smistatore della posta” nella stazione ferroviaria di Arles. Quella stazione dove Vincent potrebbe averlo conosciuto nei tanti momenti in cui andava a consegnare le sue lettere da spedire. Piuttosto che nel Café de la Gare dei coniugi Ginoux, visto che Joseph-Etienne Roulin era “un grande bevitore”, al pari di uno dei miti di Vincent, il pittore marsigliese Adolphe Monticelli.
La conoscenza tra l’Olandese e Roulin si trasformò presto in vera amicizia, che si espresse anche in un’autentica vicinanza di Joseph a Vincent nelle difficili settimane tra fine 1888 e inizio 1889, in occasione del ricovero in ospedale in seguito all’auto mutilazione dell’orecchio. Un senso di grande malinconia prese Van Gogh quando Roulin fu trasferito a Marsiglia, prima della fine di gennaio del 1889. Il rapporto continuò in forma epistolare, anche quando l’artista si fece ricoverare nella casa di cura a Saint-Rémy.
Da questa conoscenza nacquero ben venticinque tra dipinti e disegni, facendo così diventare i membri di quella famiglia i volti maggiormente raffigurati in tutta la sua opera. Con un sola eccezione, il suo volto, che portò a quasi quaranta autoritratti.

«Van Gogh ebbe per i Roulin – sottolinea Marco Goldin – certamente un pensiero unitario, che poi sviluppò nei singoli ritratti, ognuno dei quali conta almeno su una doppia versione, se non molte di più se pensiamo a Joseph e a sua moglie. Van Gogh si dimostrò interessato all’uso di colori di forte impronta sulla tela, assoggettati al contrasto tra i complementari di modo da offrire quella sua sempre inesausta espressività del colore. Un colore mai inutile e mai banale, ma ogni giorno, ogni ora, necessitato. Un tipo di ritratto un po’ alla Daumier, pittore che Van Gogh stimava molto per la sua capacità di andare oltre la fisionomia delle persone e catturare l’essenza di un volto”.
I tre ritratti dei Roulin saranno al San Gaetano di Padova

Vincent van Gogh, L’arlesiana (Madame Ginoux), 1890 © Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea. Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo

L’ARLESIANA: PROTAGONISTA DI UN CLAMOROSO FURTO
Giunge dalla Galleria Nazionale di Roma la celeberrima “Arlesiana”, ovvero uno dei due dipinti di Van Gogh presenti nei musei del nostro Paese. Si tratta di un prestito d’eccezione, dato che il dipinto è tra i più attesi dal pubblico che visita la GNAM. Cristiana Collu e il suo staff lo hanno concesso anche quale riconoscimento alla qualità del progetto scientifico della mostra padovana.
La stessa Galleria Nazionale possiede anche il secondo dei dipinti “italiani” dell’Olandese: “Il giardiniere”. I due Van Gogh, insieme al “Cabanon de Jourdan” di Paul Cézanne, sono stati i protagonisti di un clamoroso episodio di cronaca nera.
Nella notte tra il 19 e il 20 maggio del 1998 la Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma subì il furto delle tre opere. A mettere a punto il colpo furono ladri armati, a piedi scalzi e col volto coperto con il passamontagna, che imbavagliate le custodi, si chiusero all’interno del museo per poi agire indisturbati. A liberare le malcapitate furono le forze dell’ordine, a furto ormai perpetrato, richiamate dal barista della Galleria che aveva notato la porta d’ingresso non perfettamente chiusa.

La notizia del furto fece il giro del mondo, tale era l’importanza e il valore dei tre capolavori rubati. Le otto persone che componevano la banda al comando dell’italo-belga Eneo Ximenes, vennero individuati e catturati 46 giorni dopo. In quel lasso di tempo i tre dipinti erano stati portati a Torino, dove li attendeva un compratore che però, davanti al clamore sollevato dal furto, preferì non concludere l’affare. Le opere erano state messe in vendita sul mercato clandestino a 15 – 20 miliardi di lire.
«Ore 22, furto in galleria» di Francesco Pellegrino, con prefazione dell’allora Ministro ai Beni Culturali Walter Veltroni, racconterà poi la ricostruzione della storica vicenda.

L’Arlesiana della GNAM è un olio su tela di 50 x 60 cm, realizzato da Van Gogh nel 1890. L’Arlesiana era la proprietaria del Café de la Gare di Arles, accanto alla Casa Gialla, dove l’Olandese trascorreva molte delle sue serate.
Quella che si potrà ammirare al San Gaetano è una delle versioni del ritratto, probabilmente l’ultima, che Van Gogh dipinse in alcune varianti. Venne realizzata mentre il pittore era ricoverato nel manicomio di Saint-Rémy. L’artista non aveva quindi davanti la modella, ma oltre che sul suo personale ricordo, prese soprattutto spunto da un disegno che l’amico Gauguin aveva dedicato allo stesso soggetto, al tempo in cui, nell’autunno del 1888, i due lavorarono insieme nello studio al piano terra della Casa Gialla. Quel disegno, ora conservato nel museo di San Francisco, Gauguin l’aveva lasciato a Van Gogh.

