Se pensate di entrare in un polveroso ammasso di scaffali o in una fredda banca dati vi sbagliate di grosso. Vi troverete invece coinvolti in un entusiasmante “safari” culturale costellato da sorprese adrenaliniche, nel cuore dell’Emilia-Romagna, terra dove il cibo è sinonimo di cultura oltre che di tradizione. Al visitatore dell’Archivio Storico Barilla non serve la jeep né il binocolo, ma genuina curiosità per avventurarsi in questo mondo sia fisico sia online, e accumulare simbolici trofei di scoperte o riscoperte, capaci di stupire, di rinverdire la memoria, di affascinare nella loro caleidoscopica varietà.

Lo scrigno di tesori, non a caso consultabile attraverso un Thesaurus di parole chiave, contiene, catalogati, oltre 50mila pezzi tra documenti, oggetti e testimonianze. Un luogo/mosaico dai colori brillanti, al quale si aggiungono sempre nuove tessere, in un’incessante evoluzione che procede in parallelo alla storia di una delle aziende orgoglio del Made in Italy, tra i leader mondiali del settore pasta.

Interno Archivio Storico Barilla, 2017

L’Archivio Storico Barilla esiste da 34 anni e ha dovuto ricostruire se stesso, dopo che la maggior parte dei documenti, per varie ragioni, era andata perduta. Nacque nel 1987 per volontà di Pietro Barilla, un nome ricorrente nelle parole della nostra speciale guida, il Responsabile dell’Archivio Roberto Pagliari, il quale descrive la figura di un uomo dalla mente vivace, di un imprenditore lungimirante, di un curioso amante dell’arte e della cultura. Elementi questi ultimi che Pietro seppe traghettare nell’azienda, essendo stato tra i primi a creare un modello produttivo in cui gli interessi economici seguono criteri di qualità sotto molti aspetti analoghi alle espressioni artistiche.

Pietro Barilla con Federico Fellini

FELLINI MINA BANDERAS E GLI ALTRI
Le sale pullulano di presenze note. Su tutti, Federico Fellini. Dei soli cinque filmati pubblicitari che il Maestro diresse nella sua carriera, ne firmò uno per questa azienda, nel 1985, in nome della grande amicizia che lo legava a Pietro Barilla. Fellini operò nel periodo di interregno tra due agenzie mondiali di comunicazione, TBWA e Young & Rubicam. In archivio si trovano autentiche chicche per cinefili: gli audio dei backstage nei quali l’immenso regista dirigeva gli attori sul set, con modi piuttosto imperiosi. Nel libro dal titolo125 anni di pubblicità e comunicazione”, consultabile anche online, si possono leggere gli undici differenti copioni da lui inizialmente proposti per lo spot, che, va ricordato, aveva le musiche di Nino Rota.

La carrellata di testimonial di prima grandezza è sbalorditiva per numero e per continuità nel tempo. Basta lasciarsi trasportare dall’istinto, come farebbe un bambino indeciso tra quale dolcetto scegliere, oppure come farebbe un astronomo, irretito dallo splendore di stelle una più brillante dell’altra.

Frame spot Mina In Primo Piano, 1966

Mina prestò la propria immagine dal ‘65 al ‘70. In seguito, nel 2009-10, fedele alla sua decisione personale di non visibilità, di lei restò l’inconfondibile voce, senza volto. Nel firmamento Barilla si vedono Giorgio Albertazzi, Massimo Ranieri e il Premio Nobel Dario Fo. Oltre a Fellini,si incontrano altri Premi Oscar. Lo spot del Mulino Bianco del 1990, il primo in cui la famiglia del mulino diventò realtà, fu girato da Giuseppe Tornatore con la musica di Ennio Morricone, mentre Gabriele Salvatores diresse Pierfrancesco Favino nel 2015. Sempre balzando avanti e indietro negli anni – che è il metodo di approccio più divertente – nel 2002 arrivò alla regia Wim Wenders, su sceneggiatura di Alessandro Baricco.

