Da circa 100 anni il cavallino rampante lega indissolubilmente la scuderia Ferrari e l’Aeronautica Militare, un connubio che fonda le sue radici storiche durante la prima guerra mondiale, con le gesta dell’Asso degli Assi dell’aviazione, il maggiore Francesco Baracca.
Per questo, per celebrare il Gran Premio numero 1000 della scuderia Ferrari in Formula 1, domenica 13 settembre l’Aeronautica Militare aprirà il GP di Toscana Ferrari 1000 con il sorvolo di una formazione di caccia Eurofighter che, proprio come lo SPAD S.XIII di Baracca, riportano sulla fusoliera il cavallino rampante, simbolo che ancora oggi caratterizza i reparti di volo della Forza Armata che quotidianamente assicurano la Difesa dello spazio aereo nazionale e della NATO.
In particolare si tratta di caccia intercettori Eurofighter appartenenti al 9° Gruppo Volo del 4° Stormo di Grosseto ed al 10° e 12° Gruppo Volo del 36° Stormo di Gioia del Colle (BA).
Ancora una volta il legame tra il mondo dei motori della Formula 1 e l’Aeronautica Militare si rinnova. Solo lo scorso 6 settembre, infatti, i velivoli MB-339PAN delle Frecce Tricolori hanno steso il Tricolore sul Gran Premio d’Italia 2020 a Monza poco prima della partenza della gara.
Motori e velocità, ma anche tecnologia, innovazione e soprattutto spirito di squadra, elementi cardine che accomunano i Reparti di volo dell’Aeronautica Militare e le scuderie della Formula 1.
LA STORIA DEL CAVALLINO RAMPANTE
Il cavallino rampante – di colore argenteo su campo rosso, rivolto a sinistra e con la coda abbassata – era lo stemma araldico del “Piemonte Reale Cavalleria”, uno dei più prestigiosi reparti dell’Esercito Italiano, presso il quale Francesco Baracca prestò servizio ad inizio del Novecento.
Di lì a poco, il giovane cavallerizzo volle diventare aviatore e fu proprio il suo amore per i cavalli che lo portò negli anni successivi a scegliere di adottare, sebbene con alcune varianti, lo stesso stemma quale simbolo per i suoi aeroplani. Il cavallino rampante nero apparve per la prima volta su di un aeroplano pilotato dall’asso a inizio 1917 e divenne definitivamente l’insegna applicata sulla fusoliera degli aerei da lui pilotati nell’ambito della neo-costituita 91ª Squadriglia.
Il 19 giugno 1918 Francesco Baracca non rientrò da un volo di guerra sul Montello e il suo corpo fu trovato solo alcuni giorni più tardi accanto ai resti bruciati dello SPAD su cui volava.
Da quel momento, furono i genitori dell’Asso a tenerne vivo il ricordo e fu un incontro – il 16 giugno 1923 durante il Circuito del Savio – tra il padre di Francesco Baracca, Enrico, e un giovane Enzo Ferrari (all’epoca al volante di un’Alfa Romeo) a preparare la strada a quello che diventerà un mito a livello mondiale.
A quell’incontro seguì quello tra la madre di Francesco e il costruttore modenese, al quale la contessa Paolina Biancoli donò il prezioso emblema accompagnandolo con queste parole: “Ferrari, metta sulle sue macchine il cavallino rampante del mio figliolo. Le porterà fortuna”.
«Conservo ancora la fotografia di Baracca, con la dedica dei genitori con cui mi affidano l’emblema» – scriveva Enzo Ferrari il 3 luglio 1985 allo storico lughese Giovanni Manzoni. «Il cavallino era ed è rimasto nero; io aggiunsi il fondo giallo canarino che è il colore di Modena».
Il Cavallino Rampante tornò ad apparire come stemma della 91ª negli anni ’20, per ricevere poi una definitiva consacrazione quale insegna del 4º Stormo della Regia Aeronautica per volere di Amedeo d’Aosta che allora lo comandava. Lo stesso stemma fu inoltre impiegato per un periodo anche sulle moto Ducati, su richiesta dell’allora progettista Fabio Taglioni, originario di Lugo di Romagna. Il cavallino rampante vola tuttora sul timone di coda degli Eurofighter dell’Aeronautica Militare e, come noto, corre sulle auto di Maranello.
