Andrea Battistoni alla guida dell’Orchestra della Toscana, pianoforte Vadym Kholodenko, per la stagione mantovana Tempo d’Orchestra
Un programma estremamente vario. Una panoramica di autori otto-novecenteschi sotto la guida di Andrea Battistoni, direttore veronese di soli 35 anni la cui carriera, già dalla più verde età, ha spiccato il volo dall’Arena, dove tuttora è “di casa”, verso altri importanti palcoscenici mondiali. Solo per citare due straordinarie tappe, nel 2012 è diventato il più giovane direttore approdato alla Scala, e nel 2016 è stato nominato direttore ospite della Tokyo Philarmonic Orchestra, carica che tuttora detiene. È anche un apprezzato compositore, vanta numerose incisioni discografiche e non disdegna incursioni nella musica rock pop e jazz. Insomma, un musicista dalla curiosità innata e dalle idee aperte. Pane per i suoi denti, quindi, e per il suo gesto esuberante, il programma passato da Casella, a Rachmaninov, a Martucci, a Stravinskij, e duttilmente eseguito dall’Orchestra della Toscana.
Nella prima metà della serata, l’intervento di Vadym Kholodenko, pianista ucraino la cui presenza, al di là dei tragici episodi di cronaca, era prevista fin dallo scorso autunno nel cartellone “Tempo d’Orchestra”, di cui questo concerto ha rappresentato il penultimo appuntamento. Kholodenko, classe 1986, come si diceva ucraino di nascita e russo di formazione, anch’egli affacciatosi giovanissimo al professionismo, ha saputo ritagliarsi uno spazio nel panorama internazionale principalmente per la padronanza tecnica.
A Mantova, la sensazione è stata quella di un tocco, sulla tastiera, scaturito dalla testa, frutto di ragionamento e studio, nondimeno capace di incarnare al meglio lo spirito di Rachmaninov, compositore russo, statunitense d’adozione. Nella Rapsodia su un tema di Paganini, op. 43, il rigoglio espressivo delle 24 fulminee variazioni è stato da Kholodenko indirizzato verso un romanticismo di cui ha posto in luce la natura estatica. Forse, difformemente da quanto lo stesso Rachmaninov affermava (lo hanno ricordato le note al programma scritte da Gregorio Moppi), ossia che la musica vada intesa più come anima che come intelletto, il pianista ha messo al primo posto l’intelletto, usato non in contrapposizione all’anima bensì come vettore per quest’ultima. In altre parole, una ricerca sonora ricondotta alla propria essenzialità, con sincerità di intento, precisione tecnica e attenzione al dettaglio. Un incastro millimetrico tra virtuosismo, raziocinio e lirismo che ha consentito all’interprete uno sfoggio di bravura, proseguito nel bis riservato a un’impegnativa trascrizione da Brahms di Ferruccio Busoni.
La serata si era aperta con il Divertimento per Fulvia op.64 che Alfredo Casella dedicò alla figlia e nato come accompagnamento di un balletto. Un brano, anzi per l’appunto un divertimento, ricco di spunti e reminiscenze che il direttore Battistoni ha inglobato in un contesto vivace, di leggerezza e gioiosità.
Dopo l’intervallo, il Notturno n.1 op. 70 di un autore poco noto ai più, Giuseppe Martucci. Venato di malinconia da un lato e dall’altro votato alla libertà formale, è quest’ultima che ha trovato fulgidi punti d’intesa con la bacchetta di Battistoni, che ha ricavato ancora maggiore spazio per il suo estro espressivo nella Suite del celeberrimo Uccello di Fuoco di Stravinskij, compositore russo di nascita, prima naturalizzato francese e poi divenuto cittadino statunitense.
Anche queste pagine, come è noto, furono realizzate per un balletto, precisamente per i leggendari Ballets Russes nati a Parigi a inizio del secolo passato e che, oltre a quello musicale, racchiudevano gli universi della danza e delle arti visive, ma anche l’aura magica della fiaba. Elementi ovviamente non presenti in sede di concerto ma che Battistoni, ottimamente seguito dalla compagine dell’ORT, ha reso tangibili grazie alla sua variegata esperienza curriculare e alla sua forte personalità direttoriale. Battistoni è parso proteso soprattutto alla dimensione favolistica e ha dotato le note di una veste fascinosa, ricca di suggestioni, di immagini visive che, pur fisicamente assenti, sono state nitidamente percepite dagli ascoltatori con tutto il loro carico di colori, di inflessioni melodiche, di impeti e di abbandoni: di opportunità per far correre liberamente la fantasia.
Recensione di Maria Luisa Abate
Visto al teatro Sociale di Mantova per “Tempo d’Orchestra”, il 2 aprile 2022
Contributi fotografici: MiLùMediA for DeArtes