L’Arlesiana qui appare malinconica, invecchiata rispetto ad altre versioni, e questo è perfettamente in linea con la situazione psicologica della donna, che soffriva anch’essa di depressione come troviamo scritto nelle lettere di Van Gogh dei primi mesi del 1890 a Joseph Ginoux, il marito di lei. Per questo motivo, a completare quella che sarà una straordinaria parete in mostra dedicata ai ritratti degli amici di Van Gogh ad Arles, campeggerà anche il famoso ritratto fatto da Vincent proprio a Joseph Ginoux, nell’autunno del 1888, di proprietà del Kröller-Müller Museum, uno dei due templi vangoghiani nel mondo, principale prestatore di questa grande mostra padovana.

Vincent van Gogh, Fiori in un vaso blu, 1887, © 2020. Collection Kröller-Müller Museum, Otterlo, the Netherlands Photography Rik Klein Gotink, Harderwijk

ALTRI CINQUE CAPOLAVORI DAL KRÖLLER-MÜLLER MUSEUM
Cinque ulteriori, clamorosi prestiti sono stati concessi alla grande esposizione padovana su Vincent van Gogh. Portando così a ben 83 le opere dell’Olandese schierate dalla rassegna che prenderà il via il prossimo 10 ottobre al Centro Culturale Altinate San Gaetano e toccando praticamente quota 100 per quanto riguarda il numero complessivo delle opere in mostra (accanto alle 83 di Van Gogh vi sono infatti anche selezionatissimi capolavori di artisti che per lui hanno contato, da Gauguin a Millet, da Seurat a Signac fino ai giapponesi).

La notizia di questo ulteriore, eccezionale prestito è stata confermata al curatore Marco Goldin in concomitanza con l’avvio, il primo settembre, delle prevendite e delle prenotazioni per la mostra (call center 0422.429999, www.lineadombra.it).

«È chiaro – sottolinea Goldin – come l’inserimento di queste bellissime nature morte, prestiti prestigiosi dell’ultimo momento dal Kröller-Müller Museum, sia un ulteriore fiore all’occhiello all’interno di una mostra già straordinaria per la qualità. Erano opere destinate a una mostra sulle nature morte di Van Gogh prevista in autunno in Giappone e che è stata annullata. Questo consente all’esposizione padovana di fare un ulteriore, grande passo verso quella fedele e precisa ricostruzione storica della vita e dell’opera di Van Gogh.

Le nature morte dipinte a Parigi tra il 1886 e il 1887 sono, al pari dei paesaggi di Montmartre e degli autoritratti – tutti temi già compresi nella mostra, con capolavori -, il vero modo di intendere la nascita di quel colore nuovo che, al contatto con l’opera di impressionisti e postimpressionisti, Van Gogh fa suo prima di prendere la via per la Provenza».

Vincent van Gogh, Natura morta con fiori di campo e rose, 1886-1887, © 2020 Collection Kröller-Müller Museum, Otterlo, the Netherlands Photography Rik Klein Gotink, Harderwijk

In ordine di esecuzione, il primo dei 5 dipinti è la “Natura morta con mele e zucche” creata da Van Gogh nel settembre 1885. «Si tratta di uno degli ultimi quadri dipinti a Nuenen in Olanda, prima che l’artista si trasferisse ad Anversa e poi a Parigi. È un quadro in cui, al pari di certi paesaggi contemporanei, si accendono i primi colori luminosi», anticipa il curatore.
Davvero curioso il dipinto dedicato alle “Aringhe affumicate”, su cui Van Gogh si è impegnato nell’estate 1886. «In quest’opera, nonostante l’immersione nel colore che l’artista stava vivendo a Parigi, i colori fondi e scuri olandesi ancora dominano la composizione».

Con “Rose e peonie” del giugno 1886, i colori si aprono quasi in una sinfonia che modifica già di molto l’intonazione cromatica. E il passaggio ulteriore verso il colore nuovo è evidente nella monumentale e bellissima “Natura morta con fiori di campo e rose”, del 1886/1887. «Si tratta della natura morta di più grande formato mai dipinta da Van Gogh, dove soprattutto il rosso ormai esplode nella sua ricchezza e sontuosità», annota Goldin.
Infine, “Fiori in un vaso blu”, opera del giugno 1887. «In questo quadro la transizione cromatica è ormai compiuta, memore anche della ricerca puntinistica derivata dalla pittura di Seurat. Van Gogh è pronto per la sue esperienza provenzale che comincerà di lì a pochi mesi».