Sono entrati nell’immaginario collettivo i cinque anni che tutti noi, dalle nostre case attraverso gli schermi TV, abbiamo trascorso in compagnia di Antonio Banderas e della mitica chioccia Rosita: uno spiritoso robottino anch’esso conservato, fisicamente, in archivio e che forse, chissà, piace immaginarlo, al calar delle tenebre prende vita, come accadeva nel film “Una notte al museo”.

I divi la cui immagine ha rappresentato Barilla all’estero meriterebbero ciascuno una menzione a parte: in Germania la tennista Steffi Graf, negli USA la sciatrice Mikaela Shiffrin, in Francia l’attore Gérard Depardieu, il spagna il tenore Plácido Domingo. E poi il primo testimonial globale: Roger Federer.
«A scegliere i numeri uno non si sbaglia mai» era la filosofia di Pietro Barilla.

Pubblicità Stampa, Coccio Mulino Bianco, 1978

LA RICCHEZZA DELL’ARCHIVIO
In questa speciale wunderkammer sono conservati materiali di ogni tipo, dalle foto ai gadget, circa un migliaio, con più di seicento “sorpresine” del Mulino Bianco. È il momento di ammetterlo e di abbandonarci a un sorriso memore: chi di noi non ha nel pensile della cucina almeno un coccio, avuto in dono raccogliendo i bollini sulle confezioni dei biscotti? Fu il primo oggetto promozionale di Mulino Bianco, distribuito in sei milioni di pezzi. Chi scrive, oltre a tazze di diverse fogge, conserva gelosamente un apparecchio radio a forma di mulino, con la ruota e il tetto di tegole rosse. Raccogliere i punti era un divertimento, uno sport nazionale, una pratica irrinunciabile perché prometteva in regalo un piccolo spicchio di gioia.

Nell’archivio si trovano anche contenuti di tutt’altra natura, come i bilanci aziendali fin dal 1961 che spesso vengono utilizzati dagli studenti per tesi di laurea sulla produzione, sul marketing, sulle risorse umane. Anche le oltre cento tesi finora realizzate sono collezionate e consultabili, così come le pubblicazioni.

Come si diceva, più di 50mila pezzi in totale, riferiti oltre che a Barilla, ai marchi Mulino Bianco, Voiello, Pavesi, Wasa, compresi gli archivi Braibanti, Tre Marie e altri. Materiali suddivisi tra la biblioteca, la fototeca, l’emeroteca, la video e nastroteca. C’è la rassegna stampa, con oltre 15mila articoli in un secolo, la pubblicità televisiva con oltre 3.300 comunicati in quasi settant’anni, le affissioni e una collezione di manifesti storici, iniziando da quelli di Erberto Carboni. Una menzione speciale a questo geniale disegnatore è d’obbligo, ma occorre fare prima un passo indietro.

Poster Cucchiaio e Forchetta, Erberto Carboni, 1952

UN PEZZO DI STORIA ITALIANA
L’azienda ha 144 anni di vita. La saga, attraverso quattro generazioni, ebbe inizio nel 1877, da un piccolo forno artigianale in strada Vittorio Emanuele a Parma. Nel 1910 sorse la fabbrica di Barriera Vittorio Emanuele e al fondatore, Pietro senior, seguirono i figli Gualtiero e Riccardo.

Dopo la seconda guerra mondiale subentrarono Pietro e Gianni; nel 1957 fu costruito il nuovo stabilimento di viale Veneto, e di Pedrignano nel 1968. Nel 1971 Gianni e Pietro Barilla cedettero l’azienda alla multinazionale americana Grace, ma nel 1979 Pietro Barilla riacquistò il pacchetto di maggioranza della società. Con la sua scomparsa, nel 1993, presero il timone i figli Guido, Luca e Paolo.


DUE INNOVATORI: PIETRO BARILLA ED ERBERTO CARBONI
Pietro resta una figura di riferimento. Da un viaggio personale che lo portò negli States, nel 1950, tornò con la consapevolezza di un mondo nuovo, che, non avendo avuto la guerra sul proprio territorio, era molto avanti nei settori della comunicazione e della strategia aziendale.  

