È l’incarnazione della Danza, che ha contribuito a rendere ancora più grande e universale portandola nei templi canonici ma anche in spazi inusuali, fino ai maggiori canali massmediatici. Un ruolo da divulgatore non meno importante di quello da étoile osannato in tutto il globo. Roberto Bolle è presenza fissa da diversi anni all’Arena di Verona – con l’eccezione del 2020 causa covid – dove ha fatto tappa il tour assieme ai Friends, un gruppo di stelle del panorama internazionale di assoluta eccellenza qualitativa, tecnica ed espressiva. La prevendita è presto andata sold out ed è stata aggiunta una seconda data per soddisfare tutte le richieste, ossia, con il distanziamento, seimila posti ogni serata.
D’impatto emotivo il momento inziale, un prologo che ha assunto un sapore intimistico e riflessivo, esordito citando Isadora Duncan e ricordando fugacemente ma intensamente Carla Fracci. Una riflessione personale, affidata alla parola e all’espressività del volto e delle mani, che ha assunto contorni universali, in questi tempi che il covid ha reso difficili per tutto il comparto dello spettacolo e in particolare per la danza. La pandemia ha creato distanze e innalzato barriere, ma lo stop che ha imposto si è tramutato in una proficua occasione di meditazione, di presa di contatto diretto e senza intermediazioni con la propria interiorità, portando allo svelamento di un nuovo rapporto tra la doppia anima che convive in ciascuno di noi, quella pubblica e quella privata. Convogliate in una entrata in scena dal tunnel scuro del retropalco, metafora del covid, alla luce abbagliante dei riflettori, dove Bolle ha rivolto un inchino al suo pubblico ritrovato. Culmine di un percorso catartico di rinascita: del Teatro, della Danza, dell’Artista, dell’Uomo.
Un boato ha accolto l’étoile, ma non meno entusiastici sono stati i consensi tributati ai Friends nell’excursus, coproduzione Artedanza, tra le varie declinazioni tersicoree, dal genere classico, alla pulizia formale dello stile moderno, fino alle innovazioni contemporanee. Dai classici intramontabili russi e francesi, con coreografie di grandi maestri come Petipa e Roland Petit, su musiche di Drigo, Massenet, Čajkovskij, Minkus (ahinoi registrate: quando la danza tornerà a una sia pur costosa orchestra dal vivo?) fino alle nuovecoreografie commissionate a Massimiliano Volpini, JiříBubeníček, Gianluca Schiavoni.
Ad aprire il programma facendo subito alzare il livello di adrenalina tra il pubblico, il passo a tre da Il corsaro, che ha visto interpreti di classe Maia Makhateli (Dutch National Ballet, Amsterdam), Bakhtiyar Adamzhan (Astana Ballet), Nicola Del Freo (Teatro alla Scala, Milano). Poi una infilata di tre pas de deux con protagonisti astri di prima grandezza tutti provenienti dal Teatro alla Scala, che hanno scatenato meritate ovazioni campanilistiche per la precisione tecnica e per l’eleganza stilistica. Thaïs ha visto impegnati lo stesso Bolle assieme ad Agnese di Clemente d’aggraziata leggerezza, stella delle nuove generazioni, veronese da poco nominata prima ballerina nel teatro milanese, mentre Il lago dei cigni ha ruotato attorno alla morbida precisione del cigno nero Nicoletta Manni, che vanta una nutrita schiera di fans, in coppia sulla scena e nella vita con Timofej Andrijashenko. Infine di nuovo Bolle, questa volta in duo con la flessuosa Virna Toppi, nel sensuale L’altro Casanova.
La serata è proseguita nell’entusiasmo suscitato da Valentine Colasante e Paul Marque (entrambi Opéra National de Paris) in uno lungo stralcio tratto da Don Chisciotte, celebre per le impervie difficoltà tecniche e per i virtuosismi solistici, risolti in maniera impeccabile da Liudmila Konovalova (Wiener Staatsballett) e da Bakhtiyar Adamzhan. Non è mancato uno dei momenti più amati da Bolle, un passo a tre tutto al maschile, sulle note della riscrittura del Canone in D Major composto sul finire del 1600 da Johann Pachelbel, rivisitato da Otto Bubeníček e coreografato da Jiři Bubeníček, che Bolle aveva già proposto in Arena nel 2018 e che quest’anno ha reinterpretato avvalendosi della sensibilità di Timofej Andrijashenko e Nicola Del Freo in un concentrato di potenza muscolare ed espressiva, connubio tra forza e delicatezza.
Al termine, la riproposizione di un must del repertorio di Roberto Bolle, anch’esso già applaudito all’Arena nel 2018 e ora rinverdito, andato a chiudere magnificamente il cerchio narrativo aperto nel prologo. Tramite il personaggio di Dorian Gray, incarnato da Bolle sulle note del violino suonate dal vivoda Alessandro Quarta, rielaborazione della Passacaglia di von Biber, nella coreografia di Massimiliano Volpini, è tornato prepotente il tema della doppia anima di uomo e di artista, della parallela sussistenza tra reale e virtuale, tra vita vera e finzione scenica, tra interiorità e immagine esteriore, tra sostanza e vacua vanità. Bolle, vestendo fino a rendere suoi i panni di Dorian Gray, ha tessuto un dialogo con la propria immagine, trasmessa in diretta sugli schermi e ripresa da un normale telefonino, oggetto tecnologico con il quale tutti noi abbiamo instaurato un rapporto simbiotico, facendone una nostra propaggine. Uno sdoppiamento/sovrapposizione che diventa inscindibile per un artista ma che, di contro, come ha scritto nel suo romanzo Oscar Wilde, è in grado di mostrare la vera coscienza dell’Uomo. Un brano che, per profondità narrativa e per carico emotivo, esso solo ha valso l’intero spettacolo.
Recensione di Maria Luisa Abate
Visto all’Arena di Verona il 3 agosto 2021
Contributi fotografici: foto Laura Ferrari