Ulteriori otto sale espositive e una project room, nuove opere e installazioni artistiche, spazi culturali per le attività e gli incontri come il “Teatrino di Palazzo Maffei”, con una platea di oltre 100 posti, i suoi sipari d’autore, sette straordinari affacci panoramici su Piazza delle Erbe e una biblioteca specialistica. Palazzo Maffei Casa Museo amplia la sua proposta culturale con l’inaugurazione, il 23 ottobre 2021, del secondo piano del più importante edificio seicentesco della città di Verona, dove è esposta l’importante e numericamente imponente collezione Carlon. Prosegue così il progetto visionario, a distanza di un anno e mezzo dalla prima inaugurazione che ha segnato, pur con le restrizioni successive, la nascita di un nuovo straordinario luogo d’arte e cultura nel cuore di Verona.
Con il restauro conservativo di stucchi, pavimenti, affreschi e pitture murali del piano superiore del Palazzo, tra i migliori lavori del pittore accademico veronese Pio Piatti, e con l’allestimento dei nuovi ambienti museali, la famiglia Carlon – con la direttrice della Casa Museo Vanessa Carlon – ha proseguito il suo impegno nella valorizzazione dell’iconico edificio barocco, nella fruibilità della Collezione e nella promozione dell’arte contemporanea, grazie anche al coinvolgimento di uno dei più premiati creativi del panorama internazionale: Daan Roosegaarde, architetto, designer, artista innovatore olandese – tra gli young global leaders del World Economic Forum – ideatore di quella che lui definisce “tecnopoesia”.
Le nuove sale, ideate da Gabriella Belli, non seguono un fluire cronologico e tematico come al piano inferiore, ma rappresentano ciascuna un’entità a sé, un singolo episodio concluso di una vasta narrazione, che intreccia antico e presente, visione e aspirazione, realtà e sogno.
APPROFONDIMENTO: LE NUOVE SALE
La prima sala omaggia la Verona romana il cui cuore era l’attuale Piazza delle Erbe. Accanto a sculture, fregi architettonici e manufatti databili tra il I e il III secolo d. C., vi è anche un piccolo busto in basalto di Serapide, dio di origine orientale il cui culto si diffuse in tutto l’Impero. “I Gladiatori nella stanza” di de Chirico (1928–1929) ricordano i protagonisti dei combattimenti che animavano le arene; la riflessione attonita dell’uomo contemporaneo è rappresentata dal “Testimone” (1991) di Mimmo Paladino.
Nella seconda sala, Sulla metamorfosi del paesaggio e la “bella natura”, il fascinoso intervento site specific di Chiara Dynys ripropone due aforismi sulla natura di Johann Wolfgang von Goethe. Allo sculture neoclassico Antonio Canova si deve il bellissimo “Amorino” al centro della sala.
Il tema del paesaggio torna nella terza sala, Vedute, dove Verona è protagonista. Tra i vari artisti, Carlo Ferrari detto il Ferrarin i cui dipinti erano amati anche da “turisti” stranieri come il maresciallo Radetzky e il principe russo Anatolij Demiov, o Carlo Canella, ma soprattutto Renato Di Bosso che ci consegna una Verona dal sapore futurista.
La sala intitolata Sul perimetro del mondo e i suoi limiti espone pregiate cornici d’epoca che inducono a riflettere sul senso del vuoto creativo che esse, pur nella loro bellezza, non riescono a colmare.
Non sfugge, nella sala Sul sapere universale e la caducità delle cose, il diapason tra una visione positivista e controllata della natura e del sapere, e la minaccia moderna della mortificazione del paesaggio e della natura attraverso la tecnologia. Gli autori delle nature morte seicentesche sono in dialogo con l’edizione integrale dell’Encyclopedie di Diderot e d’Alambert, summa del sapere universale del XVIII secolo e manifesto della fede progressista. Un capolavoro dei primi anni settanta di Mario Schifano, “Untitled”, falsa e rende surreale il paesaggio.
Anche il secondo piano propone, speculare al primo, il salotto del collezionista. Tra arredi preziosi, come le magnifiche lacche veneziane del XVIII secolo e i commode sei-settecenteschi di manifatture fiorentine e veneziane, ecco Pietro Rotari con due dipinti a soggetto biblico e mitologico (1734 – 1735), una scultura dell’imponderabile Gino De Domincis, esposta al MOMA di New York nel 2008, e l’iconica Hope di Robert Indiana.
La sala che s’intitola Sulla natura dello spazio e della materia, con lo straordinario “Contrappunto semplice” (1971) di Fausto Melotti, equilibrio perfetto di pieni e di vuoti, riunisce Lucio Fontana, che taglia la tela mostrando ciò che sta oltre il telaio e nei Concetti spaziali la rigenera con il colore monocromo e frammenti di pietre; Pietro Manzoni che nei suoi “Achrome” la altera, la piega, la corruga e la ricompone; Alberto Burri che si esprime con sacchi d juta, legni bruciati o plastiche combuste; Fausto Melotti e Carla Accardi che agiscono con prepotenza attraverso i segni.
Entrando nella penultima sala, Sul cosmo e i suoi satelliti, l’illusionistico movimento circolare creato da Alberto Biasi in Dinamica ’62, sovrappone strutture lamellari dalle cromie contrastanti, mentre il Teatrino di Fontana ci porta in una nuova dimensione onirica. Ma è l’opera di Eliseo Mattiacci “Tempo globale” del 1991 a ricondurci al dialogo /confronto tra l’individuo e il mondo che lo circonda, tra l’io e il cosmo.
Una star dell’innovazione creativa, Daan Roosegaarde classe 1979, membro anche della NASA innovation Team, con uno dei suoi spettacolari progetti che fondono tecnologia della luce interattiva, arte e sostenibilità ambientale, conclude il percorso nell’ultima sala, destinata a project room con proposte sempre nuove. Nelle sue installazioni – come in “Lotus Maffei” realizzato per il museo veronese, fiori intelligenti, sensibili alla luce e al calore che muovono le loro forme in base al contatto con gli esseri umani – unisce tecnologia e poesia ispirandosi all’idea di un’architettura organica.
M.C.S.
Fonte: Lacchin, Villaggio Globale, 8 ottobre 2021
Contributi fotografici: © Ph. Luca Rotondo