“Shakespeare in love” è uno dei titoli che ha reso grande la 70a edizione dell’Estate Teatrale Veronese, a chiusura del Festival Shakespeariano. Ed è un fiore all’occhiello del Direttore Artistico Gianpaolo Savorelli, che lo stava “puntando” da tempo e che è riuscito a portare al Teatro Romano il debutto in prima nazionale della versione tratta dalla sceneggiatura di Marc Norman e Tom Stoppard per il film vincitore di sette Premi Oscar e tre Golden Globe. Paragone impegnativo. Ma non è stato da meno l’adattamento scritto tre anni or sono per il teatro londinese da Lee Hall. Un testo che ha accostato, in un avvincente unicum, pagine originali alle immortali parole del Bardo poste sullo stesso piano, fattore che ha reso credibile l’invenzione narrativa. E non è stato da meno questo allestimento, di qualità eccellente sotto ogni aspetto e di briosa scorrevolezza, ascrivibile alla maestria di Giampiero Solari il quale, con Bruno Fornasari come regista associato, ha dimostrato come bastino pochi elementi, usati con sapienza, per creare la giusta alchimia scenica.
Due pannelli mobili hanno funto da quinte e da sipario (scenografie Patrizia Bocconi) dipinti come loggette del teatro elisabettiano, struttura ricordata anche nella circolarità della pedana girevole. Quest’ultima è stata usata con gusto, senza abusarne, in quadri che hanno reso allusivamente volubile il giaciglio dei due innamorati, hanno indicato il tragitto del viaggio in barca, o ancora hanno movimentato il bellissimo duello/tableau vivant. Un’impostazione legata ai canoni tradizionali, come pure i costumi d’epoca (Erika Carretta) tuttavia per nulla datata anzi di fresca modernità. Gli interpreti diretti da Solari hanno alimentato il ritmo scenico e molto di più: hanno tenuta viva la fiamma della tensione emotiva, provata da ciascun spettatore nel rivivere, assieme ai personaggi, i sogni adolescenziali sospinti dall’entusiasmo e dalle speranze che tacitano dubbi e insicurezze.
In questa pièce, giostrata su ironia, travestimenti, equivoci, sentimenti, il giovane Bardo è preda di un amore corrisposto tuttavia impossibile con Viola. La quale veste panni maschili per poter sostenere un ruolo attoriale (a quel tempo vietato alle donne) nella nuova creazione del drammaturgo dall’improbabile titolo Romeo ed Ethel, la figlia del pirata. Quando Viola lo lascerà per seguire il proprio destino e convolare a nozze combinate, diventerà per Will una musa ispiratrice, la sua Giulietta, ed egli ritroverà finalmente la vena letteraria che sembrava perduta. Si è trattato quindi di uno spaccato realistico del mondo del teatro, cinquecentesco e contemporaneo, tra impresari attenti al borsellino e privi di scrupoli, ruoli da assegnare, ambizioni e delusioni, situazioni farsesche, parentesi romantiche e duro lavoro da svolgere con passione talmente grande da venire prima di tutto.
Lucia Lavia, si sa, è portatrice di un duplice patrimonio genetico di prima grandezza, dal quale ha sviluppato un’arte scenica propria, di maturità stupefacente stante la verde età, come già ebbe a dimostrare nel 2016 su questo stesso palcoscenico vestendo i panni di Giulietta. Già allora eccelsa, Lucia Lavia ha compiuto un ulteriore percorso di affinamento delle doti attorali, e il minuzioso lavoro sula figura di Viola De Lesseps ha attinto a una colorata tavolozza di sfaccettature caratteriali, nel dibattersi tra la sincerità del sentimento amoroso – verso un uomo e verso il Teatro – e la serena accettazione delle regole sociali. Will Shakespeare ha beneficiato della gioiosa esuberanza di Marco De Gaudio, ottimamente centrato sul personaggio, emerso vivido e convincente. Al loro fianco si è mossa una compagnia giovane e di già consolidata presenza scenica, formata da ben diciannove attori, tutti, non uno escluso, baciati dal talento. Ventesima interprete, la dolcissima cagnolina My che, indossando un vezzoso collare elisabettiano, per quanto intimorita dall’importanza del debutto, ha sostenuto il ruolo dell’animale di compagnia prediletto dalla Regina d’Inghilterra.
Come ha spiegato il traduttore italiano Edoardo Erba, in questa commedia l’Amore esce sconfitto ma vince il Teatro. Con esso, esce vittoriosa quella stessa Poesia senza la quale la vita non ha motivo di essere vissuta, sia per i personaggi shakespeariani, sia per quelli della presente pièce, sia per il pubblico, portato a immedesimarsi con loro.
Recensione Maria Luisa Abate
Visto al Teatro Romano di Verona il 26 luglio 2018
Contributi fotografici forniti dall’Estate Teatrale Veronese