Ci troviamo in un consesso anatomico. I protagonisti entrano in scena adagiati sopra carrelli necroscopici, dai quali si alzano con mossa scattante che ne rivela la florida salute fisica. Infatti, a essere oggetto di autopsia sono gli stati d’animo, le percezioni, le convinzioni, le relazioni interpersonali, nell’impostazione registica di Andrea Cigni. Uno spunto non casuale trattandosi de La favorita di Donizetti, opera che, a causa delle molteplici censure, rielaborazioni, re-ambientazioni che subì il libretto (di Alphonse Royer e Gustave Vaëz, rifacimento del 1840 dal francese L’Ange de Nisida, tradotto in italiano da Francesco Jannetti nel 1841 con disapprovazione di Donizetti, e in seguito più volte rimaneggiato anche da altri scrittori con conseguente confusione tra le versioni) si presenta costellata da un groviglio di sentimenti/fraintendimenti tra i personaggi.
Ecco quindi che interviene Cigni a esprimere con rigore didascalico il loro vero intendere, attraverso quelli che possono essere recepiti come disvelamenti oppure suggerimenti o anche avvertimenti: quanti siedono sulle gradinate del teatrino scientifico riprodotto sul palcoscenico (in verità già visto in molte altre occasioni) alzano a turno cartelli vergati a mano. Uno dei più ricorrenti reca scritto illuso, ma si legge anche onore, dubbio, morale… Una ricercata esternazione, o per meglio dire un sistematico dare ordine ai sentimenti, dagli esiti assai asettici. Il che potrebbe sembrare una contraddizione in termini ma tuttavia risponde a una precisa scelta registica, non priva di interesse.
In proscenio erano esposte, in fila come in una mostra, teche contenenti i costumi di scena che di lì a poco i personaggi, balzati dai lettini autoptici candidamente vestiti, avrebbero indossato per assumere il loro ruolo pubblico (colorato) e celare quello privato (bianco). L’adeguarsi alle convenzioni sociali è andato a coprire la verità personale. Abiti di Tommaso Lagattolla (magnifici i cappelli femminili, costituiti da una intelaiatura metallica a riproporre contorni classici) le cui tinte accese hanno costituito punti focali nell’uniformità di nuance fredde dell’ambientazione. Funzionale, la struttura scenografica bianco-metallica di Dario Gessati, apertasi e richiusasi sotto le luci, aventi una stupenda capacità plastica, di Fiammetta Baldiserri.
In questo nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma in coproduzione col Teatro Municipale di Piacenza (dove ha debuttato) la regia ha inteso proiettare la vicenda nella dimensione della mente, senza cadere in eccessi di macchinazioni concettuali: un punto di merito per lo svolgimento, che le reiterazioni hanno reso fin troppo omogeneo.
Direttore e maestro concertatore, Matteo Beltrami ha guidato l’Orchestra Filarmonica Italiana dando risalto alle accentuazioni drammatiche donizettiane, con aperture sul lato intimistico dell’opera e discostandosi, come da lui stesso preannunciato, dai dettami dello stile belcantistico. Un podio le cui dinamiche, sia musicali in senso stretto, sia musical-relazionali tra i personaggi, hanno avuto tempi vivaci e attenti alle esigenze degli interpreti, chiamati in questo titolo ad affrontare pagine di indubbia difficoltà.
Voce di razza quella del mezzosoprano Anna Maria Chiuri, passata agevolmente dalle morbidezze della tessitura centrale agli acuti sicuri e dal bel colore materico; una Leonora di Gusman dolente fin dalle prime battute, preda di un visibile travaglio interiore del quale appare pienamente consapevole e che ha esternato in una sfaccettata tavolozza di sentimenti.
Sontuoso il bagaglio portato in dote dal baritono Simone Piazzola, dall’emissione tornita e ottimamente “poggiata”, corsa fluidamente nell’intera gamma, e che ha dato carattere deciso e appropriato carisma scenico al re Alfonso XI. Analoghe peculiarità, ossia carisma, carattere e nobiltà di canto, sono state proprie anche del basso Simon Lim, che ha inanellato un’altra esecuzione ineccepibile, con voce ottimamente timbrata e un suono rotondo e levigato con il quale ha ben centrato, attorialmente, la natura spigolosa di Baldassarre. Il tenore Celso Albelo, a parte qualche nasalità soprattutto iniziale, ha vantato un acuto squillante e ha tratteggiato un Fernando convincente.
Completavano onorevolmente il cast Andrea Galli Don Gasparo, e Renata Campanella, Ines di lusso, dalla vocalità fresca e aggraziata. Si è adeguatamente destreggiato il Coro del Teatro Municipale di Piacenza istruito da Corrado Casati. Questa è stata una delle prime produzioni teatrali italiane a essere andata in scena senza sostituzioni dell’ultima ora dovute a casi di covid: un segnale positivo di autentico ritorno alla normalità del quale tutti sentivamo estremo bisogno.
Recensione Maria Luisa Abate
Visto al Teatro Regio di Parma, il 25 febbraio 2022
Contributi fotografici: Roberto Ricci