Il Mantova Chamber Music Festival ha ritrovato il suo pubblico, mostrato le sue molte anime, rinnovato la propria ‘formula magica’: star internazionali e clima amichevole.
Un appuntamento assolutamente necessario per il nostro Paese, che mette in contatto migliaia di persone con la musica. Con queste parole il Ministro Bianchi ha salutato, in videomessaggio, l’apertura di Trame Sonore – Mantova Chamber Music Festival, giunto all’importante traguardo dei dieci anni di vita. E che vita! Io vado in tanti posti ma un luogo come Mantova finora non l’ho mai trovato, ha detto con sincerità il direttore artistico Carlo Fabiano. Il quale, fin dagli esordi della kermesse, si è prefisso di demolire le ritualità legate alla musica classica per dimostrare quanto quest’arte sia moderna e indispensabile. Fabiano ha usato il verbo demolire riferito a una certa tradizione obsoleta, anche se il festival si caratterizza da sempre per la sua capacità di costruire, avendo dettato un modo diverso di fare musica ed essendo diventato da subito un modello da emulare.
Trame è una grande rassegna internazionale, capace di attirare da ogni dove musicisti di fama, quest’anno 340. Anche il pubblico è tornato ad affollare i circa 150 concerti susseguitisi nella cinque-giorni, che hanno registrato un alto numero di sold out. Forse non si sono raggiunti i numeri record pre pandemia, ma la folla era imponente. Del resto, il covid circola ancora. Prova se ne è avuta quando, a poche ore dall’inaugurazione, è stata annunciata la positività di uno dei nomi maggiormente attesi, costretto a rimanere in quarantena nella sua casa londinese: il tenore Ian Bostridge, il quale, in un messaggio, ha promesso di venire a Mantova appena possibile. Un attimo di spaesamento per quanti, come la scrivente, avevano creato attorno alla sua presenza il proprio personale itinerario musicale.
Ma il festival ha dato la zampata del leone, dimostrando di possedere una macchina organizzativa perfettamente oliata. I concerti di Bostridge non sono stati cancellati bensì sono stati rimodulati, ovviamente mutando il programma. Uno switch di extra lusso grazie ad Alexander Lonquich, infaticabile artist in residence. In questa circostanza il pianista ha dimostrato di possedere un repertorio davvero sterminato, e, tra i programmi riconfezionati all’ultimo momento per sopperire all’assenza del collega, alcuni sono stati eseguiti a memoria, pur se di estrema difficoltà tecnica, con le dita a correre sulla tastiera con la consueta sincera nonchalance. Lonquich del resto vive la musica come elemento quotidiano, naturale e indispensabile. E in queste giornate è apparso più del solito ispirato, più del consueto in stato di grazia.
Ma facciamo un passo indietro, tornando alla serata inaugurale nella Sala di Manto, l’indovina fondatrice della città che da lei ha preso il nome. Il duo viola e violoncello Dragonfly, formato da Danusha Waskiewicz e Naomi Berrill, ha innestato accenni cantati su un proprio affascinante arrangiamento delle Variazioni Goldberg di Bach. Ci si è poi spostati in piazza Santa Barbara, dove affaccia la basilica di corte dal passato musicale importantissimo e addobbata per l’occasione di luci suggestive. Sul palco en plein air ha preso posto la formazione “allargata” dell’Orchestra da Camera di Mantova. La quale, sotto la direzione di Adrian Prabava, ha eseguito l’Ode per il giorno di Santa Cecilia di Händel, assieme al Coro Ricercare Ensemble. Eleganti voci soliste erano il soprano Giulia Bolcato, il baritono Mauro Borgioni e Leonardo Cortellazzi, tenore acclamato nei più prestigiosi teatri. Quest’ultimo in special modo era in serata particolarmente felice e ha fatto sfoggio di un canto stilisticamente ineccepibile e di una sensibilità musicale d’eccelsa raffinatezza.
Il giorno seguente il festival è entrato nel vivo, forte delle caratteristiche che ne rappresentano la carta vincente: unire la bellezza delle sale al clima cordiale, alla mano, che si instaura tra musicisti e musicisti come tra musicisti e pubblico. Mentre eravamo in una delle tante file d’ingresso, una coppia di affezionati fruitori giunta dal milanese ci ha detto che, a parer loro, in nessun altro festival si respira l’atmosfera amichevole che aleggia a Mantova. È la verità. Qui non vengono artisti ospiti, ma amici. Beninteso, amici del calibro di Alfred Brendel, Guest of honor protagonista di una imperdibile masterclass, oltre che anch’egli semplice spettatore confuso tra gli spettatori. Amici altrove osannati come star, che qui suonano e poi si fermano a chiacchierare tra loro o con il pubblico, che girano per le strade con lo strumento in spalla e il panino in mano, che vanno ai concerti per ascoltare i colleghi, senza protagonismi e men che meno rivalità professionali, in una festa collettiva per la città che per cinque giorni ha allargato i propri confini geografici diventando capitale internazionale della musica.
Tra le idee innovative, sono stati lanciati quest’anno i concerti one2one: un interprete per uno spettatore, nella suggestiva grotta del giardino segreto di Palazzo Te. Il fulcro del festival, se non altro numerico, è tornato a essere il Palazzo Ducale – Castello di San Giorgio, ossia la reggia dei Gonzaga. Anche qui, come in piazze e dimore nobiliari pubbliche e private, la musica è risuonata in ogni forma, di ogni epoca e per tutti i gusti. Esempio ne è la trama personale scelta quest’anno dalla scrivente per la serata di giovedì 2 giugno. Un gustoso “aperitivo” con la voce di Valeria Perboni che ha omaggiato alcune immortali regine del jazz, confrontandosi più che onorevolmente con i mostri sacri del passato. Poi sono iniziati i balzi temporali.
È bastato salire lo scalone di Palazzo Ducale, attraversare la stanza di Pisanello, percorrere un corridoio con quadreria e accedere alla sontuosa Sala degli Specchi, sfavillante di decori dorati e dei colori accesi negli affreschi, alcuni a tema musicale. Qui, Debussy e Bartók hanno beneficiato della travolgente esecuzione di uno dei pianisti di spicco della scena attuale, dal tocco impeccabile, Gabriele Carcano, in trio con Paolo Barragan clarinetto e Stephen Waarts violino. A loro sono andati applausi talmente scroscianti da essere uditi, ovattati e non disturbanti, nella non molto distante Sala dei Fiumi, che ha fornito degna cornice al barocco musicale con i suoi stupefacenti affreschi raffiguranti un pergolato, e che affaccia sul giardino pensile lasciato aperto per l’occasione. In questo luogo, in concomitanza con l’altro concerto, Francesco Cera al clavicembalo e concertazione, Giovanni Bellini alla tiorba e chitarra barocca hanno accompagnato il tenore Riccardo Pisani in un excursus dedicato al cantante Francesco Rasi, “la voce di Gonzaga”. Una proposta ricercata e una esecuzione preziosa.
Per compiere un ulteriore balzo temporale è bastato retrocedere di pochi passi, attraversare le stanze con i famosi arazzi disegnati da Raffaello ed accedere alla Sala di Guastalla. Qui, di nuovo in contemporanea, che è un’altra caratteristica del festival, in un silenzio di pubblico quasi religioso si sono esibiti, violino e violoncello, Nurit Stark e Giovanni Gnocchi. Il duo ha affrontato un brano scritto da Sofia Asgatovna Gubajdulina. La compositrice russa contemporanea associa la sua musica alla trascendenza, alla spiritualità, in un dettato spesso astratto, alla ricerca del non tradizionale. Sarà per questo che i due famosi interpreti hanno a un certo punto suonato ponendosi di spalle l’uno con l’altro. Per indulgere a una notizia apparentemente di colore, Nurit Stark, presenza di lunga data al festival, è solita suonare a piedi scalzi. Così come ha abbandonato le calzature quello strabiliante violoncellista che risponde al nome di Nicholas Altstaedt, nella romanica Rotonda di San Lorenzo. Notizia di colore fino a un certo punto, perché il dilagare di questa abitudine, da molti adottata, non può che ricondurre al desiderio, o a quella che per un musicista può risultare una necessità, di avere un contatto fisico con il luogo, di assorbirne le vibrazioni e di ritrasmettere tangibilmente le proprie. Alla ricerca di quel rapporto diretto che è una delle tante anime di Trame Sonore.
Sarà per l’elisir della buona notte offerto a fine concerto a tutti i presenti, che conferma ancora una volta il clima amichevole e festoso, sarà per la cornice mozzafiato della chiesa risalente all’anno mille, fatto sta che gli appuntamenti ‘round midnight alla Rotonda sono sempre stati ultra affollati. Si è ascoltata la crème de la crème del festival. Come ad esempio il Kelemen Quartet che, oltre a Barnabàs Kelemen annovera nomi di spicco quali Jonian Ilias Kedesha, Katalin Kokas, Vashti Hunter. Impegnati, in questo caso, nel quartetto n.6 di Bartòk, con il suo carico di reminiscenze ispirate alla musica popolare reinterpretate dal compositore russo con spiccata creatività e vena innovativa, che nei quartetti in generale, come in questo, trova compimento in una equilibrata maturità espressiva. Rimanendo sempre in Rotonda, la musica popolare ha fatto il suo ingresso ufficiale grazie, nuovamente, a Nurit Stark. La quale ha ruotato il leggio per assecondare la struttura circolare dell’edificio e rivolgere così a turno il viso a tutti i settori di pubblico, nel corso delle sedici brevi pillole dell’ungherese Kurtàg, che la violinista, coadiuvata nelle note introduttive dal musicologo Giovanni Bietti, ha raccomandato di non ascoltare compiendo troppe analisi concettuali, ma abbandonandosi con naturalezza e semplicità al flusso sonoro.
Tra le perle che in questa edizione hanno emanato riflessi particolari è fatto obbligo menzionare Zefiro Ensemble, formazione di riferimento, in Italia e all’estero, per il genere barocco. Ilya Gringolts ha donato la sua stratosferica arte in veste solistica e pure associandosi a colleghi. Ecco l’ennesima anima di Trame Sonore: il costituire e ricostituire piccoli ensemble con artisti che vantano carriere da solisti, e che pertanto creano formazioni dove la qualità raggiunge le più alte vette. Esempio è venuto dallo stesso Gringolts, che assieme ad altri nomi internazionalmente acclamati quali Reto Bieri, Diego Chenna, Nicolas Altstaedt e l’instancabile Alexander Lonquich, ha affrontato, al Teatro Bibiena, il quintetto di Constantin Regamey, filologo oltre che compositore, proteso alla musica dodecafonica.
E poi il ritorno dell’Ottetto dei Berliner Philarmoniker, nella sala di Manto impegnati con uno Schubert reso palpitante, di una bellezza elegiaca. I musicisti dell’Ottetto quest’anno hanno superato loro stessi con un’esecuzione di sfolgorante splendore, mozzafiato, che ha scatenato un incontenibile entusiasmo di pubblico. Eccitazione di folla ripetutasi di lì a poco per Miriam Prandi violoncello e Danilo Rossi viola assieme all’Oistrakh quartet con un Čajkovskij travolgente e appassionato come non mai. Tra gli appuntamenti da non perdere figurava Umberto Benedetti Michelangeli alla testa dell’OCM che, prima di immergersi nei colori armonici lunari dell’incompiuta di Schubert, ha proposto una composizione, di peculiare suggestione e grandemente applaudita, di Maria Bonzanigo, tratta da uno spettacolo teatrale.
Da segnalare infine il progetto speciale dal titolo “A ritmo sostenibile. Musica per la climate action”, il cui appuntamento clou ha visto le Quattro Stagioni trasformate in For Seasons. La performance sinfonica, con un piccolo addentellato multimediale, ha previsto un team di musicisti, sviluppatori di software e scienziati, i quali hanno elaborato i dati scientifici relativi al cambiamento climatico al fine di innestarli sulle celeberrime note di Vivaldi, mutandone gli equilibri orchestrali. Il risultato è stato affascinante e straniante: le Stagioni vivaldiane erano riconoscibili eppure diverse, proprio come, e questo era l’intento, a volte pare irriconoscibile il clima impazzito. Il progetto “For Seasons – #fourseasonsbydata” ideato dalla NDR Elbphilarmonie Orchester di Amburgo è stato eseguito per la prima volta in Italia dall’OCM, sotto la guida della direttrice Lucie Leguay dal gesto attento e proteso alla massima precisione nello scandire i difficili tempi. A dare ancora maggiore spessore alla qualità interpretativa, il violino solista di Roland Greutter, duttile e versatile nell’affrontare i turbini climatici musicali inseriti nella partitura.
Trame Sonore si è concluso nel tripudio del binomio ultra collaudato OCM + Lonquich e nel festoso rinfresco “alla mantovana”, ultima occasione per godere della mancanza di barriere tra pubblico e musicisti, per scambiarsi saluti e arrivederci dandosi appuntamento a Mantova il prossimo anno, dal 31 maggio al 4 giugno 2023.
Recensione Maria Luisa Abate
Visto a Mantova – Trame Sonore – Mantova Chamber Music Festival, 1 – 5 giugno 2022
Contributi fotografici:
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