Tripudio coloristico per il concerto, nella basilica di Sant’Andrea a Mantova, di Orchestra e Coro Monteverdi Festival – Cremona Antiqua diretti da Antonio Greco.

È ovvietà dirlo: la musica, sempre e di qualsiasi genere, andrebbe ascoltata dal vivo. Diventa condizione pressoché indispensabile nel caso della musica antica. Prova eclatante è venuta ascoltando il Vespro della Beata Vergine di Monteverdi eseguito nella basilica di Sant’Andrea a Mantova: sarà stato per la suggestione del luogo, presentatosi nello splendore dell’anno delle celebrazioni Albertiane e nel 550° anniversario dalla posa della sua prima pietra, sarà stato per l’acustica non ottimale però sfruttata con intelligenza risolutiva, sarà stato per l’eccelso livello qualitativo degli interpreti, fatto sta che l’esecuzione è esplosa in un tripudio di colori musicali come poche volte abbiamo avuto la fortuna di udire.

Grazie al supporto della Fondazione ‘Artioli’, del Comune e della Diocesi di Mantova, oltre che del teatro Ponchielli e del Comune di Cremona, è questa stata una tappa del Monteverdi Festival di Cremona, nome che esso solo costituisce garanzia d’eccellenza in questo specifico repertorio.

Con esiti che, secondo alcuni studiosi, riconducono la divinità al suo manifestarsi terreno, la composizione sacra fu scritta attingendo alla vivacità musicale profana del tempo, da Claudio Monteverdi nel 1610 (pubblicata a Venezia quando egli ancora lavorava a Mantova per il Duca Vincenzo Gonzaga, non senza difficoltà economiche, di salute, famigliari e di rapporti con il suo committente). Vi è compendiata una varietà di tecniche e di stili compositivi, grazie ai quali Monteverdi fa convivere sia la tradizione preesistente sia la propria straordinaria vena innovativa. Il Vespro fu dedicato a Papa Paolo V (cui fu donato come prova delle capacità compositive del maestro cremonese, in cerca di lavoro lontano da Mantova) e venne scritto sopra canti fermi a sex vocibus et sex instrumentis

Sotto la direzione di Antonio Greco, l’Orchestra e Coro Monteverdi Festival – Cremona Antiqua, presentatisi in un consistente organico (già nel passato era uso adattare la musica all’organico) si sono mossi come un motore perfettamente oliato ma senza freddezza meccanica, anzi sapendo esprimere con fervore il sentimento spirituale monteverdiano: per i credenti, una meditazione volta all’elevazione mistica, per gli altri ascoltatori, un momento interiore di sublime innalzamento dello spirito.

Una lettura quindi estremamente rispettosa degli intendimenti originali, dove il rigore non è mai caduto nella trappola della piattezza. Partendo dall’assunto che tra le sue innovazioni il Divin Claudio seppe dare nuova luce all’utilizzo della timbrica strumentale, il direttore Antonio Greco ha tinto il Vespro di una multisfaccettata gamma coloristica. Non una pura e semplice tavolozza, ma sfumature raffinate, ceselli preziosi, sopraffini virtuosismi e soprattutto intenzioni mai rimaste tali bensì risolte tangibilmente, derivanti dalla scelta attenta delle dinamiche, giostrate per dare vita a un assortimento chiaroscurale che esprimesse, elevandola, la matrice religiosa/profana sia della narrazione cantata sia del dettato musicale. Anche questa parrebbe una condizione indispensabile e ovvia, che tuttavia non è frequente si verifichi, in un edificio in cui l’acustica non era stata concepita con finalità concertistiche, con tale fantasmagoria descrittiva.

Oltre alle doti dei singoli interpreti specializzati nel repertorio barocco, musicisti che hanno imbracciato strumenti d’epoca e voci impostate sul modo antico, il concerto è stato reso speciale dalla particolare disposizione della formazione, in continuo spostamento. Orchestra e Coro infatti si sono dapprima collocati di fronte rispetto all’altare maggiore, davanti alla porta di ingresso principale. Il Coro era suddiviso in due organici separati o “cori spezzati”, come era anticamente in uso in ambito veneziano. Elementi della compagine si sono poi sovente rimodulati nello spazio, occupando ora gli altari laterali alla grande navata, ora il pulpito per far cadere le note “a pioggia”, o ancora si sono “nascosti” nei transetti laterali generando così un canto soffuso, una eco parsa venire da lontano, o per meglio dire da un altrove. Quanti tra il pubblico fossero seduti in posizione accorta, approfittando dei posti non numerati, hanno potuto beneficiare di un effetto stereofonico, d’un incrociarsi di suoni, e di suggestioni, assolutamente straordinario. Il flusso sonoro giunto dal fronte e dalle spalle, da destra e da sinistra, dall’alto e dal basso, ha amplificato la duplice anima di questa composizione, come si diceva sacra nei contenuti e profana in talune ispirazioni: da un lato la profondità delle parole e lo slancio verso il divino, dall’altra la vividezza e l’immediatezza del dettato musicale.

Recensione Maria Luisa Abate
Visto nella Basilica di Sant’Andrea a Mantova il 20 giugno 2022
Contributi fotografici: MiLùMediA for DeArtes