“Mai sono stato così totalmente schiacciato a terra dinanzi a un intelletto umano, quanto oggi davanti a Tintoretto” scriveva Ruskin al padre, dopo aver visitato la Scuola Grande di San Rocco. “Quanto alla pittura – continuava il critico ottocentesco – penso di non aver saputo che cosa significasse fino a oggi…quello [Tintoretto] ti delinea la tua [sic] figura con dieci tratti e la colora con altrettanti. Non credo che gli servissero più di dieci minuti per inventare e dipingere una figura intera. Prende il via e accumula schiere su schiere, moltitudini che nessuno riesce a contare – senza mai fermarsi, senza mai ripetersi – nuvole e vortici e fuoco e infinità di terra e mare, per lui niente fa differenza”. Il più veneziano tra gli artisti del Rinascimento, colui che più ha “segnato” Venezia con il marchio inconfondibile del suo genio – chiamato da dogi e notabili ad abbellire palazzi e chiese della città – è stato in effetti capace di stupire e impressionare intere generazioni di amanti dell’arte. Ha stupito i suoi contemporanei, impressionato El Greco, Rubens e Velasquez, anticipato per molti versi la sensibilità di artisti contemporanei e ora, a 500 anni dalla nascita, torna ad affascinare il pubblico in occasione delle celebrazioni che tutta Venezia gli dedica, a partire dal prossimo settembre.
Punto focale è l’imponente progetto espositivo che fin dal 2015 la Fondazione Musei Civici di Venezia ha sviluppato con la National Gallery of Art di Washington e che ha trovato la piena collaborazione delle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Il risultato, a 80 anni dall’ultima mostra a lui dedicata in città, è una straordinaria monografica sull’artista a Palazzo Ducale, dal 7 settembre 2018 al 6 gennaio 2019 (TINTORETTO 1519 – 1594) centrata sul periodo più fecondo della sua arte – dalla piena affermazione, verso metà degli anni Quaranta del Cinquecento, fino agli ultimi lavori – e in contemporanea una grande mostra alle Gallerie dell’Accademia di Venezia (IL GIOVANE TINTORETTO) dedicata ai capolavori del primo decennio di attività e al contesto fecondo in cui egli avviò il suo percorso artistico. Dal 10 marzo 2019 sarà poi il museo di Washington a proporre, per la prima volta negli Stati Uniti la figura e l’arte di Tintoretto nella sua complessità, in un percorso d’eccellenza che prende le mosse dal nucleo espositivo di Palazzo Ducale. Ma sono tante le Istituzioni prestigiose che in laguna, in questo anno speciale, celebrano Jacopo Robusti con originali iniziative espositive, editoriali e convegnistiche, in uno spirito corale e di rete propugnato e sostenuto dal Sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro. Tra queste, in particolare, la Scuola Grande di San Rocco, uno dei siti cardine dell’attività del Maestro, custode di cicli pittorici imponenti, e la Curia Patriarcale, con le molte chiese che ancora oggi conservano preziose opere di Tintoretto. Fondamentale è stato poi il supporto di Save Venice Inc. , che in questi due anni ha sostenuto l’esame scientifico e il restauro di tanti capolavori dell’artista presenti a Venezia (ben 18 dipinti e la tomba del Maestro), consentendo ora al pubblico di ammirarli nel loro splendore, all’interno delle mostre o nel percorso cittadino appositamente predisposto dalla Fondazione Musei Civici di Venezia in la collaborazione con la Curia Patriarcale. Nelle magnifiche sale dell’Appartamento del Doge a Palazzo Ducale – il luogo che maggiormente testimonia il successo e il predominio raggiunti da Jacopo sulla scena artistica veneziana del XVI secolo, che pure annoverava giganti e concorrenti (!) come Tiziano e Veronese – Tintoretto torna protagonista di un grande progetto espositivo, voluto fortemente dalla Fondazione Musei Civici di Venezia e dalla sua direttrice Gabriella Belli, promosso congiuntamente con la National Gallery of Art di Washington, con la collaborazione delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, il contributo di Save Venice Inc. e il sostegno di Louis Vuitton. A curare la mostra di Palazzo Ducale così come quella di Washington, sono gli studiosi americani, grandi conoscitori di Tintoretto, Robert Echols e Frederick Ilchman, che da anni hanno concentrato le loro ricerche sulla definizione del catalogo complessivo dell’opera di Jacopo.
