All’aprirsi degli spalti a dragoni è apparsa la città imperiale di Pekino in tutto il suo fulgore. L’applauso del pubblico è sgorgato irrefrenabile nonostante non ci fosse, nel momento, interruzione musicale. Dopo diciotto anni ha rinnovato il suo intramontabile fascino “Turandot” nell’allestimento ideato dal genio di Franco Zeffirelli, andato in scena come terzo titolo del 96° Opera Festival 2018 all’Arena di Verona. Il contesto prescelto da Puccini e dai suoi librettisti Adami e Simoni, che collocano la vicenda “al tempo delle favole”, è stato magistralmente tradotto sul palcoscenico dal regista e scenografo fiorentino, unendo l’esotica spettacolarità, necessaria anche all’anfiteatro, alla coerenza drammaturgica, con una rispondenza simbiotica tra gesto e nota che ha richiesto grande impegno da parte delle masse: coro, corpo di ballo, comparse. L’assonanza scenica con il dettato musicale non si è limitata ovviamente alla gestualità, e Zeffirelli ha tradotto in immagini la fantasmagoria coloristica e il lirismo dei sentimenti espressi dal dettato musicale pucciniano, con la consueta attenzione minuziosa per i particolari, fossero essi descrittivi, merito anche del lighting design di Paolo Mazzon, sia riferibili ai personaggi. I quali hanno vestito i magnifici costumi del premio Oscar Emi Wada. Si sono così contrapposti due mondi: quello di Liù e Timur, immerso nel blu tra lo scalpicciare delle “mille ciabatte” dei popolani, e quello del potere rilucente e capace d’irretire di Turandot e dei ministri, ancelle e dignitari, guardie e sapienti, tra fremere di ventagli e sfilare di insegne.
La presenza di Daniel Oren è certezza di successo. Il grande direttore si è potuto permettere, sapendolo fare, di privilegiare la carica emozionale e l’esuberanza. Saltava letteralmente sul podio accompagnando gli accordi più coinvolgenti, in una lettura caratterizzata dal vivace uso dei tempi e delle dinamiche, in cui gli svettanti chiaroscuri, le aperture liriche e gli slanci passionali hanno posto in risalto le caratteristiche della partitura, eseguita con l’aggiunta del finale scritto da Alfano dopo la morte di Puccini.
Eleganza e dizione chiara hanno caratterizzato ogni elemento della compagnia di canto, formata da grandi nomi che hanno confermato la propria fama. Cristallina la dizione della “principessa di gelo” interpretata da Anna Pirozzi, di abbacinante materiale vocale che ha padroneggiato con eleganza tornendolo di accenti espressivi e coloristici difficilmente udibili in una tessitura così impervia dal punto di vista tecnico. Gregory Kunde, Calaf, ha tenuto una lectio magistralis sull’eleganza. Lo squillo potente mai forzato, l’emissione dosata con perfetta misura in ragione anche della bella proiezione, le messe in voce da manuale: Kunde è parso scevro da quegli eccessi che sovente affliggono le voci tenorili. La sua “Non piangere Liù” è stata un capolavoro di espressività e il bis di “Nessun dorma”, richiesto entusiasticamente, è stato eseguito con identica tensione emotiva rispetto alla prima volta. Vittoria Yeo, Liù, ha colpito per freschezza, morbidezza, eleganza e per l’omogeneità con cui si è mossa in tutta la gamma dei registri. Giorgio Giuseppini ha reso con eleganza la disperata commovente vecchiezza richiesta dal ruolo di Timur. Ben assortiti Federico Longhi, Francesco Pittari e Marcello Nardis, rispettivamente Ping, Pong e Pang. Importante la prova di Antonello Ceron Imperatore Altoum e corretto Gianluca Breda, Mandarino. Ugo Tarquini era il Principe di Persia. Medesime caratteristiche di eleganza e perfetta intelligibilità delle parole per il Coro diretto da Vito Lombardi e per le voci bianche A.d’A.MUS. preparate da Marco Tonini. Efficace l’idea zeffirelliana, nel secondo quadro del secondo atto e alla conclusione dell’opera, d’aver “doppiato” i cantanti con alter ego danzatori che, coordinati da Gaetano Petrosino su movimenti coreografici di Maria Grazia Garofoli, hanno saputo esaltare al meglio l’espressività rituale orientale.
Recensione Maria Luisa Abate
Visto all’Arena di Verona il 30 giugno 2018
Foto Ennevi per gentile concessione di Fondazione Arena di Verona