Lester Young (1909-1959) suonava il sax tenore, eccezionalmente il clarinetto.
Era stato soprannominato Pres (da President): qualcuno aveva notato che il mondo del Jazz aveva già avuto un King Oliver, un Count Basie, un Duke Ellington ed era giunto il momento che sceglies-se anche un Suo Presidente. Fu l’artefice di una rivoluzione tranquilla e sottile, com’era nel suo stile. Al suo debutto, la presenza dominante, nel panorama del sax tenore, era quella del grande Coleman Hawkins e della sua espressione accesa, vibrante, incisiva e appassionata. Pres, invece, fin dal suo esordio su disco (1936) sembrò rilassato, indolente, disteso, il suo suono quasi opaco, con pochissimo vibrato: molti tra i suoi colleghi ritenevano che non suonasse il sax nel modo “giusto”, ma la sua fresca inventiva melodica e la sua libertà ritmica, lo collocarono da subito tra i più grandi improvvisator. Era divergente e trasversale, anche nei comportamenti. Durante il servizio militare venne ricoverato in ospedale e gli fu chiesto di compilare un modulo: alla domanda se avesse mai fumato marijuana, gli parve naturale rispondere “sì”. Venne, pertanto, ordinata una perquisizione dei suoi bagagli: pillole antidolorifiche, forse anche marijuana e una foto della seconda moglie, una donna bianca. Il caso fu denunciato alla Corte Marziale, che dispose cinque anni di reclusione, poi ridotta a un anno, da scontarsi in un baraccamento in Georgia. Esperienza angosciosa, ricordata in un bellissimo disco del dicembre 1945: “D.B. Blues” dove la sigla, sta per Detention Barrack. Il gin e la marijuana divennero il suo rifugio; il suo comportamento si fece sempre più strano. Solitario, di poche parole, sembrava sempre assonnato, assumeva occasionalmente qualche atteggiamento effeminato, l’eloquio bizzarro, l’umorismo sottile e surreale. Gratificava tutti del titolo di Lady, anche gli uomini. Parlava di sé, in terza persona: “Pres goes” diceva per interrompere una conversazione e si allontanava a passettini, come se camminasse sulle uova.
Indossava spesso una sorta di cappotto lungo quasi fino ai piedi, e un cappello a cupola bassa e larga, il pork pie hat. Il disco che lo rappresenta nella mia personale galleria è dell’ottobre 1946 e si intitola Jumpin with Symphony Sid https://www.youtube.com/watch?v=RuEKuPCtzR4: il dedicatario è Symphony Sid Torin l’unico disk jockey di New York, che avesse dato spazio al jazz moderno nei suoi programmi radio. Come per gli altri dischi che ho scelto di estrarre dai miei ricordi, anche questo non appartiene al novero dei capolavori riconosciuti, ma per me quella semplice linea blues, quel motivo-riff di due misure, ripetuto per sei volte con minime variazioni, l’improvvisazione “orizzontale”, senza impennate, lo swing tanto più intenso, quanto meno gridato: tutto questo provoca ancora un’emozione intensa al mio cuore di vecchio appassionato. Mi pare che Pres suoni come se avesse a disposizione tutto il tempo del mondo, come se non dovesse fare i conti con il fatidico e invalicabile limite dei tre minuti, concessi ai tempi della registrazione per i dischi a 78 giri. C’è una dignitosa, anche se un po’ anonima, sezione ritmica: Argonne Thornton al piano, Fred Lacey alla chitarra, Rodney Richardson al basso e Lyndell Marshall alla batteria. Alla seduta di incisione era presente anche un trombettista, Shorty McConnell, che – per fortuna – non prende assoli nel “nostro” blues. E’ di fatto un monologo del tenore: pigro, quasi sonnolento, con poche variazioni di registro e molte illuminanti folgorazioni melodiche, come per esempio nel geniale finale dell’assolo, prima di cedere la