I Promessi Sposi come raramente si ha occasione di sentirli. Del capolavoro di Alessandro Manzoni troppo spesso si conserva una memoria scolastica, prevaricatrice e generalmente deleteria. Che meraviglia poter nuovamente ascoltare il romanzo da voci di alto livello, capaci di farlo riscoprire sotto nuova luce. Anche per bocca dello stesso Manzoni, qui impersonato da Gianluigi Fogacci, impegnato a fornire spunti descrittivi o di trait d’union. “La notte dell’innominato” si è focalizzata sulla pagina più cupa dei Promessi Sposi, che nella riproposizione teatrale ha assunto toni gotici, tenebrosi. Una notte nera e impenetrabile, durante la quale le ansie represse, i pentimenti mai provati, le angosce irrisolvibili di colui del quale si ha paura perfino a pronunciare il nome, si sono materializzati tra i muri del “castellaccio” come orridi fantasmi della mente.

Il primo apprezzamento va fatto al regista e adattatore del testo Daniele Salvo che (pare scontato ma invece non lo è) non solo ha tenuto per davvero fede a quanto annunciato nelle note di regia, ma, pregio ancora maggiore (altrettanto non scontato) ha reso splendidamente superfluo l’attingere a esse per la comprensione, in quanto lo spettacolo è “arrivato” con immediatezza allo spettatore. Daniele Salvo ha privilegiato, nella scelta visiva così come nell’impostazione attoriale, colori tetri entro i quali si aggiravano ombre spaventose, figure incappucciate, orribili avatar generati dell’immaginario del protagonista. Suggerendo così una forma di tormento interiore dell’Innominato, essere insensibile, spietato, glaciale nella sua cattiveria.

Ne ha assunto il sembiante Eros Pagni, un fuoriclasse che porta avanti il testimone della migliore tradizione di teatro come purtroppo oggi va perdendosi. Pagni, con eloquio reso ad arte distaccato e tagliente, ha magistralmente scavato nel personaggio, sfrondando qualsivoglia orpello esteriore e arrivando all’essenza di questa figura dominatrice e terribile. Anche nei momenti di silenzio, Pagni è stato il catalizzatore della scena, facendo percepire costantemente la presenza incombente dell’Innominato. Un crudele tiranno, passato dall’indole infernale alla presa di coscienza di sé che ha generato in lui rimorso e smarrimento. Fino a un moto di redenzione favorito dalla purezza, dall’innocenza di Lucia Mondella, cui ha prestato giovane ma già intenso volto Valentina Violo. Una “Beatrice” che gli ha indicato la via d’uscita dal Male. È stata Lucia, infatti, a far sì che nel palazzo luciferino filtrassero debolmente i raggi dell’aurora, dopo una notte che pareva eterna.

Tra i fautori di questo bell’allestimento è fatto obbligo citare il genio di Alessandro Chiti, che ha creato la scenografia popolata da incubi (luci Cesare Agoni, costumi Daniele Gelsi) e da suoni raccapriccianti (musiche Patrizio Maria D’Artista) attingendo all’ambito pittorico e manipolando i dipinti che, nelle videoproiezioni (Michele Salvezza) hanno mostrato alcuni loro dettagli animati, in un moto quasi impercettibile, ripetitivo e inquietante. Le celebri opere d’arte sono calate in macro dimensioni alle spalle dei personaggi, quasi a sovrastarli, come se le visioni immortalate sulle tele da Bosh e Bruegel fossero anch’esse proiezioni della mente dell’Innominato.  

L’allestimento ha generato un accavallarsi di suggestioni e un transfer tra protagonista e spettatore, invitato anch’esso a misurarsi con l’eterna lotta tra bene e male. E quando ciò accade, indipendentemente da generi e stili, ci si trova al cospetto del vero Teatro.

Recensione Maria Luisa Abate

Visto al Teatro Sociale di Mantova, per la stagione Mantova Teatro della Fondazione Artioli, il 9 novembre 2021
Immagine di apertura: © Francesco Consolini per Mantova Teatro
Altre immagini : © Masiar Pasquali per CTB Centro Teatrale Bresciano