Il Festival Verdi a Parma si è rimodulato en plein air e ha vinto la sfida, forte anche dell’esperienza maturata con Verdi Off che porta la lirica in luoghi inconsueti. Immerso nella suggestiva scenografia naturale degli alberi centenari del Parco Ducale, Macbeth ha acceso la prima delle Scintille d’opera che costituiscono il cuore del festival. Il titolo ispirato a Shakespeare avrebbe dovuto essere, e in ogni caso così è stato, uno dei fiori all’occhiello di Parma Capitale Italiana della Cultura, posticipata a Parma 2020-21. Purtroppo le regole anticontagio hanno imposto delle rinunce dolorose, come l’allestimento e la regia, ma ciò che ha importato, in questo anno difficile per tutti, è aver mantenuto alta la qualità artistica: piuttosto di un “sottoprodotto covid” è stata di gran lunga più apprezzabile una esecuzione solo musicale di ottima caratura. E un bravo va anche all’organizzazione impegnata nel “trasloco”, dal palcoscenico all’impianto luci, dalla biglietteria al book shop e alla caffetteria, anch’essa rimodulata con prelibatezze da ristorante.
L’aver declinato tutto in altra veste è stata una costante di questo Macbeth, di cui si è potuta ascoltare, in forma di concerto, la versione del 1865, fatta per l’Opéra di Parigi. Solitamente cantata in italiano (ri-traduzione della traduzione della stesura primigenia), è stata qui eseguita nella lingua originale francese, per la prima volta assoluta in tempi moderni. Per dirla brevemente, Giuseppe Verdi apportò innovazioni al suo primo Macbeth del 1847, per adattarlo ai nuovi tempi e al gusto d’oltralpe, inserendo o modificando diverse arie e aggiungendo i ballabili nel terz’atto. A Parma, è stata presentata l’edizione critica curata da David Lawton e revisionata da Candida Mantica.
L’amplificazione d’ambiente, indispensabile per contenere la dispersione del suono, ha avvolto adeguatamente e non invasivamente la platea, di mille spettatori attentamente distanziati. Sul podio dell’Orchestra Filarmonica “Toscanini” è salito Roberto Abbado in stato di grazia. Il direttore si è dimostrato sensibile interprete del “nuovo” che animò Verdi e della necessità di una espressività globalmente intesa (lo stesso direttore ha parlato di un’anticipazione del Gesamtkunstwerk wagneriano) giocata sulle dinamiche, sull’infinita gamma di chiaroscuri, sulla magnifica tensione drammatica senza cedimenti, con le parentesi dei ballabili. Il ricercato “tutt’uno” ha ovviamente compreso il Coro che, sotto la direzione di Martino Faggiani, si è reso protagonista di una prova veramente superba per le tinte stupendamente fosche e magiche.
Il cast, di assoluto rilievo, non è rimasto insensibile al “modo” ottocentesco. Il baritono Ludovic Tézier, madrelingua, ha affrontato il personaggio di Macbeth rendendolo maggiormente consapevole, meno succube della crudele consorte e di conseguenza più solo come uomo. Bella pasta, timbro caldo e sontuoso, legato scorrevole come olio, emissione calibrata nei volumi e nella potenza usata mai a sproposito, Tézier ha brillato per la linea stilistica aristocratica. Splendida Silvia Dalla Benetta, chiamata in sostituzione dell’indisposta Davinia Rodriguez. Una Lady bramosa di potere ma non accecata da esso anzi lucida calcolatrice, dal cuore duro e spietato. Il soprano ha padroneggiato con sicurezza le agilità dagli accesi toni drammatici, ed è passata dai registri gravi intensi alle note alte taglienti come pugnali, con la voce fondata sulla parola e capace di mascherarsi da “brutta e cattiva” come chiedeva Verdi. Dal declamato della lettera, distorto e sibilante come vipera, fino all’allucinata scena del sonnambulismo, Dalla Benetta ha magnetizzato con la sua personalità.
Ha riscosso una notevole e meritata dose di applausi Riccardo Zanellato Banquo di spessore, ricco di sfaccettature, dal timbro magnifico e dalla solida vocalità verdiana usata con intelligenza interpretativa. Duevoci di lusso, entrambe incisive, per i ruoli di Macduff e Malcom, rispettivamente Giorgio Berrugi dalla spiccata musicalità e David Astorga, ben centrato.Hanno completato il settore vocale Francesco Leone, Un médecin, Natalia Garvrilan, La Comtesse, Jacobo Ochoa, Un serviteur, Un sicaire, Premier fantôme, infine Pietro Bolognini e Pilar Mezzadri Corona fantôme.
Una serata da ricordare e una bella ripartenza per il Festival Verdi e per il Teatro Regio di Parma che ha tracciato una nuova rotta verso il futuro atta ad essere felicemente mantenuta, covid o non covid.
Recensione Maria Luisa Abate
Visto a Parma – Festival Verdi “Scintille d’opera” – il 13 settembre 2020
Contributi fotografici: Roberto Ricci