Fin dalla serata inaugurale del 98° Opera Festival, si è rivelato vincente il nuovo corso intrapreso all’Arena di Verona, che ha portato alla digitalizzazione scenografica. La difficoltà arrecata dalle perduranti norme anti covid è stata tramutata in opportunità di crescita, in una finestra spalancata sul futuro. Certo, l’aver affidato a video proiezioni ultratecnologiche l’intero impianto scenografico non è un escamotage nuovo in sè, ma lo è per questo luogo, che è un unicum sotto ogni aspetto. Non va infatti dimenticato che quanto risulta tecnicamente agevole in un teatro tradizionale, assume i contorni della straordinarietà in un palcoscenico all’aperto che, ovviamente, non possiede le dotazioni di una sala al chiuso come la graticcia, le quinte, il sottopalco e via dicendo. In Arena tutto è possibile e realizzabile, ma tutto va studiato nello specifico, escogitando ex novo soluzioni ad hoc.

Cavalleria rusticana, foto Ennevi

La stagione lirica estiva 2021 è formata da tutte nuove produzioni, accomunate da un duplice filo conduttore. Per l’appunto il video design, realizzato da D-wok e diversamente plasmato per ogni titolo, e le partnership instaurate con importanti realtà museali ed espositive italiane. Una idea – per la quale è giusto tributare un plauso al sovrintendente e direttore artistico Cecilia Gasdia e alla sua longa manus sul palcoscenico, il vice direttore artistico Stefano Trespidi – di successo non solo dal punto di vista mediatico ma anche sotto l’aspetto della spettacolarità: quell’appagamento per l’occhio, oltre che per l’orecchio, che l’Arena di Verona sempre garantisce al suo pubblico internazionale, anche a pandemia non ancora debellata.

Dopo la straordinaria anteprima dell’Aida diretta da Riccardo Muti (vedi recensione DeArtes qui) la serata inaugurale della Stagione, contrassegnata dall’hashtag #inarena, è stata affidata al dittico che tradizionalmente vede abbinati Cavalleria rusticana e Pagliacci. Le sinergie messe in atto sono state con il Parco Archeologico e Paesaggistico Valle dei Templi di Agrigento per le “inquadrature” quasi cinematografiche dei luoghi, cui si sono aggiunte le riproduzioni di affreschi e disegni storici provenienti dai Musei Vaticani e dalle collezioni della Biblioteca Apostolica Vaticana, a sottolineare la ritualità delle processioni e dei momenti sacri, per quanto ha riguardato l’opera di Mascagni. Invece l’atto unico di Leoncavallo ha beneficiato dei contributi visivi forniti dal Museo Nazionale del Cinema di Torino e dal Fellini Museum Rimini di prossima apertura, a dipingere, sul lungo ledwall collocato sul palcoscenico, un affettuoso tributo a Federico Fellini.

Alla parte virtuale si è aggiunta una regia assai lineare, che (evviva!) ha restituito la bellezza essenziale del narrato. Una regia lasciata nell’anonimato per sottolineare la coralità del lavoro e poggiata per la massima parte sui molti figuranti (per Pagliacci moltissimi), muniti di mascherina, che assieme al Ballo, al Coro di bambini e ai solisti, hanno sostenuto la parte attoriale. Il Coro infatti era posizionato fuori dalla scena, sulla gradinata laterale di sinistra, a garanzia del necessario distanziamento.

Cavalleria rusticana, foto Ennevi

Nel caso di Cavalleria rusticana ha trionfato un bianco e nero figlio della migliore scuola fotografica, che ha strizzato l’occhio al neorealismo e al quale si è aggiunta, come elemento scenografico concreto, una ripida scalinata, a riproporre uno spaccato del centro storico del piccolo paese siciliano di Vizzini, con la sua chiesa, la sua piazza e le sue affollate processioni religiose, i ragazzini intenti a rincorrersi e i cieli in procinto di rannuvolarsi.

Pagliacci invece è stato un’esplosione di colori. Alle spalle si sono stagliate le immagini fotografiche di Fellini e della moglie Giulietta Masina, in primis nelle vesti dell’indimenticabile Gelsomina de “La strada”, film dedicato a uno scalcinato carrozzone di saltimbanchi, analogo a quello di Pagliacci. Una sfilata di guitti tanto vivace e briosa quando trasudante quella stessa profonda umanità che emerge nei capolavori felliniani. Il Maestro era citato/omaggiato fin dall’inizio, con il ledwall a indicare inequivocabilmente che ci trovavamo nel mitico studio 5 di Cinecittà, e con quel “Si puo?” cantato dal Prologo con addosso l’inconfondibile abbigliamento del compianto regista. Gran finale inneggiante a tutti i suoi indimenticabili interpreti e personaggi, materializzatisi sul palcoscenico: da Anita Ekberg a Marcello Mastroianni, dalla Gradisca allo Sceicco, dai Vitelloni alle suorine dagli imponenti cappelli, fino a Ciccio Ingrassia uscito da Amarcord per gridare il suo celebre “Voglio una donna”.  