Vincent van Gogh, Paesaggio a Saint-Rémy, 1889. Ny Carlsberg Glyptotek, Copenaghen, SMK 1840; prestito a lungo termine dalla National Gallery of Denmark di Copenaghen

INTRODUZIONE ALLA MOSTRA di Marco Goldin
La stagione 2020-2021 ha un significato particolare, poiché segna un traguardo non banale e che non era per nulla scontato. Ho creato Linea dombra nel 1996 e dunque nel 2021 cadranno i venticinque anni da allora. Possiamo chiamarle le nostre nozze d’argento con l’arte. Le società organizzatrici di mostre in Italia, in quel momento, si contavano sulle dita di una mano e niente lasciava presagire quello che sarebbe accaduto dopo in un ambito sempre complicato e difficile. Ancor più difficile in questo 2020 devastato dal virus. Per di più a fondare quella società, nel 1996, era un trentenne che fino alla metà degli anni novanta aveva esperienza solo di esposizioni legate al Novecento italiano. Quello che è successo da allora fa parte della nostra storia, e certamente po’ anche della storia delle mostre in Italia. Una storia fatta di oltre undici milioni di visitatori finora e di relazioni con oltre mille musei prestatori in tutti i cinque continenti. Musei che hanno concesso oltre diecimila opere giunte nel nostro paese. Molte, moltissime tra queste opere veri e propri capolavori. Se c’è una sola cosa che mi fa piacere ricordare infatti, questa è proprio la capacità di avere fatto mostre mai ancorate all’annuncio dei soli nomi, ma sostanziate da quadri e sculture di qualità spesso superlativa. Tanti ci hanno aiutato a percorrere questa strada, dai committenti agli sponsor a tutti i collaboratori che ho avuto e che ringrazio di cuore. Niente sarebbe stato possibile senza di loro.

Adesso viene questa mostra che ho pensato, in accordo con la città di Padova nella quale mai Linea d’ombra aveva lavorato prima, per dare senso compiuto a questi venticinque anni. Su Van Gogh ho lavorato e scritto, tra l’altro dedicandogli il mio primo romanzo, mentre proprio in questi mesi sto scrivendo una sua grande biografia attraverso le lettere, in uscita per La nave di Teseo a ottobre 2020. Questa esposizione, forte di ben novanta opere, con vari musei prestatori e ovviamente al primo posto il Kröller-Müller Museum e poi il Van Gogh Museum, ha l’ambizione di inserire Van Gogh nel flusso del suo tempo, nella precisa relazione con altri artisti che per lui hanno contato.

Un’esposizione che dunque non si ferma a una visione esclusivamente monografica, ma presenta l’opera del grande artista olandese con tanti approfondimenti non così usuali da vedersi, e in questo modo colloca quell’opera meravigliosa entro non abituali confini. Dai due anni nelle miniere del Borinage in Belgio, al tempo nel Brabante olandese, fino agli anni francesi che la mostra indaga in modo approfondito.

Vincent van Gogh, La vecchia torre a Nuenen, 1884 © 2020 Collection Kröller-Müller Museum, Otterlo, the Netherlands; Photography Rik Klein Gotink, Harderwijk

VISITE PRIVATE “BRUCIATE” IN POCHI MINUTI
Linea d’ombra ha riservato a visite esclusive, a mostra chiusa, le giornate che intercorrono dal 2 all’8 ottobre, prima dell’apertura ufficiale della mostra al San Gaetano il 10 ottobre. Nel corso di tre finestre di vendita, in totale saranno solamente 240 persone suddivise in gruppi da 20, ad accedere a due ore super esclusive da soli in mostra, con il curatore a raccontare Van Gogh nelle sale deserte.
A fronte dei 240 biglietti posti in vendita, il sito di Linea d’ombra è stato preso d’assalto da oltre 3000 persone desiderose di accaparrarseli. Nella finestra aperta l’8 luglio, in 1 minuto soltanto sono andate esaurite le due ulteriori visite guidate. Anche questa volta oltre un migliaio di persone non è riuscito nell’intento di acquistare il biglietto per l’esperienza speciale.

«Ci corre l’obbligo – chiarisce Linera d’ombra – di dire, in seguito ad alcune mail ricevute, che il solo problema nel non riuscire ad acquistare i pochissimi biglietti disponibili è legato unicamente alle tantissime persone in coda virtuale per l’acquisto. Nessun biglietto viene messo da parte prima e la partenza è uguale per tutti, con puntualità, dopo la registrazione con i propri dati».

C.S.
Fonte: Studio  Esseci

VAN GOGH. I COLORI DELLA VITA
10 ottobre 2020 – 11 aprile 2021
Prorogata almeno fino al 6 Giugno 2021

Centro Culturale Altinate San Gaetano
via Altinate, 71 – Padova
tel. 049 8204857
email centroculturalealtinate@comune.padova.it

www.altinatesangaetano.it

Info mostra:
Linea d’ombra
Strada di Sant’Artemio, 6/8, 31100 Treviso
Tel. +39 0422 3095
info@lineadombra.it

Biglietti:
È consigliabile giungere alla mostra avendo già prenotato giorno e fascia oraria d’ingresso. Le prenotazioni prenderanno il via martedì 1 settembre:
call center 0422.429999
biglietto@lineadombra.it

www.lineadombra.it