«La musica non cancella il dolore, la sofferenza. È l’abbraccio invisibile e rigeneratore capace di profonda vicinanza e conforto» ha anticipato Anna Maria Meo, Direttore generale del Teatro Regio di Parma. Anche il Festival Verdi ha inserito nella propria programmazione un toccante ricordo delle vittime della pandemia proponendo la Messa da Requiem che Giuseppe Verdi dedicò ad Alessandro Manzoni e che fu eseguita nel primo anniversario della morte dello scrittore, il 22 maggio 1874, nella chiesa di San Marco a Milano, con direttore lo stesso Verdi.
Purtroppo la seconda serata è stata interrotta da un dispettoso acquazzone che ne ha impedito il compimento, nella suggestiva cornice en plein air del Parco Ducale. È pertanto il caso di ricordare che la registrazione di questo titolo, come per gli altri di “Scintille d’opera”, dopo la diretta streaming rimane visibile nel sito del Teatro fino al 30 novembre. E saranno editati un CD e un DVD.
Il Requiem ha da sempre diviso i pareri dei musicologi per la sua elevazione “terrena”, per la spiritualità mediata attraverso i mezzi espressivi teatrali propri del melodramma con i quali il Maestro di Busseto affronta l’angoscia che pervade ciascuno di fronte al mistero della morte, il relazionarsi dell’uomo con Dio e il suo inquieto interrogarsi sulla ragione dell’esistenza, l’incertezza sull’aldilà e infine il posto che occupiamo nel contesto di una natura che rimane insensibile verso la caducità umana. Quindi, per certa parte di studiosi, un lavoro carente d’autentica religiosità. Senonché soccorrono, in tal senso, le parole espresse da Papa Benedetto XVI al termine di un concerto nel 2010, volte a sottolineare la capacità di Verdi di cogliere sia la drammaticità della condizione umana sia il protendersi dell’uomo verso l’infinito: uno slancio verso il trascendente e verso Dio che è insito nel cuore dell’essere umano e che, nel Requiem, emerge nei sentimenti contrastanti che accompagnano l’affacciarsi alla «soglia dell’eternità».
Contrasti emotivi stupendamente sviscerati da Roberto Abbado, ritornato sul podio della Filarmonica Arturo Toscanini magnifica in ogni sua sezione strumentale, per dirigere l’edizione critica a cura di David Rosen. Abbado ha posto in risalto l’intimismo del dettato musicale con ricchezza di accenti riflessivi, di spunti meditativi, e ha dato speciale solidità alla contrapposizione tra le impetuosità di note e il silenzio, tra lo sgomento che coglie l’uomo quando si trova al cospetto della morte e la speranza nell’ultraterreno, tra la disperazione e l’invocazione consolatoria. Una lettura vibrante e dai bagliori luminosi per il Coro, ottimamente preparato da Martino Faggiani.
Entrambe al debutto al Festival Verdi le splendide voci soliste femminili.Del soprano Eleonora Buratto è spiccata la precisione dell’intonazione e la capacità di dare spessore al significato della parola e ai sentimenti da questa espressi, grazie alla consapevolezza interpretativa e ai mezzi lussureggianti utilizzati con sensibilità e intelligenza. Voce svettante e sapiente uso delle dinamiche per Anita Rachvelishvili, mezzosoprano la cui intensità drammatica ha avvolto gli ascoltatori in un flusso emotivo caldo e profondo. Bella musicalità, naturalezza e nitore di emissione tenorile per Giorgio Berrugi e timbro pastoso, penetrante e accorato di Roberto Tagliavini. Il basso, acquisto d’eccellenza degli ultimi giorni, era giunto al posto dell’inizialmente previsto Michele Pertusi che, in un atto di generosità, il Festival Verdi ha lasciato libero di correre in soccorso della Wiener Staatsoper, trovatasi allo scoperto per un ruolo che in pochi hanno in repertorio. Un significato aggiunto alla serata il compiere quel gesto, che il covid ha cancellato nella forma esteriore ma non nella sostanza, di tendersi l’uno l’altro la mano.
Recensione Maria Luisa Abate
Visto a Parma, Festival Verdi “Scintille d’Opera”, il 20 settembre 2020
Contributi fotografici © Roberto Ricci