Pasolini hic et nunc nello spettacolo di e con Filippo Timi.
Il sipario è aperto. Due pannelli raffigurano una giovane donna. Ha il volto e la capigliatura mossa dal vento della Venere di Botticelli, indossa pantaloncini corti, calzettoni al ginocchio e sneakers, ed è intenta a sorseggiare una bevanda da un bicchierone con la cannuccia. All’ingresso in sala si ode provenire da lontano una melodia esotica e i tecnici indossano collane hawaiane. Subito si intuisce lo spirito che anima lo spettacolo: l’attualizzazione del mito. Filippo Timi fa il suo ingresso in mutande e canottiera, sopra le quali indossa un trench di paillettes nero/blu dalle code svolazzanti, che poi verrà tolto. Così come presto cadrà la maschera da scimmia. Un atto, quello della spoliazione, di per sé simbolico. L’attore, e prima di lui il teatro e prima ancora l’arte tutta, si mette a nudo dinanzi al mito e dinanzi al pubblico, mostrando la faccia più nascosta di sé, senza falsi pudori e con onestà intellettuale. D’improvviso, in una stanza da letto buia, nel cuore della notte, squilla il telefono e una voce che non si sente, ma si intuisce dalle risposte dell’assonnato interlocutore, annuncia la morte di Pier Paolo Pasolini.
L’ultimo lavoro firmato e interpretato da Filippo Timi omaggia il grande letterato e regista di cui nel 2022 ricorrono i cento anni dalla nascita. Anche il titolo, come la mise en scène, è indicativo dell’impronta data alla narrazione: “Scopate sentimentali. Parole, immagini, vita e morte di Per Paolo Pasolini”. Uno spettacolo andato in scena a Mantova in anteprima nazionale (il giorno prima testato all’Angelo Mai di Roma e grandemente atteso il giorno successivo per il debutto ufficiale ai Bagni Misteriosi del Teatro Franco Parenti a Milano). La ghiotta anteprima mantovana è stata organizzata dalla Fondazione ‘Artioli’, con la direzione artistica di Vasco Brondi e inserita in un breve festival di due giorni dedicato a PPP che, per l’alta qualità delle proposte e la presenza di protagonisti illustri, si è rapportato alla pari alle più importanti manifestazioni che fioriscono in tutta Italia.
Lo spettacolo di “parole, voci, silenzi, musica…” trae spunto dai celebri “Comizi d’amore”: non a caso Filippo Timi lo classifica come Comizi d’amore 2.0. La proposta ripercorre in modalità anticonvenzionali la vita privata e artistica dell’illustre bolognese, il suo genio e la tragica morte sul litorale di Ostia in circostanze ancora non del tutto chiarite, che emergono in flash scanditi dai titoli e dalle immagini che si susseguono sullo schermo. Timi inanella gli episodi come fossero capitoli di un immaginario libro dalle pagine stropicciate, strappate, dedicato al “demone” che divora il protagonista odierno come già aveva divorato Pasolini. Quel δαίμων entità psichica che la tradizione greca collocava a metà tra divino e umano. Quel “sacro fuoco dell’arte” che, bruciando, alimenta ma anche consuma, sprigionando lapilli contrapposti di tormenti e poeticità. I toni della narrazione, e della voce del narratore, sono violenti e dolci, crudi e lirici, in un bilico di opposti tipicamente pasoliniano.
Il testo è denso di rimandi letterari e mitologici, proprio come era lo stile di Pasolini che elevò le citazioni, anche visive, a fulcro della sua arte registica. Reminiscenze che, nello spettacolo, sarebbero potute risultare too much non fosse stato per l’abilità di Timi che in questa occasione ha trovato ennesima conferma; per la sua capacità di modulare sia l’espressività vocale che fisica, fino a rendere il testo una cosa non solo viva ma da vivere nel momento, con quell’immediatezza che è elemento indispensabile per il teatro, ma che pochi interpreti padroneggiano e riescono a trasmette dal palco con l’efficacia che contraddistingue Timi. Pasolini hic et nunc.
Pasolini tanto scomodo e criticato in vita quando osannato e “deificato” post mortem. La voce caleidoscopica dell’attore è passata da registri dolci ad aspri, da sussurri a grida, si è assottigliata e si è inspessita tra parole carezzevoli e gorgoglii gutturali fino a fondersi simbioticamente, strumento tra gli strumenti, con il substrato sonoro creato da Rodrigo D’Erasmo, violinista e polistrumentista degli Afterhours, e Mario Conte, sperimentatore di musica elettronica. Una timbrica giostrata tra il tranquillizzante e l’inquietante, tra evocativi valzerini da balera e squarci dissonanti eppure presentanti una loro specifica armonia.
Timi ha osato, come è nel suo stile, e si è rapportato alla pari all’immensità pasoliniana vincendo la tenzone; dimostrando di avere, ancora una volta nella sua sfolgorante per quanto ancora giovane carriera, non solo qualcosa di valido da dire ma soprattutto di sapere come dirlo, rapportandosi al soggetto con riguardo e al contempo con autonomia, senza risultarne schiacciato.
I “capitoli” del libro/spettacolo di Timi – primavera, estate autunno e inferno – si sono dipanati in dodici episodi che hanno spalancato finestre rimaste volutamente aperte, non storiche né descrittive, mai retoriche o peggio scolastiche, quanto piuttosto emozionali, riguardanti singoli temi, come il rapporto con la madre. Anche se Timi ha più volte dichiarato di considerare Pasolini come un suo padre letterario, la madre è il grembo da cui tutto nasce, il ventre della terra da cui fuoriesce il magma dell’arte. Tessere narrative andate a comporre un mosaico, immersivo per il pubblico, di stati d’animo non univoci, tormentati e inquieti, schiettamente pasolinani. Un collage palpitante, tangibile, vivo. Anzi, sprizzante quella “disperata vitalità” che ha dato il nome al festival mantovano. Tasselli di un mosaico oppure, volendo guardare più nel profondo, stazioni della Via Crucis terrena pasoliniana, da ripercorrere in un rito teatrale laico. Pasolini vive, ma Pasolini è morto. E del distacco dal genio, dice Timi, porteremo sempre il peso.
Recensione Maria Luisa Abate
Visto al Teatro Ariston di Mantova il 28 maggio 2022
Contributi fotografici: Francesco Consolini