Nell’affrontare la figura di Dante spesso ci si interroga sul ruolo che l’esperienza visiva ebbe nella concezione delle sue opere: la capacità del poeta di pensare direttamente per immagini, attingendo, soprattutto nella Commedia, a un repertorio che certamente doveva comprendere anche le esperienze figurative. Dante, si sa, era nato e vissuto a Firenze, città che dalla metà del XIII secolo in avanti aveva visto una notevole fioritura artistica, culminata con l’esperienza di Cimabue e poi da quella sorprendente dell’allievo Giotto, di cui Dante dovette conoscere le opere, come attesta il celeberrimo passo del Purgatorio.

L’origine fiorentina del poeta lo mise in una posizione privilegiata, potendo egli facilmente registrare i fatti più salienti dell’incalzante evolversi dell’arte locale che troverà proprio con Giotto, nella scoperta del vero e nella certezza dello spazio misurabile, una sua dimensione più universale e italiana. Proprio come lo stesso Dante andava facendo in quegli anni con la sua ricerca di una lingua, il “volgare illustre”, di portata peninsulare.

Non meno determinante dovette essere la traumatica esperienza dell’esilio che, iniziato nel 1302, lo portò a peregrinare per corti e città dell’Italia centro-settentrionale, arricchendo così il “vasto patrimonio di immagini” di cui sicuramente tenne conto nel momento in cui compose la Commedia, pervasa da continue suggestioni figurative e da riferimenti al mondo visibile.

Giotto, Polittico di Badia, 1300 circa, tempera su tavola, Firenze, Gallerie degli Uffizi

LA MOSTRA
Curata da Massimo Medica, Direttore dei Musei Civici d’Arte Antica di Bologna, la mostra segue le principali tappe del travagliato percorso di Dante, fino a giungere all’ultimo approdo a Ravenna, dove il poeta si spense esattamente settecento anni fa. In esposizione figurano alcuni capolavori assoluti prodotti nell’età di Dante, attraverso i quali è possibile ripercorrere le più importanti vicende che caratterizzarono l’arte italiana tra il XIII e il XIV secolo.

A Firenze è dedicata la sezione iniziale, dove l’attività dei due protagonisti, Cimabue e Giotto, menzionati nelle terzine del Purgatorio (canto XI) è attestata da alcune opere capitali, a iniziare dalla Madonna col Bambino di Castelfiorentino di Cimabue (documentato in mostra anche dalle due straordinarie miniature ritagliate con i santi Abbondio e Crisanto, applicate sugli sportelli esterni di un tabernacolo-reliquario della Pinacoteca Civica di Gubbio), messa a confronto con la Madonna di San Giorgio alla Costa di Giotto e con il più tardo polittico di Badia del Museo degli Uffizi, che Dante ebbe sicuramente occasione di ammirare prima della sua condanna al confino. Di questo fu maggiore responsabile l’odiato Bonifacio VIII, evocato attraverso la scultura realizzata da Arnolfo di Cambio, di cui in mostra è presente il calco.

Maestro di San Francesco Bardi Le Stimmate di San Francesco

Suppellettili e preziosi dipinti – tra cui due frammenti di affresco con i santi Pietro e Paolo provenienti dal distrutto ciclo pittorico del portico di San Pietro, Città del Vaticano, Fabbrica di San Pietro in Vaticano – introducono alla vita della corte pontificia di Roma, città che Dante ebbe occasione di visitare nel 1300 e poi nel 1301, prima di ricevere la notizia della sua condanna e del definitivo esilio da Firenze.

Da questo momento ebbe inizio il peregrinare di Dante che lo portò dapprima nella Forlì degli Ordelaffi e poi a Verona, dove si pose sotto la protezione degli Scaligeri prima nel 1303-1304 e poi nel 1313-1318, nel momento in cui la città stava vivendo un momento di grande sviluppo, anche artistico, promosso da Cangrande della Scala. A documentare la sosta nella città veneta, preziosi tessuti, oreficerie, tavole dipinte e sculture, queste ultime dovute al cosiddetto Maestro di Sant’Anastasia.

A Padova Dante giunse intorno al 1304, quando cioè Giotto stava ultimando la decorazione della cappella commissionatagli da Enrico Scrovegni, che allora costituiva quanto di più innovativo la pittura potesse esprimere, tanto da indurre il poeta ad affermare che “ora ha Giotto il grido”. Se ne accorsero anche altri artisti del momento, a iniziare dai miniatori, come documenta in mostra la decorazione del preziosissimo Offiziolo (1305-1309) appartenuto al poeta amico di Dante, Francesco da Barberino, che presenta al suo interno varie immagini di chiara ispirazione dantesca.

