Ricordare oggi, a settant’anni di distanza, quell’evento è un dovere sociale. Non tanto, o non solo, per ripercorre una cronaca che si è fatta storia, ma per capirne la genesi, ciò che nel tempo ha condotto a quei terribili giorni. Per riflettere, nell’oggi, sull’eterna e disattesa urgenza di rispettare i fiumi e l’ambiente. Ed è anche occasione per capire, mentre i testimoni diretti dell’evento diventano sempre più rari, cosa di esso sia rimasto nel DNA personale e sociale dei Polesani, di quelli che hanno continuato a vivere in Polesine e di quelli costretti a nascere e crescere altrove. Per loro, la Grande Alluvione è un brano importante della storia familiare, ancora presente ma fatalmente destinato ad evaporare generazione dopo generazione, spiega Gilberto Muraro, Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo che promuove la mostra “70 anni dopo. La Grande Alluvione”, a Rovigo a Palazzo Roncale dal 23 ottobre al 30 gennaio prossimi.
Ma – aggiunge il Presidente Muraro – questa mostra intende soprattutto focalizzare come quella tragedia si ripercuota oggi nel tessuto fisico, sociale ed economico del Polesine. Cercando di indagare “cosa”, oltre al ricordo, al dolore, alle tragedie personali e sociali, derivi oggi, settant’anni dopo, da quell’Alluvione.
In carenza di un vero sviluppo del comparto industriale – annota il curatore della mostra Francesco Jori – il Polesine ha puntato su quello agricolo, riqualificandolo e riqualificandosi. Un territorio che ha fatto di un Delta abbandonato e nemico, di una terra di malaria prima e di pellagra poi, una delle più ambite e importanti aree umide d’Europa, riconosciuta dall’Unesco come Patrimonio della Biosfera. E che ha ricominciato a guardare alla globalizzazione, ricordando di essere stato, per un millennio, quando Adria dava il suo nome a un mare, uno dei gangli di incontro delle reti commerciali del mondo.
LA MOSTRA
Invita a riflettere sul come e quanto il mondo polesano sia mutato dagli anni di quella storica tragedia. Rivoluzione oppure graduale riscatto? Difficile stabilire una linea di demarcazione. Certo è che raffrontare le immagini della caccia allo storione tratte dal “Scano Boa”, il film del 1961 diretto da Renato Dall’Ara, con Carla Gravina e José Suárez, tratto dal potente omonimo romanzo di Toni Cibotto, a quelle delle colture ittiche del Delta di oggi, ci porta a pensare a un cambio di mondo.
Nel distretto ittico del Polesine e del Veneziano, in cui operano 3.328 imprese, di cui il 46% nell’acquacoltura, tra il 2006 e il 2016 si è registrato il maggiore impulso sia in termini di imprese (+758 nel Veneto) che di occupati (+1.696). L’acquacoltura del Polesine rimane il vero fiore all’occhiello del territorio, con il 78% della produzione veneta di vongole e il 60 per cento dei mitili regionali.
LA STORIA: LINA MERLIN E GLI ALTRI PROTAGONISTI
La mostra mette a fuoco l’azione di Lina Merlin, prima donna a venire eletta in Senato (per il Psi) nel 1948. La senatrice raggiunse Adria fin dal 16 novembre, per coordinare i soccorsi e dare una mano in prima persona: compresa la scelta di passare di casa in casa a bordo di un’imbarcazione per distribuire cibo, farmaci e vestiario. Il giorno 18, dalla sede del municipio, lanciò un appello tramite i microfoni della Rai, chiedendo aiuti urgenti.
Un primo piano se lo conquistò anche il sindaco, Sante Tugnolo, Psi anch’egli, eletto pochi mesi prima ad appena vent’anni d’età: si trasferì a tempo pieno nella sede comunale fin dal 17, e vi rimase per giorni, dormendo su un pagliericcio sistemato in uno sgabuzzino. Coordinò i soccorsi e si impegnò in prima persona nel garantire per quanto possibile il funzionamento dell’istituzione.
A Roma, il governo affidò al sottosegretario Giuseppe Brusasca l’incarico di commissario straordinario per far fronte alla catastrofe. L’esemplare impegno del personaggio fece sì che il lavoro di recupero delle terre sommerse, stimato in un tempo di due anni, venisse compiuto in soli sei mesi. Brusasca si trasferì a Rovigo, fissando il quartier generale in prefettura e vi rimase fino al settembre dell’anno successivo, con frequenti puntate a Roma per garantire gli interventi necessari.
E convinse il vescovo di Adria, Guido Maria Mazzocco, a celebrare la Messa dell’anno nuovo, la notte di san Silvestro, nella cattedrale di una cittadina devastata. Sabato 12 aprile, vigilia di Pasqua, il commissario poté dare l’annuncio via radio che buona parte del territorio polesano era stato recuperato. I profughi, che all’1 gennaio erano 189mila, si erano ridotti a 45mila.
LA TRAGEDIA RACCONTATA DAI GRANDI INVIATI E IL MILIONE DEL PAPA
Scrive il curatore che la Grande Alluvione fece scoprire all’Italia e al mondo un Polesine rimasto fino ad allora in ombra: fu la prima calamità naturale italiana a diventare un evento mediatico, in un’epoca in cui la televisione doveva ancora nascere. Le immagini della tragedia fecero il giro del Paese grazie ai cinegiornali della Settimana Incom, trasmessi nelle sale cinematografiche prima dell’inizio dei film.
