Siamo nel «nessun-dove tra la pista e il cielo». La pista è quella di un circo di second’ordine, agli inizi del Novecento. Un vecchio clown triste ogni sera indossa il costume e recita la parte. Una volta era un trapezista e volteggiava in alto. Una caduta lo ha reso storpio e ha ucciso la sua amata compagna, così ora è costretto a far ridere il pubblico delle proprie menomazioni. Claudicante e con una finta gobba, si fa chiamare Rigoletto, un nome che «funziona da richiamo per tutti quei poveri che l’opera non l’hanno mai vista». Ma anche un nome che non si può portare impunemente perché reca con sé la condanna a un tragico destino, già scritto nel palmo della mano che viene letto da una zingara chiromante. Siamo nel «nessun-dove tra la pista e il cielo». La pista è quella di un circo di second’ordine, agli inizi del Novecento. Un vecchio clown triste ogni sera indossa il costume e recita la parte. Una volta era un trapezista e volteggiava in alto. Una caduta lo ha reso storpio e ha ucciso la sua amata compagna, così ora è costretto a far ridere il pubblico delle proprie menomazioni. Claudicante e con una finta gobba, si fa chiamare Rigoletto, un nome che «funziona da richiamo per tutti quei poveri che l’opera non l’hanno mai vista». Ma anche un nome che non si può portare impunemente perché reca con sé la condanna a un tragico destino, già scritto nel palmo della mano che viene letto da una zingara chiromante.
Nella ricca programmazione del Festival Verdi “Scintille d’opera”, precisamente nella sezione AroundVerdi in cui il Maestro incontra altri linguaggi, si sono incastonate due commissioni del Teatro Regio di Parma realizzate da Società dei Concerti e andate in scena in prima assoluta. Marco Baliani, autore e attore di “Rigoletto. La notte della maledizione”, ha riscritto la vicenda del celebre buffone musicato da Verdi, allargandone l’ottica, facendo emergere il tormento che devasta il protagonista nella sua auto-confessione, e la gelosia accecante che dal privato arriva a impadronirsi della finzione scenica, quasi una eco leoncavalliana.
Un racconto avente la nitidezza della cronaca, scaturito dall’animo e dal cuore di poeta. Del resto, Baliani è uno dei massimi autori del teatro di narrazione italiano. Il suo testo mantiene alto un lirismo che, per l’appunto, proietta in quel mondo sospeso che sta tra la terra e il cielo. O tra il cielo e la terra. «La cartapesta dello spettacolo stasera si scioglierà per mostrare la cosa più terribile che ci sia: la realtà».
Sul palco, un tavolino con lo specchio per il trucco, due foto incorniciate e accanto il classico baule teatrale, dal quale estrarre un solo costume, tante amarezze e un fiume di ricordi che nella mente del clown fluisce come musica. L’ensemble de I Filarmonici di Busseto (Simone Nicoletta clarinetto, Giampaolo Bandini chitarra, Cesare Chiacchiaretta fisarmonica e compositore, Antonio mercurio contrabbasso, Roger Catino percussioni) sulle note di Nino Rota apre una finestra sul circo di Fellini oppure rimanda all’opera lirica, con la fisarmonica a prendere su di sé la linea melodica, generando esiti insoliti e bellissimi che lasciano intatta la verdianità. Un inno al circo e al teatro. «Un mondo dove si vive a intermittenza nell’effimero. In quell’attimo, io sono illuminato dalla luce del divino – dice Rigoletto/Baliani – io splendo. E questo sconvolge il pubblico al punto da buttarlo in risata, da sfogarsi in un applauso e dopo venire a trovarci nei camerini. Noi, angeli sempre cadenti e sempre caduti, che però in quegli attimi abbiamo toccato l’indicibile».
La maledizione che affligge Rigoletto/Baliani è la vecchiaia, la caducità del corpo una volta bello, divenuto oggetto di scherno nel deperimento. La figlia Giada (una sola lettera la differenzia dalla verdiana Gilda) è innamorata di un trapezista rubacuori, soprannominato il Duca, dal quale l’amorevole padre cerca di proteggerla.
La vendetta sfocerà in un epilogo tragico, provocato e mortale. I trapezisti si allenano a cadere, imparano come attutire il colpo. Ma altre sono le precipitazioni nella vita. «Le cadute sono un allenamento alla precarietà del vivere e piano piano ci si abitua». Un finale analogo a quello musicato da Verdi eppure diverso, in cui la carica drammatica resta magnificamente tesa come una corda di violino, quasi sia un altro strumento aggiunto al quintetto. «La vita continua: si cade. Anche voi – Rigoletto/Baliani si rivolge al pubblico immaginario che costella il suo dialogo interiore – inciampate ogni giorno in voi stessi. Si cade…». Lo spettacolo si chiude con uno straziante grido muto, impietrito in una maschera di dolore. La musica tace ed è il silenzio.
Recensione Maria Luisa Abate
Visto al Teatro Regio di Parma, Festival Verdi “Scintille d’opera”, il 9 ottobre 2020
Contributi fotografici. Roberto Ricci