Concerto Straordinario: questo era il titolo di un evento doppiamente fuori dall’ordinario. Innanzitutto perché dopo oltre quarant’anni di assenza dalla città di Verona, il Maestro Riccardo Muti ha regalato al pubblico una seconda occasione di ascolto a distanza ravvicinata dall’inaugurazione della stagione estiva all’Arena (vedi recensione DeArtes qui). Altro motivo speciale era dovuto al contesto, ossia le celebrazioni del settecentenario dalla morte di Dante, culminate in uno stesso abbraccio musicale che ha unito le città dantesche di Ravenna Firenze e Verona. Il concerto al Teatro Filarmonico, l’ultimo in ordine di data, si è inserito nel corposo calendario di iniziative dedicate all’Alighieri dal Comune di Verona (vedi approfondimento dettagliato DeArtes qui), città dove il Sommo Poeta ebbe modo di soggiornare tre volte nel corso del suo peregrinare per l’Italia.

Di grande interesse il programma musicale, che ha indagato la Divina Commedia intesa come un “paesaggio sonoro”, ha fatto notare Guido Barbieri nelle belle note al programma di sala. Un poema da vedere e da ascoltare, perché in esso abbondano le citazioni alla musica composta dall’uomo, ai canti delle anime o delle creature celesti, e in larga parte ai suoni della natura.

Il concerto è esordito con una proposta di rara esecuzione: le Laudi alla Vergine Maria, dai Quattro pezzi sacri di Giuseppe Verdi, che intonano il XXXIII Canto del Paradiso. Qui Dante viene guidato nell’Empireo da San Bernardo di Chiaravalle, il quale rivolge alla Vergine la preghiera di concedere al viaggiatore la visione del mistero di Dio. Per Verdi, ormai in tarda età, una riflessione personale e privata, una meditazione intima, profonda, musicalmente carica di suggestioni e protesa all’astrazione. Tutti elementi espressi dal Coro femminile del Maggio Musicale Fiorentino adeguatamente preparato da Lorenzo Fratini.

Nella parte centrale del programma, la prima esecuzione italiana nelle tre città dantesche (dopo il debutto lo scorso luglio a Yerevan nell’ambito delle Vie dell’amicizia) del Purgatorio di Tigran Mansurian, per baritono, coro misto da camera e orchestra d’archi e percussioni. Una nuova commissione del Ravenna Festival al compositore armeno (ma nato a Beirut 1939) tra i più stimati nel panorama internazionale contemporaneo. Mansurian si è ispirato ai canti primo e undicesimo, con la lunga toccante preghiera al Padre Nostro. Un brano dalla solida concezione, dalla intensa spiritualità e dalla leggerezza espositiva. Solista, il baritono armeno Gurgen Baveyan, voce fresca che ha brillato per la dizione e per la facilità di spaziare in ogni registro, con notevole tenuta in quelli alti. Tra le file dell’orchestra, l’eccezionale cameo di Giovanni Sollima al violoncello. Entrambi, sotto il gesto rigoroso del Maestro Muti, impegnati a dare ulteriore trasparenza alla scrittura cristallina di Mansurian, che ha unito ispirazione sacra ed echi popolari, in una ricerca di armonia interiore come impulso connaturato all’essere umano.

Ha chiuso la serata quello che senza dubbio è il passo musicale più celebre ispirato al Sommo Poeta, la Dante Symphonie di Franz Liszt, che dopo i movimenti dedicati a Inferno e Purgatorio si conclude con l’Halleluja del Magnificat. Un poema sinfonico in cui gli strumenti in orchestra prendono il posto delle voci dei personaggi danteschi, con pittorica capacità di evocazione. Una descrittività che Liszt aveva originariamente pensato anche in forma visiva. Infatti, nelle intenzioni del compositore, l’esecuzione avrebbe dovuto essere abbinata a una serie di immagini della Commedia; nelle quali, lo confessiamo, avevamo sperato quando il fondale del teatro veronese, raffigurante un drappo, ha lasciato spazio a una base neutra, rimasta però tale, in favore di una altrettanto apprezzabile sobrietà.

Il Maestro Riccardo Muti, alla guida dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini cui si sono aggiunti alcuni professori d’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, e del Coro del Maggio, ha tenuto fede alla linea stilistica che da sempre contraddistingue la sua direzione, basata sull’attento studio preliminare delle partiture, sul rigore esecutivo, su una lettura attenta a tutte le notazioni degli autori. Tenendo sempre ben presente la concezione dell’insieme, il Maestro Muti ha impresso alla serata una sublime aura di mistero, diversamente declinata tra le pagine reali, materiche eppure di impalpabile levità, e quelle più visionarie e astratte, cui ha dato corpo. In ciò, mai sottacendo la dimensione intima e spirituale, che ha sollecitato il pubblico alla contemplazione e al raccoglimento, prima del tripudio conclusivo di applausi.

Recensione Maria Luisa Abate
Visto al teatro Filarmonico di Verona il 15 settembre 2021
Contributi fotografici: ©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona