All’inizio di marzo, il piccolo villaggio di pescatori sul Lago delle Trote Dorate aspettava con impazienza l’arrivo del primo vento di primavera che, ogni anno in quel periodo, scendeva tiepido dalle montagne orientali. Ma quell’anno la primavera non voleva arrivare. Marzo passò, poi venne aprile, e a maggio il lago era ancora ghiacciato, il villaggio ricoperto di neve, la terra dura e nera, le piante spoglie. L’erba non cresceva e pesanti nuvole grigie sembravano non voler più lasciare il cielo. Gli uccelli, pronti ormai da tempo per la gioiosa e abbondante pesca primaverile che ogni anno faceva dimenticare la fame dell’inverno, se ne restavano uniti gli uni agli altri sui rami, tremando alla ricerca di un po’ di calore. Le barche da pesca languivano tristemente nel porto: scricchiolando tra i ghiacci, si raccontavano le avventure dell’anno precedente.
Era dunque l’inizio di maggio, ma a casa di Riccioli Neri si viveva come fosse ancora pieno inverno. La mamma preparava zuppe calde, il camino era sempre acceso e il Nonno dormiva sulla sedia a dondolo con la coperta di lana sulle gambe. Era cieco da anni, un orecchio completamente sordo e l’altro quasi, camminava poco, mangiava solo mele e beveva solo latte. A tutti sembrava anche un po’ strambo, ma era solo molto vecchio. Riccioli Neri era l’unica così paziente da ascoltare la sua voce, ogni giorno più sottile: passava molte ore davanti al fuoco, ascoltando i racconti del Nonno e tenendo in grembo il suo adorato gatto rosso. Amava accarezzare il suo pelo lucente e ascoltare le sue fusa, così forti che anche il Nonno diceva di sentirle.
Gli uomini del villaggio non potevano uscire a pescare e passavano le vuote giornate di quella mancata primavera alla locanda, giocando a carte e lamentandosi del tempo.
Un giorno papà bevve troppo vino e a casa si arrabbiò con la mamma che piangeva perché le provviste stavano per finire. Riccioli Neri andò a sedersi presso il camino trattenendo le lacrime.
Il vecchio Nonno era cieco, ma la sua anima era vigile e capiva quello che stava accadendo. Quando sentì la tristezza di Riccioli Neri, le parlò lentamente, e lei ascoltò.
Riccioli Neri, i miei occhi sono spenti, la mia parola è debole, ma ho capito. È maggio e credimi, la primavera è già qui con tutti i suoi colori. Riccioli Neri, se ami il tuo grande gatto rosso, il prato intorno a casa che lo scorso anno era così verde, l’albero di ciliegie che sfrega dispettoso i rami sulla finestra della tua stanza e ti spaventa nel pieno della notte, allora non farti ingannare anche tu. Nulla può obbligare i fiori a sbocciare, né ordinare al sole di sorgere all’alba. Ci sono villaggi dove i colori non sono più tornati e gli abitanti sono impazziti dal dolore. Puoi essere triste o felice, piangere o ridere, ma non chiudere mai il tuo cuore. Ogni volta che sentirai un’ombra dentro di te, tu guarda subito il cielo.
La mattina seguente, Riccioli Neri uscì di casa molto presto e si mise a camminare lentamente, pensando alle parole del Nonno. Camminò per molti minuti e le sembrava non ci fosse altro che neve e bianco e ghiaccio. Ma, proprio quando stava per perdere la speranza, intravvide un ciuffo d’erba spuntare stentato e infreddolito vicino al muro della casa. Scavò piano per non rompere le radici, lo prese tra le mani, corse nella sua stanza e lo piantò in un vaso dove conservava un po’ di terra buona dell’anno precedente.
“Questo ciuffo d’erba deve avere molto freddo“, pensò Riccioli Neri. Allora scese in cucina, cercò nel camino la brace dell’arancio più acceso che poté trovare e la portò nella sua stanza. Mise la brace vicino al vaso e subito l’erba cominciò a stare meglio.
“Questo ciuffo d’erba deve avere molta sete“, pensò Riccioli Neri. Andò sulle rive del lago e, camminando lungo il molo, notò una crepa nella coltre ghiacciata. Picchiò forte con i pugni chiusi fino ad avere le mani arrossate per i colpi e il freddo, finché il ghiaccio cedette. Raccolse un po’ di acqua blu del suo adorato lago, corse fino a casa, bagnò la terra e subito l’erba cominciò a stare meglio. “Questo ciuffo d’erba ha bisogno di luce” pensò Riccioli Neri. In quel momento un raggio di sole, così giallo da fare invidia all’estate, riuscì a bucare le nuvole per un istante brevissimo, ma Riccioli Neri fu più veloce e riuscì a intrappolarlo in una scatola di vetro. Chiudendo veloce la scatola per non farlo scappare, si ferì, e una goccia del suo sangue cadde nel vaso. Al risveglio, la mattina seguente, Riccioli Neri non poteva credere ai suoi occhi: il ciuffo d’erba era cresciuto fino al soffitto e al centro, là dove era caduta la goccia di sangue, era nato un bellissimo fiore viola. Un grande arcobaleno illuminava le pareti della piccola stanza. “
“Ho capito“, pensò Riccioli Neri. Aprì la finestra, e fu così che il verde dell’erba, l’arancio della brace, il blu dell’acqua, il giallo del sole, il rosso del sangue e il viola del fiore lasciarono la stanza e invasero il villaggio e si posarono sui prati e sugli alberi e sulle siepi, sui tetti sulle porte sui muri e sugli scuretti delle case, sulle barche e le vele nel porto, sulle tende delle botteghe e sull’insegna della locanda. Infine Riccioli Neri guardò in alto e l’azzurro intenso dei suoi occhi colorò in un istante il cielo intero.
Era finalmente arrivata la primavera nel piccolo villaggio di pescatori sul Lago delle Trote Dorate. Tutto era tornato normale. Papà e i fratelli ripresero la pesca sul lago, le botteghe ripresero a commerciare, la mamma fu di nuovo tranquilla. Il camino poté finalmente essere spento. Solo il Nonno restò nello stesso posto, sulla sedia a dondolo in cucina, ma non ebbe più bisogno della coperta di lana.