Gioachino Rossini iniziò a comporre a quattordici anni e altrettanto presto, a trentasette primavere, smise di farlo dopo aver regalato alla storia della musica capolavori immortali, brillanti e buffi, malinconici e meditativi. Il “Rossini Gala” proposto all’Arena di Verona la vigilia di Ferragosto ha indagato quattro momenti salienti del suo genio assoluto, riuniti in sezioni nel programma ben confezionato. Le luci multicolor dell’anfiteatro si sono accese sul melodramma tragico Semiramide, che debuttò nel 1823 avendo come interprete Isabella Colbran, la prima moglie di Rossini. Si è passati all’opera buffa Il barbiere di Siviglia e in seguito al dramma giocoso Cenerentola. La serata si è chiusa tornando al melodramma tragico con Guglielmo Tell, l’ultima fatica operistica del pesarese prima del suo ritiro a vita privata in terra di Francia, dove si dedicò solo a poche composizioni sacre o cameristiche.
Regina del belcanto si è confermata Lisette Oropesa, giovane soprano lirico-leggero “di casa” al Met, splendidamente a proprio agio nel repertorio rossiniano. Di ritorno a Verona, è scioltamente passata dall’intensità di Bel raggio lusinghier da Semiramide, alla dolcezza romantica e un po’ civettuola di Una voce poco fa da Barbiere di Siviglia, prodiga in aggraziate fioriture. Agilità, freschezza, acuto limpido, colorature smaltate e sempre ben calibrate per il soprano statunitense di origini cubane.
La gioia di vedere realizzato un destino apparentemente impossibile cantata in Nacqui nell’affanno, al pianto da Cenerentola, è stata affidata a Marina Viotti, mezzosoprano svizzero-francese alla sua prima volta in Arena. In lei, sensibilità e spiccata musicalità si sono accompagnate ai begli accenti, alle agilità, all’omogeneità e morbidezza dell’emissione.
Debutto areniano anche per Levy Sekgapane, impegnato dapprima in La speranza più soave da Semiramide, pagina tecnicamente assai impegnativa, per poi aver cambiato registro espressivo in Cessa di più resistere da Barbiere. Il tenore sudafricano ha voce chiara, di soave leggerezza e di argentina brillantezza anche nelle note acute che centra senza alcun problema, in una linea stilistica pulita ed elegante.
Due baritoni si sono posti in raffronto nel duetto Dandini-Don Magnifico, tramutatosi in una “gara” di bravura. Mario Cassi ha infuocato gli animi del pubblico con la cavatina di Figaro, personaggio con cui vanta una assidua frequentazione e che gli ha richiesto un mix di colori e agilità, di presenza scenica e doti interpretative. A condividere il podio baritonale, Alessandro Corbelli possiede quello che si definisce “mestiere”, padronanza della vocalità della tecnica e dell’espressività, ben calibrate così come tarata con ottimo gusto è stata la componente buffa nell’aria Miei rampolli femminini da Cenerentola che ha preceduto lo struggente Resta immobile da Guglielmo Tell. Non poteva mancare la celeberrima Calunnia, affidata al lungo fiato e al bel timbro del basso-baritono Roberto Tagliavini, anch’egli in feeling con Rossini.
Interventi puntuali del Coro diretto da Vito Lombardi, mentre Jader Bignamini ha guidato l’orchestra areniana, con fraseggio dinamico e attento ai dettagli delle partiture, attraverso le sinfonie di Semiramide e di Guglielmo Tell, nelle quali l’edificio sonoro rossiniano è costruito con sfarzo e imponenza. In particolare, nell’arcinota sinfonia dal Tell il crescendo della tempesta fino al ritorno alla calma bucolica, così come, in conclusione di programma, il riapparire del sole nel concertato Tutto cangia, il ciel s’abbella, ha portato un raggio di speranza in questo periodo che il covid sempre in agguato rende ancora incerto.
Nella comunicazione ufficiale si parlava del “genio pirotecnico” di Rossini. Così è stato. Un tripudio di fuochi d’artificio ha anticipato la festa ferragostana e sancito la fine del concerto, che ha donato tre bis tra cui Dal tuo stellato soglio da Mosè in Egitto.
Recensione Maria Luisa Abate
Visto all’Arena di Verona il 14 agosto 2020
Foto Ennevi – Fondazione Arena di Verona