A loro fianco, in questa occasione, un prestigioso comitato consultivo internazionale e numerosi esperti dell’arte rinascimentale veneziana, che hanno contribuito con saggi puntuali al catalogo delle due mostre, edito da Marsilio: Stefania Mason, Roland Krischel, Susannah Rutherglen, Mattia Biffis, Peter Humfrey, Lorenzo Buonanno, Michiaki Koshikawa, Miguel Falomir, Maria Agnese Chiari Moretto e Giorgio Tagliaferro. Proprio i più recenti studi e gli illuminanti interventi conservativi degli ultimi due decenni hanno del resto consentito un’analisi rigorosa dei dipinti e della loro cronologia: tra questi in particolare gli interventi di Save Venice Inc. che hanno permesso anche l’esame scientifico e il restauro di alcune opere del Museo Correr e delle straordinarie tele dell’Anticollegio, dell’Atrio Quadrato e della Sala degli Inquisitori di Palazzo Ducale, da ammirare finalmente nella loro compiuta forza espressiva. Con 50 dipinti e 20 disegni autografi di Tintoretto, prestati dai grandi musei internazionali, unitamente ai famosi cicli realizzati per il palazzo dogale tra il 1564 e il 1592 – visibili nell’originaria collocazione – l’esposizione permetterà dunque di riscoprire pienamente la pittura visionaria, audace e per nulla convenzionale di Jacopo Robusti che, figlio di un tintore, “come un granello di pepe capace di sopraffare dieci mazzi di papaveri” a sentire l’amico commediografo Andrea Calmo, seppe sfidare la tradizione consolidata incarnata da Tiziano, sbalordendo e scegliendo di innovare: non solo con ardite soluzioni tecniche e stilistiche, ma anche con sperimentazioni iconografiche che segnarono un punto di svolta nella storia della pittura veneziana del Cinquecento. Straordinario narratore, abile regista di azioni dipinte, colorista sofisticato – lui che usava l’intera gamma dei pigmenti disponibili nella Venezia del tempo – Tintoretto si rivela ai nostri occhi affascinante interprete in tutti i diversi generi affrontati, da quelli religiosi, ai grandi dipinti di storia, dalla ritrattistica ai temi profani e mitologici, di cui la mostra propone illuminanti esempi grazie ai prestiti da importanti musei di tutto il mondo e da alcune prestigiose collezioni private: dai musei di Londra – come la National Gallery da cui arriva anche L’origine della Via Lattea (1575), la Royal Collection, il Victoria and Albert Museum, la Courtauld Gallery – ma anche da Parigi, Gent, Lione, Dresda, Otterlo, Praga, Rotterdam. Dal Prado di Madrid giungono a Venezia cinque opere straordinarie, comprese Giuseppe e la moglie di Putifarre (1555 circa), Giuditta e Oloferne (1552-1555) e Il ratto di Elena (1578) di oltre tre metri di lunghezza, realizzato per la corte dei Gonzaga, di cui ora si apprezza l’estrema qualità. Susanna e i vecchioni del 1577, tra i più celebri capolavori di Jacopo, giunge dal Kunsthistorisches Museum di Vienna e, grazie agli Staatliche Museen di Berlino, si vedrà in mostra la nobiltà dello sguardo del Ritratto di Giovanni Mocenigo (1580) che, inserito in una ricca galleria di ritratti, ci rivela come Tintoretto, a dispetto di quanto la critica riteneva un tempo, fosse anche abile interprete della psicologia umana. E poi importanti opere dall’America: da Chicago a New York, da Philadelphia a Washington. Emblematici e rivelatori sono i due autoritratti con cui si apre e si chiude il percorso espositivo, eseguiti uno all’inizio e uno alla fine della carriera di Jacopo e prestati rispettivamente dal Philadelphia Museum of Art e dal Musée du Louvre. In particolare nel dipinto giovanile eseguito intorno al 1546/47, definito dai curatori il primo autoritratto “autonomo” dell’arte europea, cogliamo già la forza della personalità, l’ambizione e l’energia del dipingere che connoteranno tutto il percorso di Tintoretto, ma anche la novità assoluta della sua arte inquieta e talvolta misteriosa, con pennellate sferzanti, rotte da lumeggiature materiche e con quel senso ricercato di non-finito.
Tra i capolavori a soggetto sacro, spicca la qualità, rivelata dai recenti restauri, delle pale d’altare di San Marziale e dell’Ateneo Veneto che oggi appaiono tra le opere più interessanti del Maestro; così come le grandi tele degli ultimi anni, in cui risulta la mano del figlio Domenico o della bottega, ma che conservano intatta, nell’ideazione compositiva, tutta la visionarietà del grande Tintoretto. Eccola dunque la pittura di Jacopo Robusti, con “quell’audace pennellata – per usare le parole dei curatori – che imprime enfasi e forza ai contorni, mentre sfrutta la superficie della tela e le infonde tensione”; con una velocità di esecuzione resa possibile dalle tecniche introdotte e dalla gestione attenta dell’attività di bottega e con quelle muscolose figure in vivace movimento che costituiscono il cardine delle sue composizioni, libere di fluire sfruttando in modo imprevedibile la luce e le varietà degli spazi architettonici, a creare “indelebili immagini di un mondo riconoscibilmente basato sul nostro, eppure del tutto trasformato, come in un sogno o in una visione”. “Mi sembrò di essermi spinto all’estremo limite della pittura – scrisse Henry James dopo aver visto i dipinti di Tintoretto a San Cassiano – che al di là di questo iniziasse un’arte nuova, una poesia ispirata e che Bellini, Veronese, Giorgione e Tiziano, tenendosi l’un l’altro per mano e tendendo ogni fibra del loro genio, non fossero riusciti a raggiungere quel limite, ma avessero lasciato uno spazio visibile in cui il solo Tintoretto signoreggiava. […] Nessun pittore ebbe mai una tale larghezza di vedute e una tale profondità; anche Tiziano, al suo confronto, appare poco più che un sommo artista decorativo. […] Tiziano fu sicuramente un poeta vigoroso, ma Tintoretto, bene, Tintoretto fu quasi un profeta”