Talvolta alcuni frammenti di storia riemergono dalle nebbie del tempo e le vicende note a pochi tornano all’attenzione dei molti. La prudenza era d’obbligo e le formule dubitative si sono moltiplicate, durante il convegno storico-scientifico che ha presentato gli esiti delle indagini effettuate su una delle tombe site nel chiostro della chiesa di San Fermo maggiore a Verona. Gli indizi raccolti durante gli studi multidisciplinari – storici, archivistici, archeologici e antropologici – sul sarcofago e sui resti ivi contenuti, paiono convergere tutti in una medesima direzione, che rimanda presumibilmente ad Arnau De Torroja, nato da un’importante famiglia della Catalogna, in Spagna, Maestro generale del Tempio dal 1180-1 al 1184. Nel corso della sessione pomeridiana del meeting, è stato reso noto che presto si potrà avere una conferma, o una smentita, ufficiale che dirimerà definitivamente e inconfutabilmente ogni dubbio. Dopo le analisi che hanno accertato somiglianze genomiche con i catalani, è stata autorizzata la comparazione del DNA con Guglielmo, un fratello di Arnau, che riposa nella cattedrale di Tarragona di cui fu Arcivescovo, dopo essere stato Vescovo a Barcellona. (Gli altri fratelli erano Berenguer, successore del padre Bernat come signore di Torroja, e Pietro, Vescovo di Saragozza). Se le ipotesi finora avanzate venissero avallate, quella di Verona sembrerebbe essere l’unica tomba attualmente conosciuta al mondo di un Maestro generale Templare. Arnau fu il nono di ventitré Maestri e degli altri finora non si è trovata traccia nota. I Templari infatti, come estremo atto di umiltà, si facevano seppellire con mezzi poveri, spesso nella nuda terra e con il viso rivolto verso il basso.
Bisogna fare un passo indietro, a circa tre anni fa, quando il dott. Mauro Giorgio Ferretti, Magister Templi dell’associazione Templari Cattolici d’Italia, notò la croce patente con una spada stilizzata nel braccio inferiore, scolpita sui lati corti di un sarcofago in stato di semiabbandono in quello che era diventato un deposito di cianfrusaglie, accanto ai cassonetti dell’immondizia. Tale simbologia era tradizionalmente attribuita agli alti dignitari che guidarono i Cavalieri dal 1118 al 1314. C’erano altre scritte, ora scomparse, non si sa se corrose o scalpellate via, e un foro probabilmente praticato per la spoliazione di eventuali corredi o oggetti di valore. Dopo una lunga attesa per l’autorizzazione concessa dalla Soprintendenza, è stata effettuata la ricognizione degli scheletri all’interno della tomba, attribuibili a tre individui diversi: un uomo anziano e, posti sopra in periodi successivi, un uomo giovane e una donna.
Ci si è concentrati sull’anziano, ossia sulla sepoltura più antica, prendendo in esame vari aspetti, grazie a un folto gruppo di specialisti coordinati dall’antropologo e professore emerito dell’Università di Bologna monsignor Fiorenzo Facchini, e composto da esperti di fama internazionale, in rapporti con le Università di Bologna, Nottingham Trent e Barcellona. Hanno collaborato anche studiosi dalla libera associazione Ricercatori Templari Italiani, dal museo della Beata Vergine di san Luca e dalla Society for the Crusades and the Latin East. Inoltre, si sono ascoltati gli interventi di docenti
e membri dall’archivio di Stato di Modena, dall’Instituto Catalán de Genealogia y Heràldica di Barcellona, dal museo archeologico di Finale Ligure, dalla Royal Holloway University di Londra.
