Ci sono spettacoli al cui confronto gli altri paiono deludenti. “Aggiungi un posto a tavola” è una pietra miliare della commedia musicale e da oltre quarant’anni, dal suo debutto nel 1974 quando rimase in scena al Sistina per sei mesi ininterrotti, continua a mietere successi e ad affascinare nuovi e vecchi pubblici. La settima edizione ricalca quella mitica dell’esordio. Scritto dalla “premiata ditta” Garinei e Giovannini con Jaja Fiastri, il soggetto si ispira a “After me the deluge” di David Forrest. Le musiche dell’immenso Armando Trovajoli sono costellate da canzoni entrate a far parte della memoria collettiva; la scenografia e i costumi di Giulio Cortellacci, così come le coreografie di Gino Landi hanno fatto, e tuttora fanno scuola.
«C’era una volta, anzi c’è, o meglio ancora potrebbe esserci…» Il luogo è ovunque e il tempo è il presente delle favole. O della realtà, poiché non vi è una differenza sostanziale. Le prime tre edizioni hanno avuto straordinario protagonista Johnny Dorelli, poi, in ricambio generazionale, la tonaca di don Silvestro è passata a Gianluca Guidi, figlio di Dorelli e, troppo spesso lo si dimentica, di Lauretta Masiero, dai quali ha ereditato uno straordinario DNA artistico, che declina in modi personali. Guidi possiede voce suadente, presenza carismatica, tempi comici perfetti e un’ironia leggera ed elegante, simbiotica con lo stile della sceneggiatura, spiritosa e mai sopra le righe, garbata e mai sguaiata, che fa assumere al sorriso una valenza maggiore rispetto al riso. Sorriso che la commedia invita a rivolgere al prossimo, inneggiando alla bellezza della semplicità e affrontando con levità temi quali la religione e l’amicizia, l’amore e la comprensione. Buoni sentimenti che non invecchiano, anche nella nostra epoca sempre più cinica e indifferente alle esigenze degli altri.
La regia originale di Pietro Garinei e Sandro Giovannini, ripresa dallo stesso Guidi, coinvolge con il ritmo brioso, senza momenti di stasi o riempitivi, nell’incalzare di scene e controscene dai colori vivaci. Il cast è affiatato e dà vita a un meccanismo preciso come un orologio, in cui non si ravvisa distinzione tra personaggi primari e secondari, essendo tutti ben delineati caratterialmente. Le scenografie, intagliate nel legno, riservano incessanti sorprese. Il loro ruotare su diverse circonferenze richiede sincronismo con i movimenti degli interpreti, mentre si scompongono e ricompongono a formare l’interno della chiesa, le case e la piazza, il bosco e la cappellina, infine la gigantesca arca, costruita a vista con esiti spettacolari. Annuncia infatti un secondo diluvio universale la “Voce di lassù” (Enzo Garinei in forma smagliante). Una presenza immateriale che suggerisce e consiglia, che compie miracoli, detta indicazioni imperiose e si diverte a fare scherzi. Don Silvestro, attingendo alla forza interiore che cancella la debolezza umana, si fa carico di ogni conflitto e riesce a salvare i suoi parrocchiani quando già stanno per essere fagocitati dai flutti, in un quadro spettacolare, dove la pioggia e i lampi appaiono proiettati su un velatino; un classico espediente teatrale usato con estrema perizia tecnica (luci Umile Vainieri). La comunità è formata dal sindaco Crispino burbero e ottuso (Marco Simeoli), la conciliante moglie Ortensia (Francesca Nunzi) e la figlia Clementina (Beatrice Arnera) intraprendente innamorata del prete. Inoltre lo sprovveduto Toto (Piero Di Blasio) al quale dà la sveglia la dirompente Consolazione (Emy Bergamo), pecorella smarrita che viene perdonata e incarna il messaggio della commedia musicale. Nel tripudio finale, il posto a tavola per l’amico in più viene occupato da una colomba bianca volata attraverso il teatro: personificazione di tutti coloro che hanno perduto sé stessi e poi si sono ritrovati.
Quasi tre ore entusiasmanti, che tengono con il fiato sospeso per il rinnovarsi della meraviglia. Una «notte da non dormire, notte da innamorare…».
M.A.
Visto al Teatro Sociale di Mantova il 9 dicembre 2017