Pagliacci, foto Ennevi

Sul podio dell’orchestra areniana era Marco Armiliato, che fin dal preludio di Mascagni ha evidenziato l’attenzione per i legati morbidi e per una descrittività improntata al lirismo, capace di corrucciarsi come un cielo dove improvvisamente si addensano le nuvole, ma sempre dai toni misurati, dai contorni controllati, a suggerire una dimensione più intima dei personaggi, meno plateale di quanto la tradizione abbia abituato. Armiliato si è trovato a dover “fare i conti” con la posizione “a ranghi allargati” dell’orchestra e soprattutto con la sopradetta collocazione extra scena del Coro, preparato da Vito Lombardi, mentre il Coro di voci bianche A.LI.VE. era istruito da Paolo Facincani. Fisiologico, quindi, qualche sincronismo ancora da tarare, in una situazione comunque soddisfacente sotto il profilo della resa acustica.  

In Cavalleria rusticana, prova positiva di Sonia Ganassi nei panni di Santuzza, personaggio tratteggiato con contrasti di tinte, con vocalità solida intelligentemente messa al servizio di una interpretazione profondamente drammatica, accentuata dal fraseggio scolpito. Il tenore turco Murat Karahan, timbro bellissimo, ha confermato di possedere una linea di canto signorile e omogenea, e ha tratteggiato un Turiddu meditativo e capace di esprimere sentimenti interiori che raramente si sono visti così ben cuciti addosso a questo personaggio. Agostina Smimmero ha dato voce importante, scura fin nel profondo dell’animo, a mamma Lucia, mentre Clarissa Leonardi era una Lola innamorata, dall’emissione sicura.

A fare da trade d’union tra i due titoli, Amartuvshin Enkhbat, al debutto sia nel ruolo di Alfio che in quello di Tonio/Taddeo, uno dei migliori baritoni oggigiorno in circolazione. E se in Mascagni ha pienamente convinto, per bagaglio vocale e tecnico, per la linea di canto dalle eleganti torniture, per la pastosità e le morbidezze, per il timbro splendido, il baritono mongolo ha innestato una marcia in più in Leoncavallo, regalando un’interpretazione a dir poco incisiva, veramente toccante. Bravo!

Pagliacci, foto Ennevi

In Pagliacci abbiamo trovato il tenore azero Yusif Eyvazov. La crescita dello spessore vocale riscontrata in lui negli ultimi anni, pare inarrestabile e si unisce al timbro affascinante e alla dizione ineccepibile. Nel canto ha prevalso la lodevole dote della misura e l’interpretazione di Canio/Pagliaccio è stata giostrata sulla ricerca e la cura dei particolari. Voce luminosa per il soprano lettone Marina Rebeka che ha utilizzato con naturalezza i propri mezzi, senza forzarli ma facendo leva su una versatilità che le consente di mettere a fuoco molti soggetti, tra i quali anche questa Nedda/Colombina romantica e sognatrice quanto malinconica e tragica. Mario Cassi era un Silvio di razza, in un esito senza sbavature. Da elogiare la serenata di Peppe/Arlecchino di Riccardo Rados. Completavano il cast Max René Cosotti Dario Giorgelè.

Durante la serata inaugurale, si è appreso dall’ufficio stampa, oltre al Parco Valle dei Templi di Agrigento era collegato in streaming il Comune di Montalto Uffugo (Cosenza), patria di Ruggero Leoncavallo e luogo che ispirò la trama di Pagliacci, attinta, come è noto, a un vero episodio di cronaca nera.

Fuori dall’anfiteatro, erano allineati i camion degli studi mobili della Rai, che hanno effettuato le riprese in vista dell’approdo di questo dittico, oltre che di Aida, in prima serata su Rai3, in tre date a partire dal 27 luglio. Prima dell’inizio dell’opera e a favore di telecamera, la serata è stata presentata da Pippo Baudo e Antonio Di Bella. Premesso, e sottolineato, che ben vengano queste occasioni di larga visibilità della lirica, che si auspica possano ripetersi con maggiore frequenza anche vista l’invadenza davvero minima della troupe televisiva, che sa fare il proprio mestiere con la necessaria discrezione, a onor di cronaca riportiamo che durante la prima mezz’ora di spettacolo ha volteggiato sulle teste degli astanti un drone, decollato e atterrato in una piattaforma collocata sulla sommità delle gradinate di destra, impegnato a effettuare riprese ronzanti finché uno spettatore ha chiesto a gran voce di fermarlo: a lui sono andati divertiti applausi. L’unicità dell’Arena è pure questo: uno spettacolo nello spettacolo, dove anche il pubblico è protagonista e dove la magia assume sempre nuovi volti.
Repliche fino al 14 agosto.

Recensione di Maria Luisa Abate
Visto all’Arena di Verona, 98° Opera Festival, 25 giugno 2021
Contributi fotografici: EnneviFoto

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