Che meraviglia! La lunga attesa è stata premiata con un “Gala event” dove una volta tanto il termine evento è stato usato con un’autentica ragione d’essere. Annunciato due anni fa, riprogrammato causa covid trovando spazio nella sua fittissima agenda internazionale (e italiana), Jonas Kaufmann, uno dei più grandi tenori al mondo, stimato dalla critica e osannato dal pubblico, è arrivato all’Arena di Verona per una serata che lo ha visto impegnato assieme al soprano austriaco Martina Serafin.

Il tenore di Monaco di Baviera è uno dei più quotati del momento ed è l’incontrastato numero uno del repertorio wagneriano. Proprio a Wagner è stato dedicato interamente il primo tempo. Dopo due preludi sinfonici, un lungo stralcio del primo atto di Die Walkűre (La Valchiria) con il duetto tra Siegmund e Sieglinde ha proiettato verso l’empireo, deliziando gli intenditori più esigenti e affascinando i seimila spettatori che hanno ascoltato in rispettoso e rapito silenzio. Al di là dei mezzi vocali lussureggianti, di un fraseggio ineccepibile, di una linea stilistica per la quale l’aggettivo raffinato non risulta neanche lontanamente esaustivo, ciò che caratterizza Kaufmann è l’uso sbalorditivo del mezzo vocale in ogni sua minima sfaccettatura, con la voce costantemente modulata non sulla frase musicale, non sulla battuta, ma sulla singola nota.

Uno sfoggio andato ben oltre la pura e semplice tavolozza coloristica, utilizzata con maestria come tramite per esternare sentimenti, emozioni, stati d’animo; per esprimere l’interiorità dei personaggi, e con essi dei compositori, come pochi cantanti al mondo riescono oggigiorno a fare, specialmente affrontando il flusso melodico wagneriano del Ring, intriso d’amore e d’eroismo come concetti base delle origini del mondo. Wagner si dedicò alla ricerca della Gesamtkunstwerk, ossia di un’opera d’arte totale, che convogliasse in sé diverse forme espressive. Questa ambizione restò a livello teorico, ma la sua musica, come ebbe a scrivere negli anni ’60 Giacomo Manzoni, «rigettò la forma tradizionale dell’opera a forme chiuse e concepì una forma teatrale basata su un continuum temporale, non spezzettato in singoli episodi ma incessante nel suo continuo variare». Ecco: questo è esattamente ciò che Kaufmann è riuscito a creare con la propria voce.

Dopo l’intervallo, l’omaggio al repertorio italiano, dove pure il tenore è specialista. Dal Verdi de La forza del destino (ci sia perdonata la digressione di colore: l’opera reca seco un bagaglio di scherzose superstizioni che Kaufmann ha sfatato in data 17) a Umberto Giordano con un Andrea Chénier ispirato e appassionato. Esecuzioni giocate sulle intenzioni interpretative che il “tenorissimo” ha magicamente rese materiche, tangibili sia negli aspetti corposi che, più spesso, nella leggerezza delle mezze voci sfumate in sussurri sublimi o ingrandite controllatamente nelle ‘messe in voce’ da manuale.  

Martina Serafin ha condiviso buona parte del concerto, in duetti in cui è emerso tra lei e il collega un notevole affiatamento e regalando, da solista, il toccante La mamma morta da Chénier e l’incisivo Nel dì della vittoria da Macbeth, dove è spiccata la sua innata musicalità, la bellezza del fraseggio e la voce gestita con scioltezza, sentendosi a proprio agio in ogni ruolo previsto in programma.

Jochen Rieder, bacchetta stimata in questo repertorio e che vanta una frequentazione artistica di lunga data con Kaufmann, distintamente percepibile, è salito sul podio dell’Orchestra della Fondazione Arena di Verona oggettivamente poco avvezza a Wagner, di cui ha proposto i due preludi da Lohengrin e da Die Walkűre. Nella tranche dedicata al repertorio italiano, la formazione orchestrale ha indossato la sua veste migliore, ritrovando colori fraseggi e dinamiche nella sinfonia da La forza del destino e nell’intermezzo da Manon Lescaut.

Il programma ufficiale terminava qui, con Kaufmann impegnato quindi in quattro pezzi. Si è aggiunta l’agognata carrellata, generosa, infinita, entusiasmante, adrenalinica di bis, otto se non abbiamo contato male, acclamati a gran voce dalle gradinate in visibilio. A iniziare da Nessun dorma concluso con un acuto all’insegna della raffinatezza, che tuttavia, lo confessiamo, avremmo preferito udire nella sua tradizionale irruenza volumetrica. A seguire un’altra pagina pucciniana rivelatasi un capolavoro di oreficeria finemente filigranata, per il gusto di chi scrive il momento migliore dell’intero concerto: E lucevan le stelle eseguita con un trasporto, con un sentimento, con una cesellatura tecnica ed espressiva elevata al massimo grado, che ha mandato letteralmente in estasi.

La serata avrebbe potuto concludersi qui, ma l’infaticabile star della lirica ha voluto ossequiare anche l’operetta e la canzone popolare. Per un artista di questo livello, che alle doti musicali somma una personalità carismatica e, perché no, una bellezza da divo del cinema (altra nota di colore: complice l’orchestra sul palco e quindi l’assenza della buca nel mezzo, una signora è scattata dalle poltrone di platea per recapitargli nella mano una rosa) tutto ha trovato una valida giustificazione, anche aver appagato lo spirito campanilistico del pubblico, divenuto incontenibile negli applausi e nelle grida di apprezzamento lanciate a pieni polmoni dall’alto delle gradinate, tributando al tenore e ai suoi compagni di viaggio un meritato trionfo.

Che, non possiamo dimenticarlo, va condiviso con Cecilia Gasdia, la quale nei suoi anni di sovrintendenza e direzione artistica ha riportato l’Arena agli splendori del passato remoto, quando nell’anfiteatro si esibivano le migliori voci del momento. L’Arena è tornata ai vertici del panorama mondiale operistico e non possiamo che gioirne.

Recensione Maria Luisa Abate
Visto all’Arena di Verona il 17 agosto 2021
Contributi fotografici: Foto Ennevi