Pubblicità Stampa di Erberto Carboni BAR-I-Ra-1956.26 – anno 1956

Pietro Barilla fu il fautore di cambiamenti radicali. Negli anni dal 1952 al 1960 chiamò il grafico Erberto Carboni e gli dette l’incarico di rivedere in toto la comunicazione aziendale. A Carboni si devono vantaggi competitivi senza precedenti. Fu l’artefice della rivoluzione nel packaging, che standardizzò. Il primo marchio aziendale, del 1910 – di Trombara e Vernizzi – raffigurava un garzone nell’atto di versare un gigantesco uovo in una madia colma di farina. Agli inizi del Novecento il livello di alfabetizzazione era molto basso e occorreva un “marchio parlante”, che spiegasse visivamente il prodotto venduto. L’uovo era l’elemento focale della comunicazione. Poi, nel corso degli anni, con l’innalzamento del livello di istruzione, il marchio si identificò con il nome della famiglia. Carboni prese l’uovo, lo tagliò a metà e nel mezzo inserì il nome Barilla. Un’idea nella sua sostanza rimasta sempre la stessa fino al 2009, quando venne creato un marchio corporate.

La leggenda si confonde con la realtà. Si narra che una domenica mattina come tante, in un caffè della piazza nel centro di Parma, Pietro confidò di dover creare qualcosa di nuovo agli amici lì riuniti, Erberto Carboni, Orio Vergani e Pietrino Bianchi. Uno di loro prese un tovagliolino del bar e vi scrisse sopra: Con pasta Barilla è sempre domenica”. Questo slogan nel 1952 vinse la Palma d’Oro della pubblicità, riconoscimento ambito a livello internazionale, tra i più importanti all’epoca.

Sito Produttivo Pedrignano (Parma), 2010

LA STORIA ODIERNA
Barilla e l’arte vanno a braccetto, come si evince varcando i cancelli della sede di Pedrignano, nei cui esterni e interni sono esposte molte importanti opere contemporanee. Pietro Barilla, pur rimanendo sempre «dalla parte della pasta», come soleva ripetere, strinse amicizie con artisti e personaggi di spicco della cultura, da Carlo Mattioli a Romolo Valli, da Valerio Zurlini a Mario Soldati e Indro Montanelli, oltre ai già citati Mina e Fellini. Fu amico carissimo di Riccardo Muti e lo slancio verso la musica si ritrova anche oggi, nel generoso sostegno che Barilla dà al Festival Verdi organizzato dal Teatro Regio di Parma. Ciò che Pietro assorbì da queste frequentazioni illustri, lo trasferì non solo nella collezione d’arte (che costituisce uno dei punti focali del programma di Parma Capitale Italiana della Cultura 2020+21, sconvolto dal covid. Vedi notizia DeArtes qui), ma anche nell’azienda. La sua eredità di idee ha portato Barilla a figurare tra i soci fondatori di Museimpresa, un’associazione di ambito confindustriale e che raccoglie i più importanti archivi e collezioni di imprese italiane.

Chiediamo a Roberto Pagliari di spiegare quale ragione spinga così tante persone a visitare la sezione archivistica. «C’è una ricchezza incredibile. Il 30 novembre ‘99 il Ministero dei Beni Culturali ha dichiarato l’Archivio Barilla “di notevole interesse storico» in quanto «testimone dello sviluppo dell’industria alimentare a Parma e dell’evolversi del costume in Italia. Quando la situazione sanitaria lo consentirà, vale la pena di venire qui, dove ci sono elementi molto significativi, che vivificano il ricordo e generano momenti di nostalgia, in cui ciascuno di noi si riconosce. Il coccio del Mulino Bianco condensa in sé il valore della memoria, vivificandola. Il che, è una ragione straordinaria».

Maria Luisa Abate per DeArtes

Contributi fotografici: credits Archivio Storico Barilla – Parma – Italia
Immagine di apertura: Pietro Barilla con Erberto Carboni
Si ringrazia l’Archivio Barilla per la cortese collaborazione

Sito Produttivo Pedrignano (Parma), 2010