“Nel cuore della musica”, il festival lirico 2020 all’Arena di Verona, si è concluso nel nome di Plácido Domingo. Un mito vivente, una icona, la star delle star, un artista come pochi nell’intera storia del melodramma. Presenza fissa in questo anfiteatro da oltre cinquant’anni, è stato accolto da ovazioni all’ingresso sul “red carpet” che conduce al palcoscenico. Gli eventi che lo hanno visto protagonista hanno segnato una tappa di continuità tra le scorse edizioni e questa strana estate, che ha dovuto per lo più rimodulare se stessa. Due le vesti in cui il Maestro si è presentato al folto pubblico areniano: la prima volta come cantante, la seconda come direttore d’orchestra.
Il venerdì, abbiamo ascoltato l’ex tenore, passato negli ultimi anni a ruoli baritonali, in un programma concepito appositamente per l’occasione e incentrato su due autori: Giuseppe Verdi e Umberto Giordano. Domingo è perfettamente guarito dalla malattia del momento, che gli ha lasciata indenne la voce, forse minimamente affievolita nel volume. Voce presentante talune caratteristiche che paiono non risentire del passare del tempo. Che raffinatezza, che eleganza, che classe nell’uso dei colori, nel fraseggio, nella consapevolezza di ogni singola parola, negli acuti saldi e nelle smorzature cariche di espressività. Un’emissione morbidissima, totalmente esente dal minimo vibrato, e dal timbro affascinante di sempre. Esordio con “Nemico della patria” da Andrea Chenier, ruolo debuttato in questa circostanza; poi papà Germont, al quale Domingo ha donato una profonda consapevolezza di uomo. In chiusura l’intenso, commovente “Per me è giunto il dì supremo” da Don Carlo.
A condividere con lui la luce dei riflettori, da solista e in numerosi duetti, la madrilena Saioa Hernández. Soprano di razza, attenta all’estetica della linea di canto, dai sontuosi mezzi vocali a iniziare dagli acuti brillanti. Accurata la conoscenza dei personaggi e del contesto nel quale si muovono: pensiamo a “Tacea la notte placida” da Trovatore, guarnito da atmosfere dolcemente romantiche, alla negazione dell’amore per Violetta, al toccante “La mamma morta” da Andrea Chénier, dove Hernández ha dato il meglio di sé raggiungendo, e facendo raggiungere al pubblico, un picco emozionale.
Anche stavolta non sono mancate prime esecuzioni in Arena, come gli interventi dell’Orchestra diretta dal maestro valenciano Jordi Bernàcer. La sinfonia di Giovanna d’Arco è parsa di “rodaggio” e poi si è ingranata una marcia in più nel raffinato preludio de I Masnadieri, con il magnifico assolo di violoncello, e nell’appassionato intermezzo di Fedora. Bacchetta equilibrata nelle dinamiche, misuratamente vivace nei tempi e protesa all’insieme. Gran finale nel segno della zarzuela, uno dei generi più amati e frequentati dal grande Domingo, affiancato anche in questa occasione da Hernández, avvolta in un folcloristico scialle.
La sera successiva Plácido Domingo è salito sul podio, dimostrando eleganza pure nel gesto direttoriale. Il concerto intitolato “Opera e passione” era per l’appunto una carrellata di celebri pagine che hanno fatto battere il cuore, da Roméo et Juliette di Charles Gounod, a un nutrito segmento riservato a Puccini, con Tosca e La bohème. Manon di Massenet è stata messa a breve confronto con Manon di Puccini, di cui è stato proposto l’intermezzo sinfonico.
Sonya Yoncheva, dotata di ottimo e ben gestito materiale vocale, si è mossa a proprio agio in questo programma, per il trasporto emotivo che ha contraddistinto la sua esecuzione. Il soprano bulgaro infatti ha saputo declinare appropriatamente il sentimento d’amore, dalla freschezza adolescenziale di Giulietta alla focosa passionalità di Carmen, dal temperamento geloso di Tosca, al trasporto emotivo di Mimì.
Vittorio Grigolo possiede una voce naturalmente bella. A completare il cast e permettere così la proposizione di un lungo stralcio del terzo atto di Bohéme, i begli interventi di Mihaela Marcu e Davide Luciano, che auspichiamo di risentire presto nell’anfiteatro.
Le serate sono state ambedue baciate dalla clemenza del cielo. Pochi giorni prima si era abbattuta su Verona la tromba d’aria con l’inondazione di cui i telegiornali hanno rimandato immagini spaventose. Pure le giornate in cui erano fissati questi appuntamenti erano iniziate in modo meteorologicamente turbolento, soprattutto il sabato in cui ha piovuto fino a poco prima dell’inizio e i tuoni hanno rumoreggiato durante lo spettacolo. Ma due finestre di “asciutta” tranquillità si sono aperte e hanno consentito di concludere festosamente la stagione. Ricollegandosi idealmente al gala inaugurale, l’ “ala” di pietra si è tinta di bianco rosso e verde e sulle gradinate alle spalle del palco sono state proiettate due bandiere tricolori di luci. È l’Italia dell’arte e della musica che vince la pandemia e la sfida organizzativa da essa imposta. È l’Italia che sa reagire, che rialza la testa e guarda fieramente avanti.
Recensione Maria Luisa Abate
Visto all’Arena di Verona il 28 e 29 agosto 2020
Foto Ennevi – Fondazione Arena di Verona