Nell’avello si sono trovati due minuscoli frammenti di stoffa, certamente pertinenti alla prima inumazione, di cui uno in fibra estremamente rara e preziosa all’epoca, ossia seta da baco. Ulteriore lusso è il pigmento blu, che nel medioevo si otteneva con grande difficoltà dalle piante. Si trattava di una stola? Oppure di un vessillo usato come copertura cerimoniale al momento della sepoltura? Certamente il rimando è a una persona che rivestiva una carica di una certa importanza. Non è invece stata possibile la ricerca sui vegetali e sui pollini, perché il foro nelle pareti ha inquinato il contenuto. La datazione con il metodo del carbonio 14 fa risalire a un periodo compreso tra il 1020 e il 1220 le ossa appartenenti a un individuo di sesso maschile, di circa 50 anni, alto tra 1.60 e 1.70 cm. Secondo lo studio paleopatologico, le vertebre della spina dorsale si presentano calcificate e la mascella intaccata da una grave infezione. Quindi il soggetto aveva in vita sofferto di male di schiena e di denti. Ne esce l’immagine realistica di un uomo, che potrebbe combaciare con ciò che raccontano testi, lettere e documenti superstiti. Molti di questi furono purtroppo distrutti nella damnatio memoriae nei confronti dell’Ordine, sciolto quando i suoi membri vennero pretestuosamente accusati di eresia.
I Pauperes Commilitones Christi Templique Salomonis erano un Ordine monastico di Cavalieri, difensori del Papa e dei pellegrini, sia in Europa che a Gerusalemme e nella Terra Santa. Arnau de Torroja fu un combattente, che partecipò in particolare alle campagne di Reconquista di Lleida e Tortosa, e un abile diplomatico. Dalla Terra Santa dove era stato trasferito, fu mandato in Italia assieme ad altri due ambasciatori per cercare aiuto in Europa. Si sa per certo che sbarcò a Brindisi e arrivò a Verona. Questa città era allora un terreno neutro, dove Papa Lucio III e l’Imperatore Federico Barbarossa decisero di incontrarsi. Arnau riuscì a parlare con il primo ma non con il secondo, perché si ammalò e morì il 30 settembre 1184, a 65-70 anni. Gli altri proseguirono il viaggio verso l’Inghilterra, infruttuoso, tanto che di lì a poco Gerusalemme cadde. Una fonte certa dice che De Torroja “venne sepolto nella casa del tempio veronese”. Probabilmente, ma non ci sono certezze, allora la chiesa templare era San Vitale, che fu in seguito allagata dall’Adige. Non si sa come, quando o perché la tomba di Arnau fu trasferita in San Fermo, sempre che questa attribuzione venga confermata.
Il sarcofago versa in condizioni precarie per l’imponente sfaldamento della pietra veronese, molto friabile. Innanzitutto si ha intenzione di consolidarlo, recuperando la struttura e le croci come anche la sepoltura. Si sta pensando di mantenere il coperchio leggermente scostato e collocare i resti in un’urna di cristallo per tenerli sempre esposti come una reliquia. Il Comune è il proprietario dell’area dell’edicola e l’associazione Templari l’ha avuta in comodato. L’edicola stessa verrà chiusa da vetri, ed è già stata transennata in questi giorni. Ora si tratta di superare i problemi burocratici e di reperimento degli sponsor. Sono molti a Verona i segni di una significativa presenza templare, così l’associazione si è assunta l’impegno di presidiare il luogo e da qui, in un prossimo futuro, far partire degli itinerari a piedi, non per turisti ma per turisti religiosi, ossia pellegrini che saranno accompagnati nelle chiese templari della città, in forma gratuita tutti i sabati e le domeniche, da odierni Cavalieri con gli abiti cerimoniali. L’intenzione di Ferretti è rivalutare l’Ordine, sfatando le convinzioni errate maturate in passato e poter tornare a ricoprire ufficialmente la funzione di custodi della fede cristiana.
L’augurio espresso da monsignor Roberto Campostrini, vicario generale della Diocesi di Verona, è che la riscoperta aiuti a fondare elementi di storia templare e, per la vita ecclesiale, a rinnovare certi valori, come il significato di spendersi per la fede e di destinare la vita a quanto insegnato da Gesù. Per la città, un’opportunità di ritrovare le proprie radici.
Convegno “Il sarcofago ritrovato a Verona e i Templari”, Verona, auditorium della parrocchia di San Fermo, sabato 21 aprile 2018
Resoconto Maria Luisa Abate