È stato soprannominato il “Relitto della campana”: nelle acque dell’Area Marina di Capo Rizzuto in provincia di Crotone – un Parco marino istituito nel 1991 con una estensione di ben 14.721 ettari – sono stati rinvenuti 9 cannoni sparsi in una zona di bassifondi rocciosi. Si tratta di pezzi d’artiglieria in ghisa di dimensioni e calibri differenti adagiati su un fondale compreso tra 6 e 10 metri di profondità. Oltre alle bocche da fuoco ad avancarica sono state scoperte anche due enormi ancore in ferro, di cui una è lunga circa due metri. Nel corso delle perlustrazioni al giacimento è avvenuto un inaspettato ritrovamento: una campana di bronzo riferibile alla nave naufragata. Il manufatto, in buono stato di conservazione, presenta alcune decorazioni a rilievo e si spera che possa aiutare la datazione del relitto, perché spesso questi strumenti recavano l’anno di fusione e il marchio dell’artigiano che l’aveva forgiata. Talvolta, anche il nome della nave, l’emblema della marina o lo stemma di stato.

LA CAMPANA
L’archeologo subacqueo Salvatore Medaglia, della Soprintendenza per il Patrimonio Subacqueo di Taranto, spiega che, tra le attrezzature di bordo, la campana aveva un ruolo importante. Appesa sul castello al tempo della marineria a vela, scandiva lo scorrere del tempo e avvertiva l’equipaggio dell’avvicendarsi delle varie attività giornaliere. Fungeva anche come segnalatore acustico in caso di nebbia o di un pericolo immediato.

La campana, che per il momento ha dato il nome all’anonimo relitto, è stata trasportata dai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturalea Cosenza per essere affidata alle mani di un restauratore della Soprintendenza ABAP esperto nel trattamento dei metalli.

I CANNONI
Gli archeologi sono al lavoro sui cannoni in ghisa: un tipo di artiglierie che andò progressivamente ad affiancare e poi lentamente a sostituire l’armamento navale in bronzo nel corso del XVI secolo. Sin dalla metà del XVII secolo le bocche da fuoco in ghisa divennero l’armamento principale delle navi in quanto avevano un costo di produzione molto inferiore.

LE INDAGINI
Barbara Davidde guida l’indagine della Soprintendenza Nazionale per il Patrimonio Culturale Subacqueo assieme alla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Catanzaro e Crotone, diretta da Fabrizio Sudano. L’opera dei ricercatori si svolge in proficua sinergia con l’Area Marina Protetta di Capo Rizzuto, il Centro Regionale Strategia Marina dell’Arpa Calabria con sede a Crotone e il Nucleo Carabinieri Subacquei di Messina.

Nel maggio 2019 alcuni subacquei locali – Francesco Megna, Simone Megna, Luca De Rosa e Franco Megna – rinvennero alcuni cannoni nei pressi di Capo Rizzuto e ne denunciarono la scoperta alle autorità. Dopo un primo sopralluogo, le due Soprintendenze avviarono alcune indagini subacquee, dirette per la parte scientifica dagli archeologi subacquei Salvatore Medaglia e Paola Caruso appartenenti ai due istituti del Ministero della Cultura.

Dopo un minuzioso lavoro di pulitura dei pezzi d’artiglieria, che saranno in futuro oggetto di interventi conservativi, gli archeologi hanno documentato nei dettagli i singoli manufatti e hanno svolto un’accurata perlustrazione dei fondali con il prezioso supporto dei sommozzatori dei Carabinieri guidati dal Comandante Domenico De Giorgio.

La campana, che ha dato il nome all’anonimo relitto, è stata trasportata dai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturalea Cosenza per essere affidata alle mani di un restauratore della Soprintendenza ABAP esperto nel trattamento dei metalli.

Le ricerche proseguiranno nei prossimi mesi con l’intento di rinvenire parti dello scafo che potrebbero essersi conservate in alcune ampie sacche sabbiose del fondale. Intanto, l’area delle indagini è interdetta alle immersioni e monitorata dalle Forze dell’Ordine, anche da remoto.

L’AREA MARINA DI CAPO RIZZUTO
Questo tratto di mare è caratterizzato da secche che in passato costituivano una trappola per le imbarcazioni di passaggio. Si aggiungeva la piaga della pirateria, prevalentemente barbaresca, lungo lo Jonio calabrese. Il più famoso pirata ottomano, ‛Ulūǵ ‛Alī “il rinnegato”, convenzionalmente chiamato Uccialì e al secolo Giovan Dionigi Galeni, era nativo di queste contrade. Rapito dai pirati di Barbarossa, si convertì e fece una straordinaria carriera nell’amministrazione ottomana.

L’area marina era già nota agli archeologi, per la presenza di altre tracce di naufragi: il più famoso riguarda il piroscafo Bengala della flotta della Navigazione Generale Italiana che, varato a Sunderland nel 1872, colò a picco nel 1889 causando la morte di due membri dell’equipaggio. Ci sono altri due giacimenti archeologici legati a naufragi, inquadrabili tra XVII e XVIII secolo, che sono posizionati a non molta distanza dal relitto della campana. Si aggiungono testimonianze sporadiche di età romana e altomedioevale.

C.S.M.
Fonte: Mic, 21 settembre 2021
Contributo fotografico: S. Medaglia – SN Sub