Strepitoso il cast, di superbo livello qualitativo e perfettamente assortito. Le rovine di un palazzo bombardato al posto della foresta sacra dei druidi.
Lo scenario è quello di una guerra, una delle tante, come dire tutte. Poco importa se a fronteggiarsi siano Galli e Romani oppure i soldati delle rivoluzioni indipendentiste che scossero l’Europa del XIX secolo, come immaginato nella trasposizione temporale registica. Nicola Berloffa nelle sue note ha suggerito che potremmo trovarci a Solferino, o a Parigi ai tempi della guerra prussiana. Avremmo potuto altresì immaginare gli eserciti che si affrontano in questi giorni sul martoriato territorio ucraino, cui è stato tributato un pensiero prima dell’apertura del sipario al Teatro Regio di Parma. E un brivido è corso nelle schiene, quando il Coro ha inneggiato “Guerra, guerra”, agognata come unica possibilità di liberarsi dall’oppressore.
L’immagine era di devastazione: un palazzo sbrecciato, con le finestre puntellate da travi di legno e cumuli di macerie che appesantivano l’aria di una caligine grigiastra (scene Andrea Belli, luci Marco Giusti). Nel cortile dell’edificio, una “foresta sacra” che le mura hanno riletto in chiave circoscritta perciò intimistica, erano radunati i Galli capeggiati da Oroveso in divisa riccamente decorata (costumi Valeria Donata Bettella). L’esercito in disfatta ma fiero, composto da vecchi generali e da soldati che si sorreggevano sulle stampelle, ha sollecitato Norma a dare il segnale per l’ultimo improbabile tentativo di affrancarsi dal giogo romano.
Sulla sinistra, un’ara dove alcune donne stanno lavando il sangue sgorgato dalle ferite di un giovane morto in combattimento, il cui corpo ricopriranno poi di mazzi di fiori bianchi. Accanto a questo giaciglio funebre / altare, nell’ultimo atto Norma ha cantato il suo amore sconfitto, perito nella battaglia dei sentimenti. Ella infatti, nel finale ideato dal librettista Felice Romani, accuserà se stessa scagionando la rivale Adalgisa, per poi invocare l’accensione del rogo destinato alla punizione dei colpevoli. Almeno così era cantato, perché nella visione registica Norma è stata sopraffatta dal gruppo di donne.
Un’efficace sintesi di idee avente la forza dell’immediatezza comunicativa, la regia di Nicola Berloffa, che ha fatto propria la matrice belliniana della “tragedia lirica” e, dopo aver demandato le ottiche di guerra alla scenografia, ha concentrato il proprio sguardo sulla sfera dei sentimenti provati dai personaggi. Un punto a favore per aver lasciato l’overture (oggigiorno solitamente occupata dalle mire espansionistiche registiche) alla funzione musicale che le è propria.
Quella proposta, era una coproduzione con Teatro Municipale di Piacenza e Teatro Comunale di Modena, reduce da un tour europeo e andata in scena a Parma con un cast parzialmente innovato, stratosferico, che ha brillato per le doti canore dei singoli componenti così come per la fulgida sinergia, della quale si è avuta prova negli assiemi entusiasmanti. Sesto Quatrini era per la prima volta sul podio dell’ottima Orchestra Filarmonica Italiana e del Coro del Teatro Regio di Parma, quest’ultimo istruito da Martino Faggiani che ben ha saputo cogliere i colori del dettato.
Il direttore Quatrini si è innanzitutto prodigato (a tratti fin troppo) nel sostenere al meglio le voci, curando allo scopo le dinamiche e i tempi. Attento altresì allo sposalizio belliniano tra dramma e lirismo, ha lodevolmente giostrato entrambi su effetti dinamici ricercatamente non macroscopici, alla ricerca dei particolari, dei dettagli.
Impossibile stilare una classifica di merito tra le voci, tutte d’eccellenza. Nel ruolo del titolo, il soprano americano Angela Meade ha confermato la caratura da fuoriclasse, derivante da uno strumento ricco di armonici, avvezzo a prendere e fare propri i colori, che ha saputo inspessirsi e illiquidirsi, passando morbidamente dal calore del sentimento alla lucentezza di una lama, come quella brandita da Norma. Sembra scontato scriverlo (ma non lo è riuscire ad eseguirlo): il suo Casta diva ha emanato quegli stessi raggi argentei della luna cui era rivolta la preghiera, e ha veramente saputo toccare nel profondo le corde dell’anima degli ascoltatori.
Di una espressività vocale in bilico tra il materico e l’intimistico, atta a declinare la specificità psicologica del personaggio di Adalgisa, il soprano (come originariamente previsto da Bellini) Carmela Remigio, sontuosa nella delicatezza degli accenti espressivi. Diviso dall’amore per entrambe le donne, pur mantenendo l’indole del combattente, il tenore rumeno Stefan Pop che con i mezzi floridi, il bel timbro e il fraseggio più che attentamente studiato, ha tratteggiato le luci e i bui della ibrida situazione sentimentale vissuta da Pollione.
Michele Pertusi possiede un’innata eleganza con la quale ha indossato magistralmente la divisa indossata da Oroveso, oltre che, ovviamente, aver mostrato pari eleganza nella linea stilistica del canto, stupendamente e fluidamente gestito in ogni suo aspetto, dalla tecnica, al fraseggio, fino all’interpretazione. Il suo Oroveso possedeva la fierezza di un comandante, la saggezza di un uomo maturo, il turbamento di un padre dinanzi alla rivelazione della figlia, infine ma non ultimo, la tenerezza di un nonno che dovrà prendersi cura dei nipotini. All’altezza dell’impegnativa situazione John Matthew Myers, Flavio, e Mariangela Marini, Clotilde. L’esito, come si diceva poc’anzi, si è misurato su un doppio binario, singolo e d’insieme. Condizione che ha proiettato questo, nel libro d’oro degli spettacoli memorabili.
Recensione Maria Luisa Abate
Visto al Teatro Regio di Parma il 27 marzo 2022
Contributi fotografici: Roberto Ricci