Il sabato precedente l’inaugurazione, Festivaletteratura ha aperto con un’anteprima riservata a un ospite d’eccezione che ha incluso Mantova nel piccolo tour di una settimana tra le città italiane, dove è stato acclamato con grande affetto. José Alberto Mujica Cordano detto Pepe, prima deputato poi senatore, è stato Capo dello Stato dell’Uruguay dal 2010 al 2015. Il suo passato è da guerrigliero nel Movimiento de liberación nacional, comandante del gruppo armato dei Tupamaros. Sei volte ferito in battaglia, quattro volte arrestato, evaso rocambolescamente, ricatturato e incarcerato per altri dodici anni in isolamento, merce di scambio pronto alla fucilazione. Anche quando era al governo abitava in una fattoria e girava su un vecchio macinino. A Mantova percorre a piedi il breve tragitto tra il Comune e il Teatro Sociale, stringendo mani. È un mite signore ultraottantenne dallo sguardo fiero mentre parla di felicità. Espone una visione del mondo che poco ha a che fare con la politica e molto con la filosofia. O per meglio dire, con la saggezza antica del vivere felici.
Il previsto dialogo con Andrés Danza ed Ernesto Tulbovitz, autori del libro sulla sua vita intitolato “La pecora nera”, è un mero pretesto. Queridos italianos… Il comandante Pepe inizia a raccontare di un uccellino che svolazza attorno al Rio de La Plata e pare vestito con il frac. Per istinto naturale torna a fare il nido sempre nello stesso posto, ma con l’espandersi del cemento è costretto a emigrare, come fecero molti italiani verso il Sudamerica. I migranti di un tempo perdevano ogni contatto, ogni affetto. Ora invece siamo nell’epoca di internet. L’era digitale muta i parametri. Siamo in un mondo che non è più di ieri ma non è ancora di domani, che cambia per necessità, come gli uccellini in frac. Siamo una generazione di transito, però in qualche luogo devono necessariamente esserci le nostre radici.
Dobbiamo ricordare le vecchie domande che da sempre accompagnano l’uomo. Che cosa è la vita? Dove andiamo? Cosa resterà di noi? Cosa c’è di là? L’amore, risponde con decisione l’ex guerrigliero. Quello giovanile della carne, quello del cameratismo e dell’amicizia, infine il rifugio e la consolazione dell’inevitabile, che rende bello il mistero della vita. L’unico miracolo è essere vivi e la cultura migliora la vita di chi verrà dopo di noi. La cultura è una costruzione di piccoli scalini per la civiltà umana, è una forma di combattimento contro la morte. «A voi tutti dico grazie, perché la cultura è il sangue della civilizzazione».
L’era postmoderna sta cambiando tutto. C’è una economia enorme imposta dallo sviluppo, ma l’uomo non può dimenticarsi di certe cose. Non bisogna parlare di sviluppo, spiega Mujica. Bisogna porci due domande: gli uomini moderni sono più felici? Cosa è la felicità? La felicità non può essere comperata in una borsa di plastica al supermercato. Lo sviluppo economico non può assicurarci la felicità. Mai prima d’ora l’homo sapiens ha avuto mezzi, strumenti, capacità come oggi e mai ha fatto così tante sciocchezze. Più si ha ricchezza, più si fanno sciocchezze.
Mujica racconta di un uomo che possiede cinquemila auto, mentre ci sono donne nell’Africa subsahariana che percorrono chilometri per prendere l’acqua. Non ci sono risorse a sufficienza, se ci occupiamo solo di guadagnare. Costruiamo megalopoli, poi le scaviamo sopra e sotto per metterci le auto e poter andare veloci. Invece si cammina lenti perché c’è troppa gente. Non pensiamo alla felicità. Ci vorrebbero nuclei urbani piccoli, dove tutti ci si conosca, come gli antichi Maya. Prendiamo ad esempio Parigi, una città con tante città satellite dove ci si reca a lavorare in treno a in auto, perché a governare sono gli affari, non la felicità. Continuiamo a fare sciocchezze su sciocchezze, si infervora Mujica senza mai perdere pacatezza nel tono di voce, e questo perché al centro non mettiamo il pensiero della vita umana e di far felice la gente. I giovani hanno bisogno di innamorarsi ma oggi non c’è niente che faccia innamorare. Non ci sono ideali. Non ci deve essere solo il lavoro, deve restare il tempo per vivere.
Mujica giustifica il suo andare per il mondo perché i giovani diano senso al grande miracolo della vita. E se non cambia la cultura, non muterà il sistema: la vera trasformazione deve essere nella nostra testa. Ci vuole un cambio culturale per pensare al destino del pianeta, perché solo con l’economia il pianeta non esiste. Il diritto alla vita non è solo nostro ma di quelli che devono venire. In questo modo amiamo la nostra esistenza. Siamo intrappolati in valori funzionali alle leggi di mercato. Il mondo futuro sarà conseguenza dei nostri successi e dei nostri errori. Trionfare nella vita è rialzarsi dopo ogni caduta. È ora di lottare per la difesa della vita e di questi valori.
Resoconto Maria Luisa Abate
Visto a Festivaletteratura Mantova l’1 settembre 2018
Foto MiLùMediA for DeArtes