Ma la copertura dei fatti era esclusiva della carta stampata, che mobilitò i migliori inviati: arrivarono in zona Enzo Biagi, Orio Vergani, Oriana Fallaci, Egisto Corradi, Paolo Monelli. E una giovane firma locale che acquisterà notorietà a livello nazionale proprio con i servizi dedicati all’alluvione: Gianantonio Cibotto, 26 anni, di Rovigo. Le sue “Cronache dell’alluvione”, descritte fedelmente dai posti più critici dove si recò di persona, costituiscono un documento eccezionale, destinato negli anni successivi a tradursi in un libro di grande successo.
Le loro testimonianze mobilitarono una straordinaria operazione di soccorso, a livello non solo nazionale. Centinaia di volontari giunsero da varie località del Paese e dall’estero. Si innescò una catena di fraternità di semplici cittadini, che fruttò aiuti per quasi un miliardo e mezzo di lire, garantendo la fornitura di 800 tonnellate di materiale, tra viveri, medicine, coperte e lenzuola e indumenti, per un totale di 3 milioni di pezzi.
Confindustria tramite le aziende associate raccolse due miliardi, il Papa inviò un milione al sindaco di Adria. Si mossero pure i Paesi stranieri, un’ottantina in tutto, Stati Uniti e Unione Sovietica in testa, per un totale di cinque miliardi.
70 ANNI: LA LUNGA RINCORSA DI SUCCESSO
Non è solo il resoconto della tragedia che va in scena a Palazzo Roncale a Rovigo, ma è il racconto di una vicenda di successo, una vera e propria case history da manuale. Scrive sempre il curatore Jori che partì da sotto zero la ricostruzione di un Polesine devastato dalla catastrofica alluvione del 1951. Infatti il tenore medio di vita della popolazione, all’epoca risultava il più basso dell’intera Italia settentrionale, con un reddito privato pro capite pari a 137mila lire.
Ma a differenza delle precedenti calamità naturali, la scelta di fondo fu quella di promuovere il definitivo riscatto della provincia, attraverso una serie diversificata di azioni e investimenti. Fin dall’inizio degli anni Sessanta cominciarono a sorgere le prime aree industriali, dal capoluogo ad Adria a Occhiobello: alimentari, chimica, meccanica, materiali da costruzione, installazione di impianti, cartario, mobile, tessile-abbigliamento. Poi, le infrastrutture determinanti per lo sviluppo: Transpolesana, Romea commerciale, porto fluvio-marittimo di Porto Levante, porti interni di Rovigo, area attrezzata del Basso Polesine, idrovia Fissero-Tartaro-Canal Bianco.
Una rincorsa che si concluse nel 2007, quando per la prima volta nella storia il PIL (prodotto interno lordo) pro capite della provincia superò stabilmente la media italiana, mentre il tasso di crescita era ormai identico a quello del Veneto. Nel 2006, il PIL totale del Rodigino era stato di poco più di 6.108 milioni di euro, e quello pro capite di 24.950 euro, a fronte di un dato nazionale rispettivamente di 1.475.401 e di 25.032; l’anno successivo era salito a 6.422 milioni (più 5 per cento) e a 26.204 euro. Una performance dovuta a una serie di settori trainanti che la mostra al Roncale puntualmente indaga.
FIORAVANTE BUCCO: “POLESINE 1951”
Riemergono in mostra documenti sino a oggi ignoti su quel tragico evento e sulle giornate immediatamente successive. È il caso di un album di famiglia conservato a Forni di Sopra, in Carnia, e rimasto sinora tra le memorie di casa. La sua riscoperta si deve a Gabriella Bucco, giornalista friulana, figlia dell’autore di quella serie di immagini, Fioravante Bucco, che nel 1951 era in servizio al Ministero Agricoltura e Foreste, presso l’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura di Udine, negli uffici distaccati di Tolmezzo.
Sono 44 scatti amatoriali di piccolo formato stampati dallo studio fotografico Stoppa di Rovigo. Le fotografie in bianco e nero furono scattate con una macchina compatta Leica IIIC mm 35 del 1946 e costituiscono probabilmente l’unica testimonianza del periodo di passaggio di competenze dallo Stato alla Regione.
L’INSALATA CRESCE IN MOSTRA
Come un’opera d’arte contemporanea, l’insalata di Lusia IGP, eccellenza dell’orticoltura polesana, cresce in una coltura indoor idroponica/aeroponica senza l’utilizzo di terra, all’interno della mostra che racconta una terra dalle molte eccellenze, laboratorio di forte innovazione, proiettato sul futuro. In mostra, l’esperienza dello Urban Digital Center Innovation Lab di Rovigo, sensibilizza il pubblico verso il tema dello sviluppo sostenibile.
C.S.M.
Fonte: Studio Esseci, ottobre 2021
Immagine di copertina: Soccorsi agli alluvionati a Grignano Polesine 17 novembre 1951
©Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo
70 ANNI DOPO. La Grande Alluvione
23 ottobre 2021 – 30 gennaio 2022
Palazzo Roncale
Piazza Vittorio Emanuele II, 25, Rovigo 45100 (RO)
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