L’allestimento di Nabucco in “Era ledwall” è stato, in questa stagione all’Arena di Verona, quello che più di ogni altro ha espresso una idea registica propria, valida e validamente realizzata. Come è noto, il libretto di Temistocle Solera narra degli Ebrei deportati e ridotti in schiavitù dai Babilonesi, sui quali regna Nabucodonosor. Nel tempo, la trasposizione in altra epoca e l’accostamento con la tragedia dell’olocausto sono divenuti frequenti nelle messe in scena. In questo caso, l’assenza dei simboli più evidenti del potere, come le svastiche o le bandiere, ha indotto a pensare che il pool registico abbia lodevolmente inteso allargare l’ottica e rappresentare idealmente qualsiasi situazione di repressione di popoli, di prevaricazione dei diritti, di perdita della libertà.

Di contro, il periodo storico della dittatura nazista è stato evocato in maniera inequivocabile dalla partnership instaurata con il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara, che ha fornito alcune immagini proiettate sul ledwall, e da altri elementi come la manifestazione sportiva che ha visto giovani donne impegnate nell’esercizio con i cerchi, in uno stadio del tutto simile all’Olimpico con le sue inconfondibili statue.



O ancora dai poveri corpi ignudi dei condannati alle camere a gas, graziati in extremis in un moto di ravvedimento presente già nel protagonista verdiano. Si è così circoscritta l’ottica che si ambiva a universalizzare.

Un’idea registica quindi assolutamente apprezzabile, ma avente tutte le carte in regola per osare qualcosa di più. Cosa che ci auguriamo possa avvenire in futuro, auspicando una ripresa di questo nuovo allestimento.


Abigaille era una gerarchessa in cappottone paramilitare, dalla massa di capelli biondi sciolti sulle spalle. Particolari non secondari in una sera in cui l’afa stroncava il respiro al pubblico assiso sulle gradinate. A tutti ma non alla intabarrata Anna Pirozzi, i cui mezzi superlativi hanno svettato con la freschezza e l’impetuosità di un torrente di montagna, in altre parole con l’agilità drammatica indispensabile a dar voce al personaggio. Uno stato di grazia che, per il soprano, è condizione abituale, soprattutto in questo ruolo che le calza a pennello e che l’ha vista acclamata interprete in oltre cento recite sui palcoscenici mondiali.

Il gerarca Nabucco, per un’unica e quindi imperdibile data, era il baritono romeno George Petean, una delle voci di spicco nel panorama internazionale, un fuoriclasse di razza, dall’impostazione attentamente curata, di pastosa omogeneità in tutti i registri, levigato nell’emissione e dalla linea stilistica nobile. Fenena era il mezzosoprano Géraldine Chauvet, morbida e di spiccata dolcezza espressiva. Il basso polacco Rafał Siwek, nei panni del pontefice degli Ebrei Zaccaria, ha brillato per lo studio del fraseggio e la scansione del personaggio, autorevole e solenne. Gestito con gusto e misura Ismaele nell’interpretazione del tenore Riccardo Rados, Infine, Carlo Bosi era AbdalloNicolò Ceriani il Gran Sacerdote di Belo ed Elena Borin Anna. Immancabile il bis del “Va’ pensiero” meritatamente richiesto al Coro areniano preparato da Vito Lombardi, in una prova eccellente per la precisione e per lo sfoggio di chiaroscuri carichi di significato espressivo.

Il maestro Daniel Oren vanta un feeling di lunga data con l’orchestra areniana e l’abbinamento ha dato vita a un meccanismo oliato come un motore di Formula 1, espressione della personalità direttoriale quanto efficace nel sostenere le voci sul palco. Anche le varie sezioni orchestrali hanno ricevuto speciale attenzione e il risultato si è tradotto in uno sfoggio di colori e luci, dinamiche e timbri, in un vortice drammaticamente trascinante.

Il titolo replica, con diversi cast, fino al 1 settembre.


Recensione Maria Luisa Abate
Visto all’Arena di Verona il 13 agosto 2021
Contributi fotografici: Foto Ennevi