Miniatore Fiorentino (seconda metà del XIII secolo), Missale romanum, 1275-1280, Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana

Successivo è il passaggio da Bologna, nel 1304-1306, la cui antica Università Dante forse frequentò in anni antecedenti, tra 1286 e il 1287. Non è escluso che in quella occasione il poeta abbia potuto ammirare le miniature che arricchivano i libri giuridici e i codici liturgici di cui la città deteneva, con Parigi, il primato, tanto da rammentarsene nell’XI canto del Purgatorio, dove viene menzionato il miniatore Oderisi da Gubbio, superato da Franco Bolognese. I preziosi manoscritti miniati della scuola bolognese del tardo Duecento e del primo Trecento caratterizzano questa sezione, arricchita da alcuni indiscussi capolavori, prestati per l’occasione da varie biblioteche e musei ad iniziare dalla Biblioteca Apostolica Vaticana.

Dopo i soggiorni nella Marca Trevigiana e poi nella Lunigiana dei Malaspina, Dante si trasferì nel Casentino e in seguito a Lucca, dove ebbe occasione di vedere le opere eseguite da Nicola Pisano per la cattedrale: è presente in mostra il calco della lunetta con la Deposizione dalla Croce, Pisa Museo Nazionale di San Matteo.

E ancora Forlì nel 1310, dove probabilmente apprese la notizia della discesa in Italia del nuovo Imperatore Arrigo VII, verso il quale si concentrarono le sue speranze e il sogno di una restaurazione imperiale. A questo momento centrale della vita del poeta è riservata una sezione che presenta varie documentazioni legate all’Imperatore, morto prematuramente il 24 agosto del 1313. Alla solenne cerimonia funebre, che si tenne nel Duomo di Pisa, presenziò probabilmente anche Dante, che ebbe così occasione di ammirare alcuni dei capolavori realizzati da Nicola e da Giovanni Pisano. Quest’ultimo, sappiamo essere stato in quegli anni al servizio dello stesso imperatore, che gli commissionò la realizzazione del monumento funebre della moglie Margherita di Brabante, morta il 14 dicembre del 1311 e sepolta a Genova nella Cattedrale, da cui proviene per la mostra la scultura con la Giustizia della Galleria Nazionale della Liguria di Palazzo Spinola. Forse il monumento era stato in parte approntato nella bottega pisana dello scultore tra la primavera e l’estate del 1313, nello stesso periodo in cui Dante era presente a Pisa, dove si era trasferito, seguendo la corte, a partire dal mese di marzo del 1312.

In mostra, si affiancano le testimonianze di Arnolfo di Cambio, dalla Galleria Nazionale dell’Umbria, a conferma della preminenza attribuita dal poeta all’arte plastica, come attestano le numerose citazioni contenute nella Commedia.

Giuliano da Rimini, L’incoronazione della Vergine, Santi, scene della Passione e Morte di Cristo, Collezioni d’Arte, Rimini, Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini- Particolare

Una volta lasciata la corte di Cangrande della Scala, Dante giunse a Ravenna intorno al 1319, dove da poco si era insediato al potere Guido Novello da Polenta, che garantì alla città un periodo di relativa pace e stabilità, speso soprattutto a promuovere la cultura di corte e le imprese artistiche. Risale a questo periodo la presenza in città dei pittori Giovanni e Giuliano da Rimini, chiamato quest’ultimo a decorare la cappella a cornu epistulae della chiesa di San Domenico, seguito da Pietro da Rimini, di cui la città conserva ancora oggi varie testimonianze.

A questi due artisti riminesi – di Giuliano viene presentato il grande polittico di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini depositato al Museo della Città “Luigi Tonini” – viene riservato ampio spazio nella sezione finale della mostra, intervallata da testimonianze legate alla cultura figurativa veneziana, a documentare l’ultima impresa diplomatica svolta nella città lagunare, per conto del da Polenta, dal poeta fiorentino, e che gli risultò fatale causandogli la morte che lo colse tra il 13 e il 14 settembre del 1321.

Venne sepolto in una piccola cappella addossata al muro del convento di San Francesco, che anticamente era detta della Madonna per via forse di una antica immagine scolpita con la Madonna in trono col Bambino
(vedi immagini e approfondimento DeArtes qui) che sormontava in origine il modesto sarcofago, e che si è voluto identificare con quella oggi conservata al Museo del Louvre, proveniente infatti da Ravenna. Si tratta di un indiscusso capolavoro realizzato in marmo, databile tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento, che ritorna per l’occasione nella città di origine, documentando la sua pertinenza alla tradizione bizantina, rivisitata tuttavia secondo una sensibilità già tutta occidentale e gotica.

M.C.S.
Fonte: Studio Esseci, 23 aprile 2021
Immagine di apertura:
Cimabue (Cenni di Pepo detto) (Firenze doc. 1272-1301) e Giotto di Bondone? (1267?-1337), Madonna col Bambino, 1285 ca., Castelfiorentino (Firenze), Museo di Arte Sacra “Santa Verdiana”

DANTE. GLI OCCHI E LA MENTE
LE ARTI AL TEMPO DELL’ESILIO
8 maggio – 4 luglio 2021

Chiesa di San Romualdo
Via Baccarini 9, Ravenna
Info: MAR – Museo d’Arte della città di Ravenna
www.mar.ra.it

Giuliano da Rimini, L’incoronazione della Vergine, Santi, scene della Passione e Morte di Cristo, tempera all’uovo e oro su tavola, Collezioni d’Arte, Rimini, Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini