Una volta tanto, è fatto obbligo iniziare dalla fine. Precisamente dall’ultima nota. Un puntino nero sul pentagramma che ha dato il senso più vero di dove ci trovassimo. A Parma il pubblico è una istituzione al pari del Teatro Regio, di cui è l’anima autentica. Senza una platea così speciale resterebbe incompiuta l’eccellenza della programmazione artistica del Festival Verdi, che rende il tempio della lirica emiliano uno dei più stimati al mondo, tra i più ambiti ma anche temuti dai cantanti. Perché qui, il pubblico se ne intende per davvero. Qui la verdianità scorre nelle vene assieme al sangue, trasmessa di generazione in generazione con il patrimonio genetico. Prova è venuta da quel magico, sublime momento di incantamento che ha concluso l’esecuzione di Simon Boccanegra.
La partitura giunge all’ultima battuta. Sul podio, Michele Mariotti alza le braccia per tenere l’accordo conclusivo in una “corona” che sfuma nel silenzio, finalmente pacificante eppure ancora scosso dai precedenti fremiti. Il direttore mantiene la bacchetta sollevata, a prolungare quel vuoto così denso. E il pubblico vive il momento, attende assieme all’orchestra che il gesto direttoriale cessi, prima di esplodere in un boato di generosi consensi. Certo, presentano motivi di apprezzamento anche i pubblici incapaci di frenare l’entusiasmo, che soffocano di regola tutti i finali e che, così facendo, incarnano la matrice nazionalpopolare propria del melodramma. Ma quale gioia infondono la competenza e il rispetto che a Parma viene dimostrato all’autore, agli interpreti, al luogo e non ultimo al vicino di poltrona.
In questa coproduzione con Fondazione Teatro Comunale di Bologna, la direzione e concertazione di Michele Mariotti ha palesato un’impronta materica, una espressività visceralmente nata e fisicamente vissuta dal maestro di Urbino, visibilmente affaticato al termine della serata, come un centometrista che, tagliato il traguardo, sia ancora proteso nello sforzo, tanto impegnativo quanto appagante. Ovvietà è sottolineare che aver eseguito Simon Boccanegra in forma di concerto, senza scenografie costumi né movenza attoriali, ha sottratto una fetta importante da quell’insieme che è l’opera lirica. Ovvietà conseguente è che in tal modo ci si sia potuti concentrare maggiormente sulla empirea bellezza del dettaglio verdiano. In ciò è riuscito splendidamente Mariotti, che di questo titolo a lui ben noto ha subitaneamente trovato la chiave d’accesso per toccare le corde più intime della sensibilità degli ascoltatori, offrendo una tra le più belle, mature e intense interpretazioni udite in questi ultimi anni. Il dramma della solitudine è stato espresso con tale profondità da aver messo in secondo piano, senza mai sottacerlo, l’aspetto strettamente politico, ponendo le due facce della medaglia in stretta correlazione, come effetto e causa. L’ascesa a una posizione di comando del Boccanegra, da corsaro spietato al servizio della Serenissima ad acclamato doge, gli conferisce potere ma lo racchiude allo stesso tempo in una bolla di solitudine, dove l’uomo perde la libertà e si trova in balia delle proprie fragilità. È un’opera di «violenza michelangiolesca» dove si piange sulla miseria umana, dove si ritrova allo stesso tempo il senso della vita e della morte, dice lo stesso Mariotti. Complice il tangibile feeling con l’Orchestra del Comunale di Bologna, è sgorgato un flusso di accenti e di colori, sono venute a galla le intenzioni palesate o eloquentemente sottintese da Verdi. E la cupezza di fondo, senza tradirne la natura, è stata stemperata in lucentezza capace di irretire, come l’immaginato nero degli abissi marini antistanti Genova portato a riva dal moto ondoso per essere carezzato dai raggi della luna.
Il cast era degno della qualità giustamente pretesa dal pubblico e perseguita dal Regio. Artisti capaci non solo di cantare ottimamente, ma di dare appropriato peso alla parola oltre che alla nota. Ha debuttato nel ruolo del titolo e in questo teatro il baritono russo Igor Golovatenko, dal timbro incisivo, dalla potenza di emissione e dalla sensibilità nel fraseggio con cui ha saputo rendere la doppia anima del protagonista, trovatosi, nel complesso prologo, a festeggiare la nomina a doge mentre stava piangendo la morte dell’amata Maria. Altro debutto, nel teatro e nel ruolo della figlia di Boccanegra, sotto il nome di Amelia Grimaldi, il soprano americano Angela Meade, che ha confermato le doti universalmente note: una voce di pura e naturale bellezza, dall’abbagliante gamma vocale percorsa con apparente facilità in ogni registro, utilizzando morbidamente le dinamiche per esaltare i colori smaltati e le smorzature delicatissime.
Michele Pertusi Jacopo Fiesco sotto il nome di Andrea, ha ammaliato con la linea stilistica aristocratica, con la capacità più che perfetta di scavare in un personaggio sfaccettato e preda di turbamenti profondi, ma anche di entrare nella dimensione verdiana basata sull’uomo, sul suo lato terreno che corre parallelo all’anima. Era una prima volta di ruolo e di luogo anche per il tenore Riccardo Della Sciucca, il gentiluomo Gabriele Adorno, dal mezzo vocale ampio e svettante, che ha saputo gestire con padronanza degna di grande apprezzamento.Sergio Vitale neii panni di Paolo Albiani, figura che il direttore ha definito una sorta di pre-Jago, ha posto la propria importante vocalità al servizio di questa impostazione, portando il perfido cortigiano a essere il ‘regista’ degli intricati giochi di potere attraverso una vasta gamma di colori e accenti, rimodulati con sapienza espressiva di pari passo allo snodarsi della vicenda. Hanno con onore completato il cast Andrea Pellegrini, Pietro e i due ex allievi dell’accademia verdiana Federico Veltri, Capitano dei balestrieri, e Alessia Panza, Ancella di Amelia. Dall’alto della struttura, dall’ottima acustica “a pioggia”, appositamente creata per garantire il distanziamento in questi tempi di covid, si è distinto con valore il Coro bolognese istruito da Gea Garatti Ansini.
Simon Boccanegra è stato trasmesso in diretta su operastreaming.com, inaugurando così il nuovo cartellone del primo portale online gratuito dedicato all’opera lirica in Italia, ove resterà disponibile per i prossimi sei mesi.
Recensione Maria Luisa Abate
Visto al Teatro Regio di Parma, Festival Verdi, il 9 ottobre 2021
Foto di scena di Roberto Ricci