scena a Thornton per un interludio pianistico appropriato e semplice. Dello stesso brano esiste anche una versione video disponibile su YouTube https://www.youtube.com/watch?v=0DmtPvFa_W8 una jam session con una schiera di solisti illustri. Potete vedere fianco a fianco Hawkins e Young che, a un certo punto, si alternano in una sequenza di brevi improvvisazioni al sax tenore e ci danno una rappresentazione eloquente e ravvicinata dei loro stili contrapposti. Quando Hawkins, nel 1934 abbandonò l’orchestra di Fletcher Henderson, Pres venne invitato a prenderne il posto. La moglie del capo orchestra, Leora Henderson, lo svegliava ogni mattina di buon’ora e lo costringeva ad ascoltare i dischi di Hawkins, nella speranza che Pres ne replicasse lo stile. Ma niente: lui stava ad ascoltare per non offenderla, ma continuava a suonare alla sua maniera. Dopo qualche mese, la storia di questa mancata aggregazione di Young alla compagine in cui aveva militato il suo grande predecessore si esaurì, il tentativo di assimilazione – per fortuna – fallì. Pres si accasò definitivamente nell’orchestra di Basie, con cui passò gli anni migliori della sua carriera, a partire dal folgorante debutto discografico del 9 ottobre 1936 in quintetto: cinque brani meravigliosi, che avrebbero avuto tutti pieno diritto ad entrare in questa rassegna. Molti anni dopo il suo periodo d’oro, ormai verso la fine, gli arrivò un’offerta di lavoro dalla Francia: era stanchissimo: in un’intervista alla rivista francese Jazz Hot disse di sapere che sarebbe morto entro un anno. Un critico chiese a un medico amico di assisterlo: “Era decisamente schizofrenico, ma in una forma semi-controllata, parzialmente arrestata. Emersero gravi traumi infantili, riconducibili alla discriminazione razziale” raccontò poi. Si intraprese un faticoso percorso di recupero, che ebbe una parziale successo, con la riduzione sensibile del consumo di alcool. In Francia suonò per otto settimane al Blue Note di Parigi: nel film di Bertrand Tavernier “A mezzanotte circa” (1986) la figura del protagonista, interpretato da un altro maestro del tenore Dexter Gordon, è ispirato da questa tormentata fase della vita di Lester. Tornò negli USA nel marzo del 1959: nella camera dove lo trovarono privo di vita, il 15 marzo, tre bottiglie di liquore vuote, un libretto di traveler’s checks per 500 dollari, un anello e un portafoglio pignorati per pagare il conto dell’albergo. Chissà se avrà pensato: “Pres goes”. Non aveva ancora compiuto i 50 anni. Pres fu artefice – inconsapevole – di una rivoluzione del linguaggio la cui onda lunga arrivò ad influenzare il cool jazz di Tristano e Konitz e a ispirare direttamente i maggiori sax tenori degli anni ’50 da Stan Getz a Zoot Sims. Il miracolo di una voce dissonante e diversa che fa scuola.
Il mio riferimento autobiografico più forte e sofferto a questo grande è quello doloroso di un’occasione mancata. Nel 1956, Pres, venne in Italia come componente di un package imponente: si esibì a Milano e con lui, sotto l’insegna di “Birdland 1956”, nientemeno che Miles Davis, il Modern Jazz Quartet e il geniale e tormentato pianista Bud Powell. Tutti insieme, ma io non c’ero: avevo 15 anni e quella trasferta milanese, con rientro di notte o all’alba del giorno successivo sembrò ai miei genitori un azzardo eccessivo e così me ne restai a casa, salvo poi farmi raccontare tutto dai miei amici più fortunati che erano andati. Cercai di rifarmi comperando e ascoltando tutti i dischi di Young che riuscivo a trovare, ma quel concerto, quell’appuntamento mancato, è ancora una piccola ferita, un rimpianto.
JazzFranco Carobbio