C.S.
Fonte: Ufficio Relazioni con i media Aeronautica Militare, 11 settembre 2020
GLI UFFIZI “PARTECIPANO” AL GP DI FORMULA 1:
OMAGGIO AL PIÙ GRANDE “PILOTA” DI QUADRIGA DELL’ANTICHITÀ
Un focus su un’opera antica e preziosa, un video in latino su Facebook per salutare simbolicamente l’arrivo del Gran Premio di Formula 1 in Toscana, all’autodromo del Mugello: protagonista della doppia iniziativa, lanciata dalle Gallerie degli Uffizi, è una delle opere più antiche della collezione del museo, l’epigrafe romana risalente al secondo secolo d.C., che celebra una vera e propria star sportiva del tempo: il famosissimo auriga Avilius Teres.
Il reperto antico resterà esposto in una posizione d’onore al secondo piano degli Uffizi, nello spazio tra la sala di Leonardo e quella di Raffaello e Michelangelo; il video – in latino, ma con sottotitoli in italiano – che ne illustra i contenuti e racconta la storia del personaggio, è pubblicato da sabato 12 settembre.
LA STORIA DELL’AURIGA AVILIUS TERES
Avilius Teres era un auriga tra i più famosi dell’antichità, considerato alla stregua di un vero e proprio eroe dai suoi contemporanei. Innumerevoli le sue vittorie nella corsa dei cavalli: Avilius Teres nella sua squadra riportò 1011 vittorie in un anno. Fu inoltre un grande innovatore nell’arte della quadriga, soprattutto per quanto riguarda l’aggiogamento dei cavalli e la guida.
Le gare si svolgevano nel circo, e le squadre cui appartenevano gli aurighi si chiamavano “factiones”. Potevano essere facilmente riconosciute grazie ai vari colori delle tuniche indossate dagli atleti: così gli spettatori distinguevano la squadra bianca, quella rossa, la verde o l’azzurra. Ogni squadra aveva i suoi sostenitori: ad esempio, si tramanda che l’Imperatore Nerone fosse tifoso dei verdi. Gli aurighi potevano anche cambiare squadra nel corso del tempo: lo stesso Avilius Teres passò da quella rossa a quella verde.
L’EPIGRAFE
Nel testo dell’epigrafe custodita dalle Gallerie sono stati trascritti i nomi dei cavalli, con le loro origini e il numero delle vittorie che assicurarono ad Avilius. Questi animali provenivano dall’Africa, dalla Spagna, dalla Laconia e dalla Gallia, avevano nomi greci e latini, che alludevano variamente a doti di agilità e prontezza (“Volante”), a qualità fisiche (“Maculato” o “Ricciuto”), alla provenienza geografica (“Egizio” o “Betico”), a celebri personaggi, come Romolo o Dedalo, o a cavalli della mitologia come Pegaso.
Il reperto era un tempo parte di una grande iscrizione monumentale rinvenuta nell’area di Castel S. Angelo, non lontano da dove, in antico, sorgeva il Circo di Caligola; entrò nelle collezioni medicee alla fine del XVII secolo e, dai primi decenni del secolo successivo, fu sistemato nel Ricetto delle Iscrizioni, così detto poiché ospitava il nucleo principale della raccolta epigrafica granducale. Lo stesso spazio dove, simbolicamente, l’opera è esposta in questi giorni.
Il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt: «La passione per la velocità fa parte della natura umana, e la competizione sportiva è un fenomeno sociale antico, con manifestazioni identiche a quelle che vediamo anche oggi negli stadi e nei circuiti di corsa. Stazio, nel libro sesto della sua Tebaide le descrive bene: ‘Il frastuono arriva alle stelle, il cielo trema, e tutti i sedili appaiono vuoti, essendo la folla scattata inpiedi’. Così, con il loro antico auriga, gli Uffizi partecipano simbolicamente al Gran Premio della Toscana in Mugello, dove ebbe origine la dinastia dei Medici».
C.S.
Fonte: Ufficio Stampa Gallerie degli Uffizi, 11 settembre 2020